e noi, che apprendiamo i colori attraverso l'intensità di un
profumo, che riconosciamo la primavera da un canto serale e il crepuscolo
autunnale da una foglia, come mai noi non afferriamo il volto di un'emozione
con uno sguardo? perché non scorgiamo l'immensità di un'idea grazie a queste
nostre mani?
sabato 7 dicembre 2019
mercoledì 20 novembre 2019
"come di neve in alpe sanza vento" (Dante, Inf. XIV, 30)
lunedì 4 novembre 2019
e riconobbi la mia ombra superarmi d'ombra
Mausoleo di Galla Placidia, dettaglio dei mosaici, Ravenna |
aspettavo che i noci strepitassero.
ed entrai nel bosco.
gli antichi marinai si orientavano con le stelle ripeteva l'insegnante delle elementari mentre fissavamo le righe dei nostri quaderni sporchi di inchiostro. per queste macchie ho cominciato a detestare dentro quell'orientamento mancino.
così in principio era bello stendere i panni al vento lasciando che le sue lusinghe li sventolasse in cinquanta bandiere di cento nazioni dei nostri mille pianeti, poiché avevamo la presunzione di intuire che quella fosse la rotta. io poi non faccio testo perché darei la vita intera per riavere eternamente la mia infanzia. seguimmo dunque il sentiero e arrivammo, anzi no, allora continuammo e arrivammo, però non ancora, riprendemmo e arrivammo, ma non proprio alla meta. ancora un poco, sempre ancora quel poco che permette una sosta distratta, una breve ricreazione, ma senza poter parlar di pace e, fermandosi, di esclamare "ah, casa!".
l'interiezione, si dice, è una parte invariabile del discorso che non ha un significato in sé stessa ma esprime il sentimento, uno stato d'animo,"ah, casa!". e ci ritroviamo anziani, così ci chiamano i ragazzi, a dimenticare il giorno festoso del nostro fastoso matrimonio, ma ad amare quel bacio timido e nascosto che fu il nostro primo amore. "ah, ti amo!". l'errore sentimentale dell'esistere: tutto un romanzo racchiuso nell'interiezione.
una gialla camicia a fiori, una betulla davanti alla finestra, davanti al dolce davanzale di calcinaccio, finché un mattino mio zio mi dice "è arrivato il tempo che la tagliamo". così la betulla fu sfrondata, recisa, tranciata e per me, io che mica pensavo c'entrassi con quest'affare, fu inconcepibile vedere il prato lontano dal colore indistinguibile d'infinito. ora è tanto più inconcepibile che la segatura della betulla riaffiori ancora talvolta tra gli steli del prato. riaffiora tra i tanti fiori.
quando a volta capita di passeggiare nelle catacombe, passeggiando nell'oscurità, queste puzzano sempre un po' di pesce, poiché la legge è sempre stata solo una: i padri divorano i figli o i figli decapitano i padri, forse per seppellire il ventre di Crono o per placare le furie d'Oreste.
ancora oggi, ora che le mie strade sono più lente e larghe, di notte sogno spesso, per compensare le giornate piane, e capita di incrociare per delle soleggiate spiagge sicule la maestra Lucia, nata sotto le ceneri dell'Etna, che mi consola ripetendo ancora una folle cantilena di tabelline, la santa della luce. quando ginnasiale ho accompagnato il mio professore per le strade deserte del medioevo non riconoscendomi mi ha chiesto chi fossi, prima di perdere ogni memoria, scivolandomi tra le dita sudate. i sogni sono al tempo stesso veri e oscuri, poiché nella loro umana oscurità risiede il vero, dunque non bisogna più scrivere segreti.
arrivai a otto anni pensando che il ciclista più forte dovesse essere sempre davanti e correre sempre più veloce, in ogni corsa, ad ogni tappa, sempre più forte e più veloce come una dittatura scientifica. non fu facile per mio padre, mentre sfilava per la provinciale il carosello delle maglie a tinte vivace, frenare il mio impeto inopportuno. analogamente conobbi tanti signori che preferivano soap opera e ne fui profondamente deluso: anche il cosiddetto benessere ha un peso insopportabile. così fu poi compito dei giorni mostrarmi gli eroi folli, gli eroi maledetti, gli eroi vinti nella polvere. Ettore, Villeneuve, Andrea Fortunato, Socrate, Adriano, ma mica l'imperatore, Lautréamont. è il segreto d'erba, che i ciechi riconoscono facilmente: piegarsi, senza muoversi, e poi rialzarsi al cielo.
il fieno ingiallisce in un giorno estivo. una gialla camicia a fiori. io darei la vita intera per riavere eternamente la mia infanzia, che conteneva tutto, come un'interiezione, e il profumo di quella betulla. "c'è ancora guerra" dice il contabile, "che freddo stamattina" ripete quotidianamente il pendolare, ma perché di loro nessuno sa correre, correre in testa, senza spazio per le paure. c'è sempre guerra, qui e altrove, poiché dappertutto è primavera.
poche ore dopo, uscendo finalmente dal bosco, lontano come un sogno, lo strepito di noci, come un saluto attutito dall'intimità. riconobbi l'ombra che superava la mia ombra e riconobbi la mia ombra superarmi d'ombra.
Mausoleo di Galla Placidia, dettaglio dei mosaici, Ravenna |
mercoledì 16 ottobre 2019
Nshuti Mababazi, Sikuta Tutambule
Nshuti Mababazi, Sikuta Tutambule, di Bobi Wine, in lingua
luganda
"il mio cuore è spezzato / ma so che anche il tuo cuore è spezzato /
ovunque sembra che le persone siano depresse / ciò che si aspettano è diverso
da quello che vedono / e gli altri si stancano di loro / sono infastiditi che
non si segnali nulla / e dove vorresti aver riferito / è anche difficile
ottenere giustizia da lì / ti dico di non fermarti / quando cadi alzati subito
e cammina / non c'è niente di facile al mondo / il viaggio è lungo / alziamoci
e proseguiamo.
Alzati e andiamo avanti / la situazione è demoralizzante / ma non mollare,
andiamo avanti / il viaggio è lungo / ma se persistiamo raggiungiamo la nostra
destinazione / alziamoci e andiamo avanti / la situazione è demoralizzante / ma
non mollare, andiamo avanti / non mollare, andiamo avanti / piangiamo mentre
vai avanti"
domenica 13 ottobre 2019
Lautréamont, I Canti di Maldoror, II, 6
Com'è carino quel bambino che se ne sta seduto su una panchina del giardino delle Tuileries! I suoi occhi arditi lanciano frecce a qualche oggetto invisibile, in lontananza, nello spazio. Non deve avere più di otto anni, eppure non si diverte come converrebbe. Dovrebbe almeno ridere e passeggiare con qualche compagno, invece di restare solo; ma non è nel suo carattere.
Com'è carino quel bambino che se ne sta seduto su una panchina del giardino
delle Tuileries! Un uomo, mosso da un disegno segreto, si siede accanto a lui,
sulla stessa panchina, con fare equivoco. Chi è? Non ho bisogno di dirvelo; lo
riconoscerete dalla sua conversazione tortuosa. Ascoltiamoli, non
disturbiamoli:
- A che pensavi, bambino?
- Pensavo al cielo.
- Non serve che tu pensi al cielo; è già abbastanza pensare alla terra. Sei
dunque stanco di vivere, tu che sei appena nato?
- No, ma chiunque preferisce il cielo alla terra.
- Ebbene, non io. Poiché il cielo è stato fatto da Dio, come la terra, stai pur
certo che vi incontrerai gli stessi mali di quaggiù. Dopo la morte non sarai
ricompensato secondo i tuoi meriti; infatti, se su questa terra ti infliggono
ingiustizie (come più tardi proverai, per esperienza), non c'è ragione perché
nell'altra vita non te ne vengano inflitte ancora. Ciò che puoi fare di meglio
è non pensare a Dio, e farti giustizia da te, dal momento che ti viene
rifiutata. Se uno dei tuoi compagni ti offendesse, non saresti forse felice di
ucciderlo?
- Ma è proibito!
- Non quanto credi. Si tratta soltanto di non farsi prendere. La giustizia
stabilita dalle leggi non vale niente; conta soltanto la giurisprudenza
dell'offeso. Se tu detestassi uno dei tuoi compagni, non ti renderebbe infelice
l'idea di avere ad ogni istante il pensiero di lui davanti agli occhi?
- È vero.
- Ecco dunque un compagno che ti renderebbe infelice per tutta la vita;
infatti, vedendo che il tuo odio è soltanto passivo, non la smetterebbe mai di
provocarti e di farti impunemente del male. C'è dunque un solo mezzo per far
cessare questa situazione; sbarazzarsi del proprio nemico. Ecco dove volevo
arrivare, per farti capire su quali basi è fondata la società attuale. Ognuno
deve farsi giustizia da sé, altrimenti è soltanto un imbecille. Colui che
riporta la vittoria sui propri simili è il più astuto e il più forte. Non
vorresti, un giorno, dominare i tuoi simili?
- Sì, sì.
- Allora devi essere il più forte e il più astuto. Sei ancora troppo giovane
per essere il più forte; ma fin da oggi puoi usare l'astuzia, lo strumento più
bello degli uomini di genio. Quando il pastore Davide colpì in fronte il
gigante Golia con una pietra lanciata con la fionda, non è forse ammirevole
notare che soltanto grazie all'astuzia Davide ha vinto il suo avversario, e che
se, al contrario, si fossero affrontati in un corpo a corpo, il gigante
l'avrebbe schiacciato come una mosca? Lo stesso vale per te. In una guerra
aperta, mai potrai vincere gli uomini su cui sei ansioso di imporre la tua
volontà; ma con l'astuzia potrai lottare da solo contro tutti. Desideri le
ricchezze, i bei palazzi e la gloria? o mi hai ingannato quando mi hai
dichiarato queste nobili pretese?
- No, no, non v'ingannavo. Ma è con altri mezzi che vorrei ottenere ciò che
desidero.
- Allora non otterrai proprio niente. I mezzi, virtuosi e bonari non portano a
nulla. Occorre impegnare leve più energiche e intrighi più sapienti. Prima che
tu diventi celebre con la tua virtù e raggiunga il tuo scopo, altri cento
avranno tutto il tempo di farti capriole sulla schiena e di terminare la
carriera prima di te, e così non vi sarà più posto per le tue idee anguste.
Occorre saper abbracciare con maggiore apertura l'orizzonte del tempo presente.
Per esempio, hai mai sentito parlare della gloria immensa che procurano le
vittorie? Eppure le vittorie non si compiono da sole. Occorre versare sangue,
molto sangue, per generarle e deporle ai piedi dei conquistatori. Senza i
cadaveri e le membra sparse che tu scorgi nella pianura dove saggiamente si è
prodotta la carneficina, non ci sarebbero guerre, e senza guerre non vi
sarebbero vittorie. Come vedi, quando si vuole diventare celebri, è necessario
immergersi con grazia in fiumi di sangue alimentati dalla carne da cannone. Il
fine giustifica i mezzi. La prima cosa, per diventare celebri, è avere denaro.
Ora, poiché tu non ne hai, occorrerà assassinare per procurarsene; ma poiché
non sei sufficientemente forte per maneggiare il pugnale, fatti ladro,
nell'attesa che le tue membra si siano irrobustite. E affinché si
irrobustiscano più in fretta, ti consiglio di fare ginnastica due volte al giorno,
un'ora al mattino e un'ora la sera. In questo modo potrai tentare il delitto,
con un certo successo, a partire dall'età di quindici anni, invece di aspettare
fino a venti. L'amore della gloria giustifica tutto, e forse, più tardi,
padrone dei tuoi simili, farai loro del bene quasi pari al male che avrai fatto
loro all'inizio!
Maldoror si accorge che il sangue ribolle nella testa del suo giovane
interlocutore; le sue narici sono dilatate, e le labbra emettono una leggera
schiuma bianca. Gli tasta il polso; le pulsazioni sono velocissime. La febbre
si è impadronita di quel corpo delicato. Teme le conseguenze delle proprie
parole; si defila, lo sciagurato, contrariato per non essersi potuto
intrattenere più a lungo con quel bambino. Se in età matura è tanto difficile
dominare le passioni, in bilico tra il bene e il male, che cosa può mai
accadere in una mente ancora piena d'inesperienza? e quanta energia relativa
può occorrergli in più? Il bambino se la caverà con tre giorni di letto. Voglia
il cielo che il contatto materno porti la pace in quel fiore sensibile, fragile
involucro di un'anima bella!
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