Dissipa il giorno,
Mostra agli uomini le immagini svincolate dall'apparenza,
Toglie agli uomini la possibilità di distrarsi.
E' dura come la pietra,
La pietra informe,
La pietra del movimento e della vista,
E il suo bagliore è tale che tutte le armature, tutte le maschere ne vengono distorte.
Quel che la mano ha preso disdegna persino di prendere la forma della mano,
Quel che è stato inteso non esiste più,
L'uccello s'è confuso con il vento,
Il cielo con la sua verità,
L'uomo con la sua realtà.
P. Eluard, Lo specchio di un istante, da La capitale del dolore (1926)
Cosa vale un istante? Quanto ci facciamo illudere da un attimo? Eppure la nostra esistenza è scandita da cumuli di istanti inutili, posti bene in fila secondo un rigido ordine casuale. In un attimo voliamo e poi in un attimo ricadiamo a terra, in un istante sogniamo quel che un istante dopo i calcoli annichiliscono: questa è la serie dei nostri istanti umiliati, come innamorati cui non si presta fede.
Eppure Eluard scrive con lo scroscio dolce e profumato di un fiume di montagna. Eluard scrive con la materialità delicata delle nuvole della Castiglia. Eluard scrive con gli occhi fermamente aperti di chi sa sognare. Gli bastano infatti poche parole, una manciata di versi, per trasformare delle sillabe in sentimenti, le lettere in nuove realtà.
Così in questo testo l'istante, quell'attimo fuggitivo e fragile, assume i contorni duri della pietra, inflessibili di una rivelazione e rivoluzionari di un amore, una pietra dinamica che si muove e vede: qui il lettore trova una luce, forse fioca e confusa, ma una luce viva. No, l'attimo non è più un fantasma passeggero e privo di senso nella giornata distratta, ma, liberato dallo sguardo surrealista, diventa una certezza più perentoria della stessa realtà.
Ecco che anche in questo breve componimento emerge il procedimento del rovesciamento del reale tipico del Surrealismo, quanto più infatti un elemento appare certo e indubitabile, tanto più lo si mina alle basi, non attraverso un paradosso logico o un sillogismo, ma semplicemente attraverso la potenza illimitata dell'immaginazione: quel che è stato inteso non esiste più.
Questa presa di posizione non vuole essere una negazione del reale, ma esprime la consapevolezza che la nostra conoscenza è limitata, che al di là di quanto comprendiamo il mistero della vita è ancora più grande, ancora più potente, ancora più smisurato. Se riusciamo a intuirla, questa magia, questa corrispondenza senza risposte ci travolge. Questa è la confusione/unione tra uccello e vento, cielo e verità, tra l'uomo e la sua realtà. L'attimo diventa una verità ed è il resto, l'abitudine e la norma, la maschera e l'armatura, a perdere di ogni consistenza.
Cosa vale un attimo? Quanto può valere lo sguardo di un uomo: questo è lo specchio di un istante, che fugge e che è fuggito, la pietra a fondamento della nostra esistenza.
Nessun commento:
Posta un commento