lunedì 14 luglio 2025

La partita di pallone

È sera e, per coccolare il vuoto della mia stanchezza, la cullo sul divano, in una quiete semioscura, mentre m’impasto la bocca con un bicchiere. Con quest’amarezza scorro qualche immagine sul cellulare e casualmente m’imbatto in qualche foto di alcuni miei compagni delle medie, poi, incuriosito, proseguo da me questa ricerca e cerco quell’altro, che proprio non sopportavo, poi l’amico dal sorriso che mi rassicurava, e poi ancora un altro: “come faceva quel cognome strano?”. Passo un’ora a racimolare i loro nomi, i loro volti, le storie vissute assieme.

Il primo che incontrai casualmente, di cui mi ricordo ancora gli occhi limpidi, lo spaccone che m’impegnavo a perdonare, quello che se n’è andato d’improvviso, senza che io ne potessi capire molto più, e poi tutti quelli che neppure io ricordo più distintamente…

Sono passati decenni da quei ricordi ormai polverosi e i miei compagni non li ho mai più rivisti, non ho più rivisto nessuno. Eppure ci sentivamo grandi nei nostri discorsi e tanto la nostra amicizia quanto i nostri litigi sembravano di un marmo destinato all’eternità, di un’importanza che ci avrebbe segnato. Quando un giorno seppi che li avrei lasciati, era maggio, corsi su un balcone e piansi tutto il pomeriggio, giurando a me stesso che non avrei dimenticato ciò che fino ad allora era stata la mia famiglia, la mia vita.

Le lunghe partite pomeridiane a calcio, in cui non ero granché, ma sfidavo i ragazzini più bravi e più grandi, correvo correvo correvo, le chiacchierate pomeridiane senza un perché, la scoperta incantata dei primi testi in latino e greco e le risate più becere in classe, i pianti, sì, anche i pianti, i primi amori e quelle confidenze più cocenti di cui non sono più capace perché ne ho perso l’ingenuità: tutto ciò che più di vent’anni fa chiamavo vita ora non è più nemmeno rifilato in qualche solaio dimenticato, poiché non ha più voce e non ha più luogo. Sono anche abbastanza certo che nessuno di questi miei compagni si ricorda più di me, di quello che allora ero io. Figurarsi se potesse riconoscermi ora, che sono passati anni dalla mia ultima partita di pallone.

In effetti è cambiato tanto dai miei occhi di allora e il mio volto si è fatto meno scavato, più distaccato, di un sorriso talvolta più ipocrita e poi, lo so bene, non piango più, non so più piangere. Ho viaggiato lontano, ho condiviso. molto, sperperato qualcosa di quanto avevo, ho tenuto poco per me. Forse nemmeno quell’io di anni fa non mi riconoscerebbe oggi, o non avrebbe piacere a riconoscersi. D’altronde continuare a vivere equivale a collezionare foto nei falò. A esser fortunati, magari distinguerebbe ancora la falcata sulla fascia sinistra, anche se imbolsita e lenta, qualche dribbling, la foga di attaccare, di difendere, di giocare, con tutta la mia rabbia. Attaccare, difendere, giocare, con tutta la mia rabbia.

C’è che ce l’ho messa tutta, a seguire i miei sogni, ma poi la strada si è fatta più stretta, io sempre più solo, la notte sempre più spaventosa. C’è che io ho cercato sempre di tenderti la mia mano, ma dovevo proseguire, capire come andavano le cose, probabilmente anche ferirmi, e poi ferire. C’è che sono sempre stato il solo a credere in me, o quantomeno alle mie parole, qualche volta ho vinto e più spesso ho perso, poi mi sono stancato e mi sono seduto a guardare. Non mi va neppure di starmene a capire o a spiegare le ragioni.

È passato tanto tempo, troppo anche per riguardarsi indietro e provare a trarre fuori, come per miracolo, un senso a quegli anni e a quegli incontri: il tempo ha bruciato ogni traccia e non è più il tempo per giocare. Eppure, socchiudendo un attimo le palpebre, mi sento ancora quel ragazzino, insicuro, inesperto, senza voce, che corre nel campo di terra e polvere. E non sono solo, poiché vi ho ancora tutti davanti, vi vedo uno a uno alla luce di questo sole di maggio: oggi è un pomeriggio di studio, ma prima di tornare sui libri scendiamo al campo, in maglietta, pantaloncini e con le scarpette sporche. Testa o croce per fare le squadre, veloci, per il campo o la palla. Iniziamo un’altra volta, amici, iniziamo ancora, come se fosse oggi, questo passato cancellato. Chiedo palla, e corro, attacco, difendo, gioco con tutta la mia rabbia.