domenica 28 settembre 2014

a matita ben appuntita


le piastrelle procedono pedisseque
parallele su un pavimento pulito
piatto
sembra sconfinato in cui non appare
casa dove sei tu papà dove finisti
mamma? le redini il fianco la
diserzione
coatta e la paura del buio ho calli di lacrime
all'imbocco della tangenziale nord strati
d'asfalto su asfalto
infranto si avvisa la gentile clientela che
la mia carne è sapida e delicata in sangue
di fragole l'umanità è stata strategicamente
concepita senza senza progenitori senza eredi senza
il nostro concetto di cosa denominabile implica la considerazione delle intenzioni della persona che ha prodotto
la cosa stessa, dolce mercenario,
verranno cieli nuovi

vaneggio


genesi del possesso compulsivo i parchi le biblioteche
che si manifesta processo conscio e autoappagante di un surrogato
di creazione sub-ispirata (a questo
padre nacqui?) le fogne ferali il costume
mondano del battezzato che mai s'immerge poiché
quando la fine s'approssima
la tendenza trasgressiva dell'eccesso
dilaga
ti ho perso padre io ti
ammazzai madre
le folate il vento schiarivano
l'oscurità della notte le gocce
il sangue stese perle pupille
è crollato il cielo dico io
io dico solo che il volo
di un seme spiega la betulla
piegata nel turbine
e bianca è crollato
insopportabile il nostro cielo di pelcro
nozioni di vicinanza e lontananza
relative nell'accartocciarsi di un ridente tramonto d'occidente
dentro fioriscono i diluvi fuori
la notte testimonia quanto il giorno non sia
sufficiente userò vecchi sandali una cara
camicia mal rassettata patria
sì bella e perduta
andrò dove mi aspettano


vaneggio

Aldo  Galli, Senza titolo, 1970

mercoledì 17 settembre 2014

ma questa dannata cantata sognata età dell'oro è esistita o no alla fine?



tu commença ta vie
tout au bord d'un ruisseau
tu vécus de ces bruits
qui courent dans les roseaux
qui montent des chemins
que filtrent les taillis
les ailes du moulin
les cloches de midi
soulignant d'un sourire
la chanson d'un oiseau
tu prenais des plaisirs
à faire des ronds dans l'eau

aujourd'hui tu ballottes
dans des eaux moins tranquilles
tu t'acharnes et tu flottes
mais l'amour, où est-il ?
l'ambition a des lois
l'ambition est un culte
tu voudrais que ta voix
domine le tumulte
tu voudrais que l'on t'aime
un peu comme un héros
mais qui saurait quand même
faire des ronds dans l'eau

s'il y a tous ces témoins
que tu veux dans ton dos
dis-toi qu'ils pourraient bien
devant tes ronds dans l'eau
te prendre pour l'idiot
l'idiot de ton village
qui lui est resté là
pour faire des ronds dans l'eau
pour faire des ronds dans l'eau

inizi la tua vita

dal bordo di un ruscello
hai sentito quei rumori

che corrono tra i roseti
che salgono dai sentieri
che trapelano dai boschi
le pale del mulino
le campane di mezzogiorno
sottolineando con un sorriso
la canzone di un uccellino
ti piaceva
fare cerchi nell’acqua

oggi ti sballottano
acque meno tranquille
ti accanisci e fluttui
ma l’amore dov’è?
l’ambizione ha le sue leggi
l’ambizione è un culto
vuoi che la tua voce
domini il tumulto
vorresti che ti amassero
un po’ come un eroe
ma chi saprebbe 
fare cerchi nell’acqua come te?

con tutti quei testimoni
che vuoi portarti dietro
potrebbero benissimo,
davanti ai tuoi cerchi nell’acqua,
prenderti per l’idiota
l’idiota del paese
che è restato là
a far cerchi nell’acqua
a far cerchi nell’acqua





credo che se non credessi nell'età dell'oro, nell'età della mia lontana innocenza, nel tempo di una mia arcana felicità, non avrei forze e non avrei speranza per poter credere che nella vita è ancora possibile la felicità. 
non si può volare se non si è conosciuto il cielo.
l'idea di progresso è opprimente, fallace e angusta. ex nihilo nihil: non può esistere ciò che non è mai esistito. all'interno di un sistema chiuso tutto si trasforma, ma nulla si crea e nulla si distrugge, neppure un sorriso.
l'idea che si è stati felici e si può tornare a esserlo abbracciando in modo autentico la propria fiamma più nascosta e remota è tanto bella che non può non essere vera, anche solo per una necessità estetica dell'essere.





giovedì 10 luglio 2014

innere sicherheit / misure di sicurezza interna (h.m. enzensberger)

tento di sollevare il coperchio,
logicamente, il coperchio
che chiude la mia cassa.
non che sia una bara, questo no,
è solo un involucro, una cabina,
insomma una cassa.
sapete esattamente cosa intendo
dicendo cassa
non fate finta di non capire,
non intendo nient'altro
che una normalissima cassa
e nemmeno più buia della vostra.
io vorrei dunque uscire, e busso,
picchio contro il coperchio,
grido fatemi luce! lotto
per il fiato, logicamente,
e tuono contro lo sportello. bene.
ma per motivi di sicurezza interna è chiusa 
questa mia cassa, e non si apre,
la mia scatola ha un coperchio,
ma il coperchio è assai pesante,
per motivi di sicurezza interna,
poiché si tratta insomma
di un contenitore, di un'arca santa, 
di una cassaforte. non ce la faccio.
la liberazione non può logicamente
aver luogo se non con l'unione delle forze.
ma per motivi di sicurezza interna io sono,
nella mia cassa, solo con me stesso,
nella mia propria cassa.
a ciascuno il suo! per potere, con l'unione delle forze,
sfuggire dalla mia propria cassa
dovrei, logicamente, essere già
dalla cassa medesima
sfuggito, e ciò vale,
logicamente, per tutti gli altri.
mi puntello quindi contro il coperchio
con la mia propria nuca. ecco!
lo spazio d'una fessura! ah! fuori,
stupendo, l'ampio paesaggio, 
cosparso di barattoli, di bidoni,
insomma di scatole, e sullo sfondo
il moto fremente dei verdi flutti,
punteggiato di valige naviganti,
sovrastato da altissime nubi,
e ovunque, ovunque l'aria!
fatemi uscire! grido allora
venendo meno, contro ogni buon senso,
con la lingua impastata, coperto di sudore.
fare il segno della croce è impossibile.
fare un cenno senza una mano libera non si può.
stringere il pugno è escluso.
perciò mi preme grido
esprimere il mio rammarico, ahimè!,
il mio proprio rammarico
mentre con un sordo pflupp
ancora una volta il coperchio,
per motivi di sicurezza interna
si richiude su di me.


(Hans Magnus Enzensberger, da La fine del Titanic)

C. D. Friederich, L'abbazia nel querceto, 1809-1810

domenica 6 luglio 2014

novilunio



la maniglia                                                                            
d'argento satinato                                                                 
dondolando                                                                           
senza battacchio                                                                   
ogni novilunio dondolando                                                    
ridesta i sentieri e le edere di porpora stemperata
che spezzano impacciate le schiere solenni allora noi
siamo fuggiti dai festeggiamenti poiché non avevamo sete
mi disse strattonandomi un mendico cieco
il rumore infastidiva i nostri sciocchi pensieri
io e il mio sogno e i nostri teneri crudeli
incubi il mendicante bartolomeo
compagni ci sono notti in cui ritrarsi nelle foreste petrose
ci siamo intrecciati alla riva del fiume scorreva
scorreva nessuno si tuffava i davanzali gremiti
scorreva i tesori lucenti i tesori intatti
beviamo dell'acqua del fiume e scendemmo
scorreva e bevemmo e ci ubriacammo
non è qui la tua casa ma noi
non ne abbiamo non è qui e non conosciamo anima
gli alberi il tonfo e la nudità irreale
immortale senza pantaloni senza camice senza bottoni
il tonfo degli alberi svegliò le divinità delle acque
baciami cielo prima dell'aurora
ma le spade rosse di cento cavalieri su cento cavalli
piombarono alati che chiesero conto di me
che io non so calcolare e sottrarre la foglia d'acero
volteggia come la benedizione di un angelo timido
dondola la maniglia d'argento e non si apre
non tagliate le gole della terra non nutritevi
di sangue spade io le presi come una maniglia
d'argento che non puoi aprire
le mani le dita le vene tra trinciato di granturco
addio tempo di aratri e mietiture
cavalieri corazze senza volto spolverate le armature
ecco il vostro argento e i tesori interrati
non c'è più posto neppure per i morti
l'apocalisse ci assedia a passi brevi
e sfuggenti come un amore tardivo un divorzio
così uno a uno così
il tempo di balie e il tempo di badanti
apro a voi il petto squarciato
annegato sette secoli cieco
calpestato e sbranato si apre
porta arrugginita e non c'è nessuna luce lascio
a voi la giustizia e a me
solo una pace di polvere buia.
baciami cielo prima dell'ultima                                               
aurora della prima                                                                 
nell'eco lontano di quelle edere d'argento                             
senza luna                                                                            

V. Van Gogh, Campi di grano in un paesaggio collinare, 1889

lunedì 23 giugno 2014

la pancia di mia madre



la pancia di mia mamma
il ciliegio sotto il quale io ti fissavo d’impaccio
era già autunno e tu piangevi
nella domenica pomeriggio dalle ombre lunghe
il cielo muto e rapido d’agosto
la mia cameretta una pianola nascosta
arancio dietro la porta
docce i sabati nella cinerea cantina sotto gli sguardi
robusti di mio padre
l’odore delle puglie e di ceci che dormiva nei salotti
dieci mesi per quella luce che rifiutai
il terrore di scostare il volto dalle tue gonne, madre
il dolore di essere nato il dolore
inseguivo la luna e tra l’asfalto lei era ancora più in là
quello zio mi chiamò e mi prese in braccio
sulle sue gambe così salde
poi te ne andasti obbedendo alla tua vita
la luce così artificiale dei supermercati
altalene creavano vento per una serata estiva
un prato
mi soffocavano le camicie a quadri
la prima volta che ti guardai ti riconobbi
verde acqua della fiat 127
noci e pini cingevano i miei giorni innocenti
le strade umide riluccicano dei lampioni
ubriachi
fisarmoniche nostalgia di feste anziane
una bibita gassata sulla tovaglia bianca e azzurra
il tavolo nascondeva i segreti che non avevo
ho desiderato una sorella che non ricevetti che fosse me
così sono solo
il dolore di essere nato il dolore
le piastrelle blu di un asilo che illudeva straripante di giochi
i muscoli vigorosi e violenti dell’adulto
io non sarò mai così io resterò me
il rifugio questo frusciare di fumetti e polvere
tutto il mondo è mio nemico tutto il mondo è mio
il mare che mi sommerse
il potere della sfera perfetta
il soffio di drago nelle terse mattine di brina
salve regina mater misericordiae vita dulcedo et
il dolore di essere nato il dolore



la pancia di mia mamma la pancia
di mia madre era già autunno
e tu piangevi tu piangevi sotto un cielo
muto e rapido
arancio
dietro la porta

la pancia di mia madre la pancia
il ventre le gambe il sangue e il mio
ombelico per quella luce che
è il dolore di essere nato
il dolore                      
dolore
il dolore
mentre la luna era esule tra l’asfalto
poi te ne andasti anche tu
il vento cullava le nostre altalene
era chiara estate
davanti a quadri di prato poi

la scomodità della mia prima camicia
a quadri gialli e verdi

di mia madre la pancia
di mia mamma tanti auguri
di buon compleanno quattro candeline
mamma
il ventre in cui fui creato dall’oblio
così sono solo
il dolore
il dolore
il sogno di altri sogni dispersi
se io non fossi stato me stesso
se non lo fossi
chiuso in cantina
la pancia di mia mamma
di mia madre il ventre
da cui mistero fu creato il paradosso
il ventre verbum caro factum est





poiché la nascita è già tragedia: la violenza di essere strappati da un eden di cui non abbiamo più ricordo, se non quella pace totale senza alcun bisogno o preoccupazione, nella pancia della madre.


lunedì 16 giugno 2014

note ad Eurydice


cerco di rispondere a quanti hanno chiesto, domandato, investigato tra i versi recitati. VARIE NOTE, non per essere didascalico, quanto per ribadire a viva forza che 
tutto ciò che è assurdo è incomprensibile, ma non tutto ciò che è incomprensibile è assurdo.


INNANZITUTTO, come dichiarato sin dal principio, la poesia non richiede la comprensione, non pretende di essere capita in ogni aspetto; dunque ogni volontà di chiarire tutto mi pare fragilmente puerile, anche perché in sua vece si sacrificano le emozioni, i brividi, quella poesia che non si può spiegare razionalmente. così io non spiego, giustifico, per una volta soltanto.

SULLA POESIA POLIFONICA: leggere contemporaneamente a più voci non deve essere vista come limitazione, perché appunto non bisogna stringere ogni parola, ma distinguere in un chaos la propria luce. è come passare a una tridimensionalità poetica. a quanti, ahimè superficialmente, dicono che non è possibile distinguere le voci faccio presente che nell'orchestra suonano insieme decine di strumenti e il buon ascoltatore ne riesce a distinguere le parti. non limitarsi all'ascolto del singolo ma porre orecchio all'armonia.

struttura: e se, dopo l'introduzione artistica, la voce femminile racconta liricamente la storia d'orfeo ed euridice, le altre due la rivisitano surrealisticamente, con immagini, atmosfere e sensazioni tanto nuove quanto spontanee; in sei scene, ognuna delle quali divisa in una parte narrativa e un canto.
3 intermezzi che spezzino il trasporto emotivo per lasciare spazio allo spettatore/attore di non cadere in un'indigestione di parole. spazio per pensare e ascoltare il proprio pensiero.
nel I intermezzo i bambini concretizzano la necessaria spontaneità poetica, prefigurando inoltre l'età felice e spensierata dell'amore tra i protagonisti della scena seguente, risultando di fatto una sorta di cerniera.
nel II intermezzo uno spettatore sul palco mangia, distratto e indifferente, cosce di pollo bevendo chianti. lo spettatore degli spettatori. "sappiate, voi che guardate con apatia, che anch'io vi scruto con gli stessi sentimenti". in sottofondo uno stralcio appassionato della IV sinfonia di Brahms.
nel III intermezzo entra in scena euridice che passeggia leggera nell'aldilà, persa nelle tenebre. rumori di elicotteri nel quartetto di stockhausen. è lei il demone prefigurato nel canto di prometeo, è lei che sfugge al pensiero dell'uomo condannato e appare salvezza.
la sintesi vocale delimita ogni scena, addirittura all'inizio racconta l'intera trama. perché la sintesi vocale? perché l'emozione non sta nel cosa si dirà, ma nel come. la logica informatica analizza la storia, ma l'uomo la vive.


il fagiano: tanto la poesia potrebbe essere scambiata per semplice parola, quanto il fagiano per gallinaceo qualunque, eppure rimanda a un eden perso, che è dentro noi. il fagiano è la storia stessa, e noi non siamo coloro che tramandano la storia, poiché questa parla di noi. noi siamo solo gli specchi di questi significati eterni e immutabili.

pesci solubili: che non resistono senz'acqua, che si sciolgono nell'acqua; come l'uomo, che deve necessariamente essere immerso nella vita senza che impari mai a starci, qui. di sottofondo la creazione di Genesi 1 ("fiat...fiat...fiat lux et facta est") e il prologo di Giovanni ("et verbum caro factum est...et habitavit in nobis"), che torneranno nel finale. l'incarnazione di Eurydice, fino alla morte e al dolore del canto di Orfeo ("quaggù nei cieli dei cieli / tutti in ginocchio... l'universo è immerso nel nostro sangue"), alla ricerca di un senso, noi come Orfeo.

l'aldilà e il coro dei morti: che in realtà è l'aldiqua, con le sue abitudini scheletriche, l'agonia della coscienza perbenista, la mancanza di vita e di ricerca, il suo fasto vuoto di senso nel tintinnare calice e festeggiare, tra mille sisifo e cento furie. e i morti siamo noi? poiché il mondo è utopia, non è realizzato, non qui; poiché vivere è altrove. ma siamo nella pancia di d-o.
il silenzio davanti alle potenze della morte, del male, del destino, ma anche del bene, silenzio che lascia senza risposte,come giobbe ("dominus de turbine dixit"), come edipo ("un segno strabico al trivio per tebe"), e in risposta al quale Prometeo intona un inno di rabbia e violenza, di titanico sdegno e ribellione. finché passa la bellezza di Eurydice, la silenziosa, che quasi si sacrifica nell'ade: non torna alla luce.

e a terra lasciai la bicicletta: non c'è bambino che non provi e riprovi a salire su una bicicletta, cadesse pure mille volte, ma con l'età qualcosa cambia e si abbandonano biciclette mai inforcate, aumentano rimpianti e a volte, quando ci sentiamo diversi da quell'io che fummo, sembrano crollare anche i sogni. la perse? la violenza dei barbari vinse sui greci, ma i greci rimasero immortali per il coraggio e l'arte. la perse? la ritrovò eterna nel canto e nell'amore che rende perpetuo il sogno. non è più l'era dei cavalieri erranti, nostalgici e maledetti, poiché abbiamo scoperto di poter ambire a piramidi, di poter credere al nostro sogno d'infanzia.
"spero di poter perdere ogni paura / del paradiso / completamente - quaggiù nei cieli dei cieli - nella pancia di d-o".

e nel grembo divino tornarono tutte le carni verbo: invertendo il prologo giovanneo, nell'epilogo sono i balconi a sostenere le fondamenta, sono le idee e i sogni ad avere creato il mondo, è la bellezza di eurydice ad avere creato il canto di orfeo, che rimarrà eterno.

nella pancia di d-o, quaggiù nei cieli dei cieli: nella cosmologia ebraica d-o divise le acque del mare (maim) dalle acque di sopra, i cieli (shamaim), e al centro aveva posto l'uomo, come se fosse nella pancia di una madre, d-o stesso (cfr. salmo 130: "io sono tranquillo e sereno come un bimbo svezzato nelle braccia di sua madre, come un bimbo svezzato è l'anima mia") , mentre i cieli stellati si specchiassero continuamente nel mare. noi nel grembo di un d-o, e in questo bisogna credere: che una felicità di pace sia possibile, senza paure, qui e ora con un sorriso. l'uomo è la sua armonia.


martedì 10 giugno 2014

EURYDICE



sabato 31 maggio 2014 - Santuario di S. Lorenzo, Guanzate (CO)

si ringraziano ancora Valentina Rusconi ed Emanuele Parravicini per la lettura, i consigli e il supporto; Carmen Arcidiaco per il balletto; Matteo Pini e i bambini de "Il Cortile" per le relative performance; Riccardo Pini e Fabio Tomè per il supporto tecnico; la Parrocchia di Guanzate per la gentilissima concessione della location.












mercoledì 21 maggio 2014

un assaggio d' EURYDICE


fiori di maggio una bicicletta abbandonata al ciglio
una coccinella smarrita
dove credi ti possa condurre il cosmo?
sul suolo non ci sono strade poiché non esistono mete
dove corrono le galassie e comete?
danzano e ballano
ballano canta orfeo
canta che non fu che danza di una carezza 
(distratta) 

[...]

sopraggiungevano i cavalli del tramonto 
i tuoi capelli non si spegnevano nel vento 
una cavalcata ancora un sorriso 
ancora 
e t'allontani come un treno senza mani
ma triste è già calata la notte
un ospite inatteso reclama dalla stiva
beve vino e non ama il silenzio
stelle che trapuntano la nostra foresta buia
nei nostri distretti orientali
che io quel giorno d'infanzia non risalii in sella
e a terra
 lasciai la bicicletta

per il resto a sabato 31 maggio ore 21.00 al Santuario di Guanzate!


sabato 3 maggio 2014

EURYDICE


sono lieto di annunziarvi ufficialmente che 
SABATO 31 MAGGIO 2014
dalle ore 21.00
presso il Santuario Beata Vergine di S. Lorenzo di Guanzate (CO)
avrà luogo il mio nuovo spettacolo poetico
EURYDICE
sul mito di Orfeo ed Euridice




Quella di Orfeo non è una storia di amore, non solo, e non è una storia di morte, non solo. 
E' la storia di come la poesia salvi l'uomo, anzi di come la poesia sia un elemento necessario alla costituzione dell'essere umano; di come sia il sogno a creare il mondo concreto e non viceversa. di come, evangelicamente, sia stata la parola ad avere generato il cosmo intero. E noi ne siamo solo un riflesso, anzi un'emanazione.

Vi aspetto!


martedì 29 aprile 2014

indizio n° 2: Santuario della Madonna del Latte


"Il santuario mariano di Guanzate è situato in un luogo che già in epoca precristiana era dedicata al culto degli dei. Con l'avvento del cristianesimo venne edificata la chiesa dedicata al martire San Lorenzo (si parla del VI-VII sec.).
L'edificio attuale è un complesso che si è sviluppato nei secoli attorno alla cappella con l'affresco della Madonna del Latte datato 1497. Nel 1661 la cappella venne ricostruita su progetto di uno dei maestri campionesi, Isidoro Bianchi, e alla sua scuola sono da ricondurre anche gli affreschi della volta.
Nel 1674 venne realizzato il lungo viale che porta al santuario.
Negli anni successivi furono aggiunte le altre due cappelle, la sacrestia, il campanile che hanno dato vita al complesso che oggi possiamo ammirare" 





http://www.santuariodiguanzate.org/guanzate/