il tempo il cammino gli amici incontrati
mi convincono giorno per giorno sempre più
che lo scontro in atto non sia
tra musulmani e cristiani
neri e mundele
preti e atei
uomini e donne
ricchi e poveri
omosessuali ed etero
professoroni e analfabeti
immigrati e italiani
padri e figli
nemmeno tra barbari e romani
ma tra chi trincea se stesso, chi possiede la ragione e semina odio
e chi, per amarsi, cerca di coltivare il dialogo e ha il coraggio di ri-conoscere l'altro, alla ricerca faticosa di una verità, in cammino verso la pace.
e che a volte sia solo questione di atteggiamenti quotidiani, mescolati e sfumati.
"et Pax in terra hominibus bonae voluntatis".
"mpe o nse Boboto na bato ba ye ba bolingo".
giovedì 15 giugno 2017
mercoledì 31 maggio 2017
pagine di diario - odrele
Martedì 9 maggio 2017
ODRELE. Poche settimane, piange a
letto, solo. Mi avvicino, chiedo, do un’occhiata alla fiche: malaria, anemia, malnutrizione,
piaghe nella zona anale. Caso frequente, caso grave, nonostante sia arrivato in
ospedale e nonostante la trasfusione in corso, l’ho imparato anche io. Gli
porgo un dito e lui con la sua manina lo stringe forte, manina da pelle
sfinita, e smette di piangere. Poco dopo vedo arrivare la mamma, Aloko, non più
di 14 anni, con un viso da bambina e seni grossi da madre, occhi inesperti e
impauriti. Ingravidata da qualche ragazzo in un rah notturno del suo villaggio, Modusu, lasciata sola come una bambina
con la sua bambola.
Arriva anche la nonna, che avrà
la mia età, solcata dalla fame, e sul suo dorso un altro bambino: anche lui
soffre visibilmente di malnutrizione, lo dicono le occhiaie gonfie, quei ciuffi
di capelli ingialliti. Saluto e torno ai miei lavori.
Ripasso per caso dopo un paio di
ore: nella corsia la mamma si tiene la nuca con le mani, come un ragazzino in
panico; capisco e corro a chiamare un infermiere, ma è solo per constatare il
decesso.
ENEKU ODRELE, di 5 mesi, nato in
un giorno imprecisato di novembre e spentosi il 9 maggio, figlio di Odrele e
Aloko, cattolico, non è più. Non dorme, non dorme con quegli occhi bianchi che
non si chiudono, con quella bocca rigida e spalancata come a cercare un ultimo
respiro.
Justin, l’infermiere di turno,
incomincia a bendarlo con garze e pany e intanto canta, come se fosse l’ultima
ninna nanna per chi non ha conosciuto oltre la vita. È un canto sottovoce, un
canto inverosimilmente dolce e insieme struggente.
Rimane qui col corpo solo la
nonna, come per caso, guardandosi attorno, mentre la figlia è corsa fuori: la
rincontrerò a vagare fuori dal padiglione di chirurgia, con un’espressione
alienata e la riaccompagnerò mano nella mano. Storie di fame, di solitudini, di
disperazione senza voce.
Ma Dio si ricorderà di questo
nome, Odrele, o è già stato avvolto dal nulla?
Mercoledì 10 Maggio 2017
All’ospedale entra una nonna che
mi sorride e con la quale scambio allegramente due chiacchiere in lugbara, un
canto, due risate. È contenta, mi dice, perché ha raccolto dei manghi nella
brousse attorno e con questi riuscirà a trovare qualche soldo. Mi trovo appena
fuori dal cancello dell’ospedale con Benjamin e Michel, prendo il tempo di
qualche parola con loro.
Trenta secondi dopo la nonna
ritorna, sembra si diriga verso me, anzi cerca proprio me, ma con
un’espressione molto differente da poco prima: “mundele, akufi!” dice, e
capisco immediatamente anche io.
Ha lasciato i manghi a terra e
corre a casa ad avvisare il resto della famiglia, mentre la notte scende e
lacrime rigano fitte il suo volto, la voce è stravolta. Anche Monde è morto e vedo
che il suo letto è già occupato: ADRIKO TOTO, con una mamma appena tredicenne,
che mi sorride e spera, mentre è in corso la trasfusione di sangue, mentre il
ventre ondeggia disperato e gli occhi tremano all’indietro. Dice di avermi già
incontrato alla festa di Kamakà a Pasqua, io le sorrido e intanto mi chiedo “Dio
si dimenticherà di loro?” mi chiedo “Dio si dimenticherà anche di loro?”.
Ne guarisce uno e ne entrano altri
cinque.
È una mietitura di sangue e
innocenti.
È la strage di Erode a Betlemme.
E prima di chiudere gli occhi,
stasera, senza ben capire perché, mi appaiono le parole “Non uccidere” e ne
sento i brividi di terrore.
Venerdì 12 Maggio 2017
Stamattina Toto è morto.
È venuta la mamma stessa,
Bhileni, a dirmelo; è passata a cercarmi alla cassa e mi ha parlato con un
sorriso timido sul volto. È forse per questo che ho pensato di non aver ben
capito, ho chiesto conferma a Noella ma c’era troppo trambusto. Ieri avevo dato
loro qualche soldo per un pasto decente e ieri sera gli occhi di Toto mi riconoscevano,
quasi sorridevano: anche se non sapeva parlare, ne sono sicuro.
Il tempo di arrangiare ciò che sto
facendo e, arrivato in pediatria, lei è già partita col suo corpicino, il suo
posto è occupato da un altro.
Chiedo a Mireille: “Sì, il
bambino del primo letto è morto”, ma stavolta non ce l’ho fatta, ad avvicinarmi
al nuovo arrivato.
Silenzio. I pugni allo stomaco
fanno male anche quando te li aspetti.
Silenzio. Lo sapevi, Lele.
Silenzio.
Ne guarisce uno e ne entrano
altri cinque, mi ripeto chiudendo gli occhi, respirando l’aria calda e la
sabbia del cortile: torna a finire il tuo lavoro, Lele.
Ma io che posso fare? Io non
posso fare nulla, ma non per questo mi devo arrendere.
I poveri si prendono tutto,
talvolta anche quello che non avresti voluto dare. Anche il dolore.
Spesso ti riempiono di gioia,
altrettanto spesso ti fanno perdere ogni pazienza e tornare nero nella tua
stanza chiusa.
Alcuni sono riconoscenti, da
altri ti senti usato e acconsenti più o meno volentieri.
Certo è che i poveri non sono
migliori dei ricchi (come peraltro neanche viceversa): non sono più belli, più
gentili o più umili, più sinceri o più intelligenti, mai creduto, ma vivono del
nostro stesso cielo e soffrono, oppressi da un’ingiustizia muta ma violenta.
I poveri si prendono tutto,
talvolta anche quello che non avresti voluto dare, ma è giusto che sia così.
Sabato 13 maggio 2017
La verità, pensavo oggi, è che
siamo in guerra, e non da oggi.
Una guerra dell’indifferenza,
dell’arroganza e di un materialismo becero, cieco, animale. Una guerra contro
il dialogo, il pensiero attivo, contro la nostra spiritualità e ogni concetto
di verità. Mica una guerra retorica, una guerra di idee, poiché il sangue cola
e i deboli sono vittime: è una guerra assassina, se penso a miriadi di
situazioni dappertutto, dai paesi sottosviluppati, ai paesi del Medioriente,
dai disoccupati, dai disadattati delle nostre città alle baraccopoli indiane
c’è un sistema malato che toglie vita.
Lo dico senza dietrologie: è solo
il diluvio che perdura, la fine di un mondo. Lo scrivo senza demonizzare il
diverso, senza paura dell’altro, senza terrore del nuovo, senza invocare
rivoluzioni, ma solo una coscienza.
È un’evidenza che il mondo
dell’opulenza può reggersi solo grazie a un mondo parallelo di oppressi, che il
lusso insensato di qualcuno è l’altra faccia della medaglia di Odrele e di tanti,
troppi, altri. E questo sistema passa nell’indifferenza, nell’apatia, in
quell’accettazione impotente che non ricorda più cosa fosse “uomo”, di come la
parola “umanità” si possa declinare unicamente al plurale.
Qui i cittadini disprezzano
quelli che vengono dai centri provinciali, che disprezzano a loro volta chi
viene dai villaggi, che bollano con disprezzo chi viene dalla brousse: coloro
che sono in difficoltà preferiscono dare contro a coloro che sono ancora più
deboli, piuttosto che guardare in faccia ciò che li sta annientando, sembra una
legge universale. In Europa non avviene lo stesso? La situazione è complicata e
merita equilibrio, saggezza, ma spesso sembra che si possa risolvere tutto
accanendosi rabbiosamente contro immigrati, scappati dalla disperazione: come
se il problema principale, in uno stato in cui le riforme hanno dato il passo a
corruzione e mafie, uno stato privo di slancio culturale e di
imprenditorialità, sepolto da un’identità dimenticata e burocrazia, fossero
loro. Come se si potesse distruggere una cultura dall’esterno, e non fosse
invece già marcia interiormente.
La morte dei sogni è la fine del
mondo. Il diluvio.
Io, col mio carattere pessimo,
ingarbugliato e cocciuto, rancoroso e insicuro, con le mie unghie sempre
mangiucchiate e gli occhi bassi, so che le parole, i valori, i sogni sono
reali, sono validi solo se “incarnati”: non si inventano, non hanno bisogno di
difesa né si proclamano a vanvera, ma hanno vita nelle persone e nelle loro
scelte concrete, quotidiane, controcorrente. Verbum caro factum est, qualcuno scrisse. Dove sono finiti i nostri
sogni di fraternità, di giustizia? Li abbiamo rimessi in tasca? La verità è che
lo sappiamo, vediamo il diluvio che dilaga lentamente, ma preferiamo chiudere
gli occhi: ci accontentiamo di un pasto caldo e qualche passatempo, rigirandoci
in una perenne alienazione, in una continua lamentazione, ossessionati da
paure, tanto da non agire che per queste, senza più esserne protagonisti, della
nostra c…o di meravigliosa vita. Si segue un egoismo esasperato, si grida alla
libertà per poi perdere la propria autenticità in un mare magnum senza nome,
massa incolore, indifferente, mentre la stanchezza dell’abitudine ci ha
narcotizzato. Forse è solo una questione di comodità, il diluvio. La fine del
mondo, la fine di un mondo, il diluvio ecco: sostituire il sogno con la
sopravvivenza, con il terrore. Ciascuno salvi se stesso? No, ciascuno salvi la
propria piccola fiammella, ma la salvi all’altro,
verso l’altro, verso un mondo futuro,
rinnovato, migliore. “La mia vita è inserire vita dove c’è la morte”.
Nella testa ho ancora il nome di
Odrele. No, neppure Dio lo ha dimenticato, ne sono sicuro, e neppure il suo
volto, che io già confondo con quello di tanti altri: non lo dimenticherà e il
mondo stesso ne chiederà conto, di questo suo figlio. Il sogno di Dio non è
questo, il sogno dell’uomo era altro, era più alto, ma chi non si alza si
allinea. E io so, lo conosco attraverso questi miei nuovi compagni, che si può
insultare, oltraggiare, deturpare, violentare, uccidere, devastare la vita, la
si può persino annientare, ma la vita è più forte e rigermoglia, silenziosa e
ogni volta e per sempre: no, la vita non la si può sconfiggere. Neppure in
questa guerra.
Heritier, mi ha detto Suza, è guarito.
Heritier, mi ha detto Suza, è guarito.
Ho finito, di scrivere, di
piangere, di gridare. Solo ora mi accorgo che la persona contro cui mi infuoco
tanto è il mio piccolo io.
venerdì 26 maggio 2017
venerdì 12 maggio 2017
Pasqua 2017
non voglio raccontare visioni
fantastiche come se fossero reali:
io racconto la realtà come una visione.
sulla strada petrosa per Kamakà con tre coriste
“Pasika malamu” incontrate sulla strada
petrosa per Kamakà mentre un
bimbo
lacrimava la mamma camminava
spedita avanti e al dorso il
figlio che strillava
avanti occhi duri
fissi avanti il figlio urlava una
disperazione
che nell’uomo non sa finire
il peso grava. “motengoli ozolumba
masuba” commentano di Gillien lo storpio:
“puzza di piscio”, ridendo di
quella disperazione.
ciascuno si trascina la sua
ombra, finché annuncia
un angelo dalla tenerezza di
donna:
niente. niente è incurabile
nemmeno quanto è inguaribile
niente è incurabile. niente.
e restava la casa delle scimmie
e restava anche il bosco dei
manghi
che chiamano incantato e io per
una volta
ci credo continua la strada sette
miglia
petrosa di Kamakà poiché alla
fine
ci saremmo arrivati, alle danze,
sette miglia,
alla gente (arriva anche Gillien
e ceste di manghi maturi) alla
musica
chiassosa alla festa: è Pasqua.
chiassosa alla festa: è Pasqua.
mercoledì 3 maggio 2017
vi chiedo AIUTO
“ndeke azali na mabele te, kasi akolisaka bana na ye”
perché disturbarvi con tutto questo e scrivere di un villaggio lontano, di questo mondo altro?
dapprima capita, stando qui, di
prendere facilmente coscienza di essere fortunato, eppure col tempo questa percezione si
mescola a un sentimento dal sapore più amaro, a un silenzioso senso di
ingiustizia.
mi rimane impressa la frase
finale di uno dei miei film preferiti, vecchiotto ma che di certo alcuni fra
voi avranno ben presente, The Mission di Joffé, sì quello con Robert De Niro e un
grandioso Jeremy Irons:
“il mondo è così. no, così l’abbiamo fatto
noi, questo mondo, così l’ho fatto io”. e se per molti è facile trovare
argomenti per giustificare queste ingiustizie, anche io credo tutto questo sia costruito da noi, dalla nostra storia e
non da altro. perciò vi scrivo e provo, timidamente, senza volervi disturbare,
a chiedervi un favore.
la Repubblica Democratica del Congo il prossimo inverno entrerà in
guerra, attorno al prossimo dicembre. non voglio essere catastrofista e non
voglio fare preoccupare nessuno, poiché io sto alla grande e sono più che al
sicuro, qui nell'Ituri, grazie al VOICA e alle madri canossiane, io.
non sono nemmeno diventato un
profeta, ma quel che verrà non è difficile da prevedere, se la situazione
rimarrà questa. qual è la situazione?
non è facile riassumere tutto, ma
ci provo, di pancia, sperando che mi perdonerete qualche semplificazione:
in questa storia ci sono un
presidente, un’opposizione e una popolazione; come i protagonisti di qualsiasi
Paese apparentemente normale, direte voi, se non che…
il presidente, Joseph Kabila, eletto regolarmente nel 2006 e rieletto
(più o meno regolarmente) nel 2011, ha finito il suo mandato mesi fa, lo scorso
19 dicembre, una giornata che ha vissuto altissime tensioni interne. l’ennesimo
padre della patria/dittatore africano? lascio rispondere a voi, ma no, lui non ci
pensa proprio a dimettersi, forse anche considerati gli immensi vantaggi
economici che accompagnano questo ruolo (qui si racconta sia uno delle dieci
persone più ricche al mondo, ma non saprei bene come verificare), allora tarda,
cerca di forzare la costituzione per rendere ammissibile la sua candidatura per
un eventuale terzo mandato a delle ipotetiche prossime elezioni il prossimo
dicembre, finge un dialogo con la CENCO (la conferenza dei vescovi congolesi),
che ha anche partorito un compromesso, quello della “notte di S. Silvestro”… ma
di cui non si è fatto più nulla, carta straccia dimenticata. dice che il Paese
non ha abbastanza fondi, per queste benedette elezioni, e attende, si nasconde,
tanto che è più di due mesi che non fa apparizioni pubbliche, rendendo il Paese
sempre più instabile, ingovernabile, tra lo sfruttamento minerario selvaggio da
parte delle potenze mondiali, l’invadente propaganda di regime e i ribelli in
numerose regioni: non si dimetterà, nemmeno a dicembre, quando il suo mandato
sarà scaduto ormai da un anno; non si dimetterà e non ci crede più nessuno.
poi c’è l’opposizione, che da anni si divide in centinaia di protagonismi
risibili: la divisione più recente è stata causata dall’eredità spirituale di
Etienne Tshisekedi, padre della patria morto poche settimane fa, il 1 febbraio
2017. tafferugli e scontri dialettici per la sua salma, ma nessuna proposta,
nessuna unione, insomma nulla di nulla. d’altronde l’attuale e fresco primo ministro,
Bruno Tshibala, lo insegna bene: basta ricevere una poltrona, qualche soldo per
resettare ogni attrito col potere. è desolante constatare come le beghe
politiche, che dovrebbero portare alla promozione umana, nella realtà
quotidiana la annichiliscano.
infine, in fondo, quasi
dimenticata, rimane la popolazione,
ovviamente frustrata, vittima di tutto questo: viene da anni di fame e povertà,
di guerre e massacri che faccio fatica a raccontare, ha vissuto una dittatura
più che trentennale con Mobutu, vive ancora oggi schiacciata da uno stato di
polizia assurdo e da una corruzione dilagante. se vi dicessi, citando solo un dettaglio
fra mille, che le forze dell’ordine, anche negli alti ranghi, si sostentano non
con una paga regolare ma opprimendo le fasce più povere e indifese? che
raramente, se non mai, intervengono senza una mazzetta? i più disperati, i più cinici, i più facinorosi
si adeguano alla fiumana o si ribellano con piccoli tumulti contro il governo o
chiunque possa apparire suo complice. sì, si parla già di fosse comuni, in
seguito agli scontri con l’esercito. a Kinshasa, il centro nevralgico di questa
insofferenza, ho visto alcune chiese bruciate, ho conosciuto una suora belga a
cui, nel Kasai, minacciavano di tagliare le orecchie come vendetta contro i
vescovi che, a loro modo di vedere, non riescono a convincere il presidente a
fare un passo indietro. semplice capire dove andrà a incanalarsi tutta questa
rabbia, facile prevedere in quale abisso cadrà la RDC su questo sentiero.
e la comunità internazionale? beh, guarda dall’esterno, fa tenui denunce formali (di poche settimane fa quella dell’UE) ma rimane troppo coinvolta dagli immensi interessi commerciali nel Paese per poter alzare la voce, anzi probabilmente si appresta solo a incoronare, a legittimare il primo vincente di turno.
per quanto mi riguarda non mi interessa chi abbia o meno
ragione ma è straziante, straziante,
straziante pensare che tante persone a cui voglio bene, tante opere buone
fatte in questi anni, tanti progetti per il futuro di un popolo, generazioni di
bambini e ragazzi già provati da ogni sofferenza possano fra qualche mese
essere cancellati, annullati, annientati, per l’ennesima volta, dalla cecità
della violenza. straziante.
spero di non essere stato troppo
chiaro ed esplicito, ma è la realtà è questa: se tutti continueranno a lavarsi
le mani, se noi continueremo a pensare quanto sia tutto inutile o lontano, la
Repubblica Democratica del Congo il prossimo inverno entrerà in guerra, con
milioni di morti innocenti, come spesso succede, come è già successo.
cosa si possa fare neanch'io forse lo so e proprio per questo chiedo aiuto a voi: aiutateci, aiutateli, finché siamo in tempo, non lasciamoli soli, distanti, ma al contrario avviciniamoci. non so che si possa fare, davvero, e non si può donare se non spontaneamente, ma vi chiedo un solo favore, timidamente,
senza volervi disturbare: leggete, parlate, scrivete, cantate, condividete, danzate, venite,
litigate o quello che preferite, ma fate, fosse solo anche pensare: è tutto
vero e non guardiamo all'ennesima tragedia dell’Umanità come estranei, come dal
finestrino, come se noi, i nostri cellulari e il nostro mondo non c’entrassimo
niente.
e anche se dovessimo sentirci
inutili, qui c’è questo proverbio, “ndeke
azali na mabele te, kasi akolisaka bana na ye”, che potrebbe suonare più o
meno così: “il passero non ha mammelle, eppure nutre lo stesso i suoi infanti”,
e in questo io ho fiducia spassionata.
grazie, di cuore, anche solo per aver letto sino a qui.
Emanuele
ps. per sapere di più, date
un’occhiata anche qui, per un Congo raccontato dai Congolesi:
mentre in italiano:
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