venerdì 30 settembre 2016

bethlehem di kyotera / uganda

Una foto pubblicata da Emanuele Pini (@emanuele_pini13) in data:

nzela na papa Mayele - rue papa Mayele


era piena notte in volo tra Istanbul e Kigali, ma il mio vicino, incurante, mi ha toccato il braccio e ha iniziato a parlarmi. era un ruandese, ormai da 20 anni a Londra, e tornava a casa per lavoro. mi diceva che quando sarei stato Là, nella sua Africa, avrei dovuto capire che fare per aiutare, metterci del mio senza pensarci troppo.
poi sono arrivato Là.
quando dopo alcuni giorni madre Marcela si è lamentata per quella stradina verso l’ospedale che continuava ad allagarsi nella stagione delle piogge, mi è venuto spontaneo proporre di rifarla, poco coscientemente. aiutare, senza stare a pensarci troppo, senza alcuna esperienza non solo riguardo a strade ed edilizia civile, ma anche a comefaredelbuoncemento; una delle tipiche scommesse perse della mia vita.
eppure qualcuno ci ha scommesso con me: Paolo "moindo" Bazzocchi da Lugo, anni 21 per 195 cm, e ci abbiamo scommesso pesante (“fess”, direbbero i miei amici bresciani).
rialzare il suolo argilloso, chiedere consigli e riconciliare i differenti pareri, scavare nel prato i canali laterali di scolo, scoprire che i mattoni di terra rossa si frantumavano, recuperare delle pietre piatte a sufficienza, incastrarle come in un gigante puzzle, affrontare le perplessità degli altri e in primis del proprio passato, impastare e passare il cemento, tutto questo senza troppi fronzoli, a volte sotto il sole a picco e a volte sotto le piogge della stagione, senza grandi parole.
perché il buon Paolo non si perde in discorsi, ma si alza, va e lavora ed è forse stato questo un grande dono: badare al sodo senza fronzoli, mirando al fine, senza insicurezze, nonostante i giorni di lavoro passassero e la fatica aumentasse e i timori, silenziosi, si potessero sentire nell'aria.
sognare e sudare, l’unico pensiero.
 “ce la faremo, a fare questa nostra dannata strada”, sognando se fosse meglio intitolarla papa Mayele street, rue Bakhita o via Maria Goretti o, perché no, via Marcela Lopez.
sognare e sudare, l’unico pensiero.
come quando abbiamo preso "in prestito" un’ambulanza per battere il fondo, come quando papa Maurice rideva dei nostri modi così “mundele” e noi ridevamo di come aggiustasse un piccone col machete, come quando osservavamo e studiavamo nei dettagli ogni scolo che incrociavamo, come quando riempivamo la piazzuola di spettatori incantati dal fatto che, sì, allora anche i bianchi lavorano, come quando si andava in cerca di sabbia per le stradine attorno.
ora però non andate al classico lieto fine, perché io penso che forse non ce l’avremmo fatta, io e Paolo.
ce l’abbiamo fatta io, Paolo, Juniore, Christian, Dunya, Zebra, Jean, e poi quando le speranze sembravano assottigliarsi sono arrivati in nostro aiuto anche Marco, Oscar “mr. silenzio stampa”, Carmine “il maestro” e Sean. no, senza di loro non si sarebbe concluso granché, perché, lo ammetto, niente a volte è difficile quanto chiedere aiuto. perché non abbiamo costruito muri, ma una strada.
sognare e sudare, l’unico pensiero.

sì, erano solo 37 metri di strada di un villaggio sconosciuto ai bordi del mondo e tutto può apparire tanto banale e insignificante, ma forse il mio amico ruandese ora potrà sorridere un poco anche di me e di queste immagini:





















sabato 24 settembre 2016

signe (apollinaire)

je suis soumis au Chef du Signe de l'Automne
partant j'aime les fruits je dèteste les fleurs
je regrette chacun des baisers que je donne
tel un noyer gaulé dit au vent ses douleurs

mon Automne éternelle o ma saison mentale
les mains des amantes d'antan jonchent ton sol
une épouese me suit c'est mon ombre fatale
les colombes ce soir prennent leur dernier vol



io sono suddito del Signore del segno d'Autunno
pertanto amo i frutti detesto i fiori
rimpiango ognuno dei baci che rendo
come un noce bacchiato rivela al vento i suoi mille dolori

oh mio eterno Autunno, oh mia stagione mentale,
le mani di amanti di un tempo velano il tuo suolo
una sposa mi segue, la mia ombra fatale
le colombe spiccano stasera il loro ultimo volo

V. Van Gogh, Les Alyscamps, 1888

martedì 20 settembre 2016

aFREEka, così l'ha ribattezzata Marco



aFREEka, così l'ha ribattezzata Marco,
così la conosco io ogni mattino e ogni sera,
ogni volta che incrocio il loro sguardo fiero e libero.
poiché i poveri, gli ultimi sono il soggetto dell'annuncio della buona novella, non l'oggetto:
non è il prete a parlare di poveri, ma il povero a parlare di d-o.



qui nessuno piange
nella terra disperata
nessuno piange
è perché nessuno l’ha imparato
o perché hanno imparato
che non ha vantaggio non porta piacere
si ride liberi
all’ospedale per strada al mercato
si può ridere persino di malattie
delle tragedie del futuro
buio ma qui nessuno
piange perché nessuno
lo ha insegnato loro
e allora ridono sotto il sole
sotto la pioggia e nella notte fredda
i loro canti le loro danze le loro
risa scrosciano e nessuno
a noi lo ha mai insegnato a noi




giovedì 15 settembre 2016

MAMA NZAMBE - dio madre


perché qui il respiro di d-o si sente più forte,
forse perché si è ancora di più nelle profondità, nelle viscere della pancia di d-o,
forse perché è tutto così incompiuto, ma così vivo, così intenso ed essenziale, e perciò così autentico.
così questi versi, di una cruda verità.

Sophie all’ospedale il figlio ammalato
un bebé che si piscia sulle spalle
della sorella due anni dal naso camuso
se ne accorge appena ride
disperazione che non ci si pulisce
nell’abisso dell’abisso
i piedi disarmati nel fango
Innocent che non conta sino a cinque
materiale d’esubero dell’occidente
Sophie all’ospedale l’unico figlio ammalato
l’immondizia che brucia nei crocicchi
donne-moi l’argent donnez-moi
na mbongo s’implora
nella merda della merda del mondo
Helène accasciata all’alba accanto a Orione
la pancia di un figlio che non ha pane
che eppure vive nel regno
di d-o bokonzi wa mama nzambe
coloro che hanno sete pecore
di giustizia e fame senza pastore il figlio dell’uomo
col naso camuso mwana wamoto
che eppure vive mama nzambe
la prova del fallimento di un mondo di là
Sophie all’ospedale il figlio morto
neanche la forza di sorreggerlo
dall’abisso del regno di d-o.