mercoledì 22 ottobre 2014

(a parte)

Henri Cartier Bresson, Simian La Rotonde, 1969

per otto giorni l'accampamento lo schieramento i quartieri
settentrionali della cittadina bombardati
senza sosta             (bombe)
ogni colpo                            (bombe)
esplodeva                                           (bombe)
ringhiava rabbia risentimento rancore
i petali sapevano ancora appassire
                  in quei giorni                          (bombe)
in quel tempo arrivasti
tra la fretta della pioggia mi scostasti
spingendoti appoggiandoti un attimo
                                                            al mio braccio
forse lo ricordo solo io spesso                         (bombe)
                                                   è fantasia
la foglia che si sgranava per il pavimento i gradini
delle scale ancora lo scroscio di bombe        (bombe)
mi toccasti la mano mi sfiorò
così le strade non ebbero più nomi e non più
batterie d'artiglieria le schiere
di cannoni le baionette e noi
in fondo al battito bellico                                  (bombe)
già tutto è in fondo a noi e noi
che l'abbiamo perduto.
un nonno e il bambino.
le bombe avevano smesso da qualche ora
di ululare
                 "è la fine?"
                                    da millenni non ancora da millenni
per mano lo condusse docile
dolce al cuore dell'oceano
passo a passo i colori sfiorivano
s'estinsero e due corpi abbracciati
affiorano alla fine della vista
                                                    in lontananza in lonta
                                                    nanza nanna dormi
la mia luna siberiana
mattina pioggia e preghiere le chiacchiere
della processione ave maria santa maria
passi distratti "...così se n'è andato..."
ave maria santa maria freddo
freddo "...e che ne faremo noi
di questa vita siberiana?"
una croce intarsiata a distanza
tra il marmo e l'erba
                                 mazzi di fiori
                                                       marciranno
hai confuso il criminale col povero
                           e il cielo nel fango
                     del sancta sanctorum
appropinquante fine mundi di nicotina
nicotina e naftalina
a trecentomila km all'ora
infinita bellezza infinita
tristezza siberiana "sicut 
promisisti" tra le schiere di cannoni indifesi




martedì 7 ottobre 2014

lettere all'Amata Immortale - ludwig van beethoven


Teplitz, 6 luglio, di mattina.

Mio angelo, mio tutto, mio io. Sono poche parole per oggi, e per giunta a matita (la tua). Il mio alloggio non sarà definito prima di domani (che inutile perdita di tempo). Perché questa pena profonda, quando parla la necessità? Può forse durare il nostro amore se non a patto di sacrifici, senza tutto pretendere? Puoi tu non essere tutta mia, io non tutto tuo? Oh Dio, volgi lo sguardo alle bellezze della natura e rasserena il tuo cuore con ciò che deve essere. L'Amore esige tutto, e a buon diritto. Così è per me con te, e per te con me. Ma tu dimentichi tanto facilmente che io devo vivere per me e per te; se fossimo davvero uniti, ne sentiresti il dolore tanto poco quanto lo sento io. Il mio viaggio è stato terribile; sono arrivato qui soltanto ieri mattina alle quattro. Poiché scarseggiavano i cavalli, la diligenza ha scelto un'altra strada, ma quant'era orribile! Alla penultima stazione di posta mi sconsigliarono di viaggiare la notte; volevano mettermi paura parlandomi di una foresta, ma ciò mi incitò maggiormente, ed ho avuto torto. La carrozza non poteva che rompersi per quel sentiero orrendo, fangoso e senza fondo. Se non avessi avuto con me quei postiglioni sarei rimasto in mezzo alla strada. Esterhazy, viaggiando per la solita via, con otto cavalli ha avuto la stessa sorte che è toccata a me con quattro. Eppure ho provato un certo piacere, come sempre quando riesco a superare felicemente qualche difficoltà. Ora passo in fretta dai fatti esterni a quelli più intimi. Ci vedremo sicuramente presto; neppur oggi riesco a condividere con te delle mie considerazioni di questi ultimi giorni sulla mia vita. Se i nostri cuori fossero sempre vicini l'uno all'altro, non avrei certo simili pensieri. Il mio cuore trabocca di tante cose che vorrei dirti; ah, vi sono momenti in cui sento che le parole non servono a nulla. Sii serena, rimani il mio fedele, il mio unico tesoro, il mio tutto, così come io lo sono per te. Al resto, a quello che deve essere o dovrebbe essere per noi, ci penserà Iddio.

Il tuo fedele Ludwig


Lunedì 6 luglio, di sera.

Tu stai soffrendo, creatura adorata. Soltanto ora ho appreso che le lettere devono essere impostate di buon mattino il lunedì e giovedì, i soli giorni in cui parte da qui la diligenza per K. Stai soffrendo. Ah, dovunque tu sia, tu sei con me! Io parlo con me e con te.. Che vita! Così! Senza di te, perseguitato da ogni parte dalla bontà della gente, che io non desidero né tanto meno merito . L'umiltà dell'uomo verso l'uomo mi addolora. E quando considero me stesso in rapporto all'universo, ciò che io sono e che Egli è... Colui che chiamiamo il più Grande! Eppure qui si rivela la natura divina dell'uomo! Piango se penso che probabilmente non potrai ricevere notizie da me prima di sabato. Per quanto tu mi possa amare, io ti amo più forte. Ma non avere mai segreti per me. Buonanotte! Dato che sto facendo la cura dei bagni devo andare a letto. Oh Dio, così vicini! così lontani! Non è forse il nostro amore un edificio celeste, e, per giunta, più incrollabile della volta del cielo?

A. Warhol, Beethoven, 1987

Buon giorno, il 7 luglio. 

Pur ancora a letto, i miei pensieri volano a te, mia Immortale Amata, ora lieti, ora tristi, aspettando di sapere se il destino esaudirà i nostri voti, Posso vivere soltanto e unicamente con te, oppure non vivere più. Sì, sono deciso ad andare errando lontano da te finché non potrò far volare la mia anima avvinta alla tua nel regno dello spirito. Sì, purtroppo dev'essere così. Sarai più tranquilla, poiché sai bene quanto ti sia fedele. Nessun'altra potrà mai possedere il mio cuore, mai, mai! Oh Dio, perché doversi allontanare da chi si ama tanto. E la mia vita a Vienna è ora così infelice. Il tuo amore mi rende il più felice e insieme il più infelice degli uomini. Alla mia età avrei bisogno di una vita tranquilla e regolare, ma può forse esser così nelle nostre condizioni? Angelo mio, mi hanno appena detto che la posta parte tutti i giorni, debbo quindi terminare in fretta cosicché tu possa ricevere subito la lettera. Sii serena! Solo considerando con calma la nostra esistenza riusciremo a raggiungere la nostra meta, vivere insieme. Sii serena, amami! Oggi! Ieri! Che desiderio struggente di te, te, te, vita mia, mio tutto! Addio! Oh, continua ad amarmi, non giudicare mai male il cuore fedelissimo del tuo amato. 

Ludwig
eternamente tuo 
eternamente mia 
eternamente nostri


domenica 5 ottobre 2014

a francesca&luca - quattrottobreduemilequattordici




abbiamo capito anche noi
giorno di gioia oggi
apparsa in tutta nudità il lago una distesa
dalla chiesa dei santi quirico e giulitta panorama la costa di faggeto
torno pognana la villa pliniana e
la continua bellezza degli opposti
intrecciati le coste che s’affacciano a sé onde
ch’infrangono contaminandosi vicendevolmente
vostro il lago luca e francesca
gli scorci dei volti accostati fresco sentiero
condividere il lago è definitivamente
francesca e luca dove interminata grazia
degli opposti nulla è tanto forte
quanto ciò che unisce qui e oggi di fronte a noi
oggi giorno di festa

auguri!




di fronte a noi apparsa
la chiesa
la costa
la casa
la chiesa la costa la casa
e un sentiero di rose selvagge
il sogno di viver d’amore

la chiesa la costa la casa
in voi
domani

auguri!






la continua bellezza
scorre
la chiesa
la costa
la casa
la chiesa la costa la casa
il vostro lago
e voi
e noi partecipiamo
di voi due

auguri!


M. Chagall, Volti d'innamorati nel blu 


domenica 28 settembre 2014

a matita ben appuntita


le piastrelle procedono pedisseque
parallele su un pavimento pulito
piatto
sembra sconfinato in cui non appare
casa dove sei tu papà dove finisti
mamma? le redini il fianco la
diserzione
coatta e la paura del buio ho calli di lacrime
all'imbocco della tangenziale nord strati
d'asfalto su asfalto
infranto si avvisa la gentile clientela che
la mia carne è sapida e delicata in sangue
di fragole l'umanità è stata strategicamente
concepita senza senza progenitori senza eredi senza
il nostro concetto di cosa denominabile implica la considerazione delle intenzioni della persona che ha prodotto
la cosa stessa, dolce mercenario,
verranno cieli nuovi

vaneggio


genesi del possesso compulsivo i parchi le biblioteche
che si manifesta processo conscio e autoappagante di un surrogato
di creazione sub-ispirata (a questo
padre nacqui?) le fogne ferali il costume
mondano del battezzato che mai s'immerge poiché
quando la fine s'approssima
la tendenza trasgressiva dell'eccesso
dilaga
ti ho perso padre io ti
ammazzai madre
le folate il vento schiarivano
l'oscurità della notte le gocce
il sangue stese perle pupille
è crollato il cielo dico io
io dico solo che il volo
di un seme spiega la betulla
piegata nel turbine
e bianca è crollato
insopportabile il nostro cielo di pelcro
nozioni di vicinanza e lontananza
relative nell'accartocciarsi di un ridente tramonto d'occidente
dentro fioriscono i diluvi fuori
la notte testimonia quanto il giorno non sia
sufficiente userò vecchi sandali una cara
camicia mal rassettata patria
sì bella e perduta
andrò dove mi aspettano


vaneggio

Aldo  Galli, Senza titolo, 1970

mercoledì 17 settembre 2014

ma questa dannata cantata sognata età dell'oro è esistita o no alla fine?



tu commença ta vie
tout au bord d'un ruisseau
tu vécus de ces bruits
qui courent dans les roseaux
qui montent des chemins
que filtrent les taillis
les ailes du moulin
les cloches de midi
soulignant d'un sourire
la chanson d'un oiseau
tu prenais des plaisirs
à faire des ronds dans l'eau

aujourd'hui tu ballottes
dans des eaux moins tranquilles
tu t'acharnes et tu flottes
mais l'amour, où est-il ?
l'ambition a des lois
l'ambition est un culte
tu voudrais que ta voix
domine le tumulte
tu voudrais que l'on t'aime
un peu comme un héros
mais qui saurait quand même
faire des ronds dans l'eau

s'il y a tous ces témoins
que tu veux dans ton dos
dis-toi qu'ils pourraient bien
devant tes ronds dans l'eau
te prendre pour l'idiot
l'idiot de ton village
qui lui est resté là
pour faire des ronds dans l'eau
pour faire des ronds dans l'eau

inizi la tua vita

dal bordo di un ruscello
hai sentito quei rumori

che corrono tra i roseti
che salgono dai sentieri
che trapelano dai boschi
le pale del mulino
le campane di mezzogiorno
sottolineando con un sorriso
la canzone di un uccellino
ti piaceva
fare cerchi nell’acqua

oggi ti sballottano
acque meno tranquille
ti accanisci e fluttui
ma l’amore dov’è?
l’ambizione ha le sue leggi
l’ambizione è un culto
vuoi che la tua voce
domini il tumulto
vorresti che ti amassero
un po’ come un eroe
ma chi saprebbe 
fare cerchi nell’acqua come te?

con tutti quei testimoni
che vuoi portarti dietro
potrebbero benissimo,
davanti ai tuoi cerchi nell’acqua,
prenderti per l’idiota
l’idiota del paese
che è restato là
a far cerchi nell’acqua
a far cerchi nell’acqua





credo che se non credessi nell'età dell'oro, nell'età della mia lontana innocenza, nel tempo di una mia arcana felicità, non avrei forze e non avrei speranza per poter credere che nella vita è ancora possibile la felicità. 
non si può volare se non si è conosciuto il cielo.
l'idea di progresso è opprimente, fallace e angusta. ex nihilo nihil: non può esistere ciò che non è mai esistito. all'interno di un sistema chiuso tutto si trasforma, ma nulla si crea e nulla si distrugge, neppure un sorriso.
l'idea che si è stati felici e si può tornare a esserlo abbracciando in modo autentico la propria fiamma più nascosta e remota è tanto bella che non può non essere vera, anche solo per una necessità estetica dell'essere.





giovedì 10 luglio 2014

innere sicherheit / misure di sicurezza interna (h.m. enzensberger)

tento di sollevare il coperchio,
logicamente, il coperchio
che chiude la mia cassa.
non che sia una bara, questo no,
è solo un involucro, una cabina,
insomma una cassa.
sapete esattamente cosa intendo
dicendo cassa
non fate finta di non capire,
non intendo nient'altro
che una normalissima cassa
e nemmeno più buia della vostra.
io vorrei dunque uscire, e busso,
picchio contro il coperchio,
grido fatemi luce! lotto
per il fiato, logicamente,
e tuono contro lo sportello. bene.
ma per motivi di sicurezza interna è chiusa 
questa mia cassa, e non si apre,
la mia scatola ha un coperchio,
ma il coperchio è assai pesante,
per motivi di sicurezza interna,
poiché si tratta insomma
di un contenitore, di un'arca santa, 
di una cassaforte. non ce la faccio.
la liberazione non può logicamente
aver luogo se non con l'unione delle forze.
ma per motivi di sicurezza interna io sono,
nella mia cassa, solo con me stesso,
nella mia propria cassa.
a ciascuno il suo! per potere, con l'unione delle forze,
sfuggire dalla mia propria cassa
dovrei, logicamente, essere già
dalla cassa medesima
sfuggito, e ciò vale,
logicamente, per tutti gli altri.
mi puntello quindi contro il coperchio
con la mia propria nuca. ecco!
lo spazio d'una fessura! ah! fuori,
stupendo, l'ampio paesaggio, 
cosparso di barattoli, di bidoni,
insomma di scatole, e sullo sfondo
il moto fremente dei verdi flutti,
punteggiato di valige naviganti,
sovrastato da altissime nubi,
e ovunque, ovunque l'aria!
fatemi uscire! grido allora
venendo meno, contro ogni buon senso,
con la lingua impastata, coperto di sudore.
fare il segno della croce è impossibile.
fare un cenno senza una mano libera non si può.
stringere il pugno è escluso.
perciò mi preme grido
esprimere il mio rammarico, ahimè!,
il mio proprio rammarico
mentre con un sordo pflupp
ancora una volta il coperchio,
per motivi di sicurezza interna
si richiude su di me.


(Hans Magnus Enzensberger, da La fine del Titanic)

C. D. Friederich, L'abbazia nel querceto, 1809-1810

domenica 6 luglio 2014

novilunio



la maniglia                                                                            
d'argento satinato                                                                 
dondolando                                                                           
senza battacchio                                                                   
ogni novilunio dondolando                                                    
ridesta i sentieri e le edere di porpora stemperata
che spezzano impacciate le schiere solenni allora noi
siamo fuggiti dai festeggiamenti poiché non avevamo sete
mi disse strattonandomi un mendico cieco
il rumore infastidiva i nostri sciocchi pensieri
io e il mio sogno e i nostri teneri crudeli
incubi il mendicante bartolomeo
compagni ci sono notti in cui ritrarsi nelle foreste petrose
ci siamo intrecciati alla riva del fiume scorreva
scorreva nessuno si tuffava i davanzali gremiti
scorreva i tesori lucenti i tesori intatti
beviamo dell'acqua del fiume e scendemmo
scorreva e bevemmo e ci ubriacammo
non è qui la tua casa ma noi
non ne abbiamo non è qui e non conosciamo anima
gli alberi il tonfo e la nudità irreale
immortale senza pantaloni senza camice senza bottoni
il tonfo degli alberi svegliò le divinità delle acque
baciami cielo prima dell'aurora
ma le spade rosse di cento cavalieri su cento cavalli
piombarono alati che chiesero conto di me
che io non so calcolare e sottrarre la foglia d'acero
volteggia come la benedizione di un angelo timido
dondola la maniglia d'argento e non si apre
non tagliate le gole della terra non nutritevi
di sangue spade io le presi come una maniglia
d'argento che non puoi aprire
le mani le dita le vene tra trinciato di granturco
addio tempo di aratri e mietiture
cavalieri corazze senza volto spolverate le armature
ecco il vostro argento e i tesori interrati
non c'è più posto neppure per i morti
l'apocalisse ci assedia a passi brevi
e sfuggenti come un amore tardivo un divorzio
così uno a uno così
il tempo di balie e il tempo di badanti
apro a voi il petto squarciato
annegato sette secoli cieco
calpestato e sbranato si apre
porta arrugginita e non c'è nessuna luce lascio
a voi la giustizia e a me
solo una pace di polvere buia.
baciami cielo prima dell'ultima                                               
aurora della prima                                                                 
nell'eco lontano di quelle edere d'argento                             
senza luna                                                                            

V. Van Gogh, Campi di grano in un paesaggio collinare, 1889

lunedì 23 giugno 2014

la pancia di mia madre



la pancia di mia mamma
il ciliegio sotto il quale io ti fissavo d’impaccio
era già autunno e tu piangevi
nella domenica pomeriggio dalle ombre lunghe
il cielo muto e rapido d’agosto
la mia cameretta una pianola nascosta
arancio dietro la porta
docce i sabati nella cinerea cantina sotto gli sguardi
robusti di mio padre
l’odore delle puglie e di ceci che dormiva nei salotti
dieci mesi per quella luce che rifiutai
il terrore di scostare il volto dalle tue gonne, madre
il dolore di essere nato il dolore
inseguivo la luna e tra l’asfalto lei era ancora più in là
quello zio mi chiamò e mi prese in braccio
sulle sue gambe così salde
poi te ne andasti obbedendo alla tua vita
la luce così artificiale dei supermercati
altalene creavano vento per una serata estiva
un prato
mi soffocavano le camicie a quadri
la prima volta che ti guardai ti riconobbi
verde acqua della fiat 127
noci e pini cingevano i miei giorni innocenti
le strade umide riluccicano dei lampioni
ubriachi
fisarmoniche nostalgia di feste anziane
una bibita gassata sulla tovaglia bianca e azzurra
il tavolo nascondeva i segreti che non avevo
ho desiderato una sorella che non ricevetti che fosse me
così sono solo
il dolore di essere nato il dolore
le piastrelle blu di un asilo che illudeva straripante di giochi
i muscoli vigorosi e violenti dell’adulto
io non sarò mai così io resterò me
il rifugio questo frusciare di fumetti e polvere
tutto il mondo è mio nemico tutto il mondo è mio
il mare che mi sommerse
il potere della sfera perfetta
il soffio di drago nelle terse mattine di brina
salve regina mater misericordiae vita dulcedo et
il dolore di essere nato il dolore



la pancia di mia mamma la pancia
di mia madre era già autunno
e tu piangevi tu piangevi sotto un cielo
muto e rapido
arancio
dietro la porta

la pancia di mia madre la pancia
il ventre le gambe il sangue e il mio
ombelico per quella luce che
è il dolore di essere nato
il dolore                      
dolore
il dolore
mentre la luna era esule tra l’asfalto
poi te ne andasti anche tu
il vento cullava le nostre altalene
era chiara estate
davanti a quadri di prato poi

la scomodità della mia prima camicia
a quadri gialli e verdi

di mia madre la pancia
di mia mamma tanti auguri
di buon compleanno quattro candeline
mamma
il ventre in cui fui creato dall’oblio
così sono solo
il dolore
il dolore
il sogno di altri sogni dispersi
se io non fossi stato me stesso
se non lo fossi
chiuso in cantina
la pancia di mia mamma
di mia madre il ventre
da cui mistero fu creato il paradosso
il ventre verbum caro factum est





poiché la nascita è già tragedia: la violenza di essere strappati da un eden di cui non abbiamo più ricordo, se non quella pace totale senza alcun bisogno o preoccupazione, nella pancia della madre.


lunedì 16 giugno 2014

note ad Eurydice


cerco di rispondere a quanti hanno chiesto, domandato, investigato tra i versi recitati. VARIE NOTE, non per essere didascalico, quanto per ribadire a viva forza che 
tutto ciò che è assurdo è incomprensibile, ma non tutto ciò che è incomprensibile è assurdo.


INNANZITUTTO, come dichiarato sin dal principio, la poesia non richiede la comprensione, non pretende di essere capita in ogni aspetto; dunque ogni volontà di chiarire tutto mi pare fragilmente puerile, anche perché in sua vece si sacrificano le emozioni, i brividi, quella poesia che non si può spiegare razionalmente. così io non spiego, giustifico, per una volta soltanto.

SULLA POESIA POLIFONICA: leggere contemporaneamente a più voci non deve essere vista come limitazione, perché appunto non bisogna stringere ogni parola, ma distinguere in un chaos la propria luce. è come passare a una tridimensionalità poetica. a quanti, ahimè superficialmente, dicono che non è possibile distinguere le voci faccio presente che nell'orchestra suonano insieme decine di strumenti e il buon ascoltatore ne riesce a distinguere le parti. non limitarsi all'ascolto del singolo ma porre orecchio all'armonia.

struttura: e se, dopo l'introduzione artistica, la voce femminile racconta liricamente la storia d'orfeo ed euridice, le altre due la rivisitano surrealisticamente, con immagini, atmosfere e sensazioni tanto nuove quanto spontanee; in sei scene, ognuna delle quali divisa in una parte narrativa e un canto.
3 intermezzi che spezzino il trasporto emotivo per lasciare spazio allo spettatore/attore di non cadere in un'indigestione di parole. spazio per pensare e ascoltare il proprio pensiero.
nel I intermezzo i bambini concretizzano la necessaria spontaneità poetica, prefigurando inoltre l'età felice e spensierata dell'amore tra i protagonisti della scena seguente, risultando di fatto una sorta di cerniera.
nel II intermezzo uno spettatore sul palco mangia, distratto e indifferente, cosce di pollo bevendo chianti. lo spettatore degli spettatori. "sappiate, voi che guardate con apatia, che anch'io vi scruto con gli stessi sentimenti". in sottofondo uno stralcio appassionato della IV sinfonia di Brahms.
nel III intermezzo entra in scena euridice che passeggia leggera nell'aldilà, persa nelle tenebre. rumori di elicotteri nel quartetto di stockhausen. è lei il demone prefigurato nel canto di prometeo, è lei che sfugge al pensiero dell'uomo condannato e appare salvezza.
la sintesi vocale delimita ogni scena, addirittura all'inizio racconta l'intera trama. perché la sintesi vocale? perché l'emozione non sta nel cosa si dirà, ma nel come. la logica informatica analizza la storia, ma l'uomo la vive.


il fagiano: tanto la poesia potrebbe essere scambiata per semplice parola, quanto il fagiano per gallinaceo qualunque, eppure rimanda a un eden perso, che è dentro noi. il fagiano è la storia stessa, e noi non siamo coloro che tramandano la storia, poiché questa parla di noi. noi siamo solo gli specchi di questi significati eterni e immutabili.

pesci solubili: che non resistono senz'acqua, che si sciolgono nell'acqua; come l'uomo, che deve necessariamente essere immerso nella vita senza che impari mai a starci, qui. di sottofondo la creazione di Genesi 1 ("fiat...fiat...fiat lux et facta est") e il prologo di Giovanni ("et verbum caro factum est...et habitavit in nobis"), che torneranno nel finale. l'incarnazione di Eurydice, fino alla morte e al dolore del canto di Orfeo ("quaggù nei cieli dei cieli / tutti in ginocchio... l'universo è immerso nel nostro sangue"), alla ricerca di un senso, noi come Orfeo.

l'aldilà e il coro dei morti: che in realtà è l'aldiqua, con le sue abitudini scheletriche, l'agonia della coscienza perbenista, la mancanza di vita e di ricerca, il suo fasto vuoto di senso nel tintinnare calice e festeggiare, tra mille sisifo e cento furie. e i morti siamo noi? poiché il mondo è utopia, non è realizzato, non qui; poiché vivere è altrove. ma siamo nella pancia di d-o.
il silenzio davanti alle potenze della morte, del male, del destino, ma anche del bene, silenzio che lascia senza risposte,come giobbe ("dominus de turbine dixit"), come edipo ("un segno strabico al trivio per tebe"), e in risposta al quale Prometeo intona un inno di rabbia e violenza, di titanico sdegno e ribellione. finché passa la bellezza di Eurydice, la silenziosa, che quasi si sacrifica nell'ade: non torna alla luce.

e a terra lasciai la bicicletta: non c'è bambino che non provi e riprovi a salire su una bicicletta, cadesse pure mille volte, ma con l'età qualcosa cambia e si abbandonano biciclette mai inforcate, aumentano rimpianti e a volte, quando ci sentiamo diversi da quell'io che fummo, sembrano crollare anche i sogni. la perse? la violenza dei barbari vinse sui greci, ma i greci rimasero immortali per il coraggio e l'arte. la perse? la ritrovò eterna nel canto e nell'amore che rende perpetuo il sogno. non è più l'era dei cavalieri erranti, nostalgici e maledetti, poiché abbiamo scoperto di poter ambire a piramidi, di poter credere al nostro sogno d'infanzia.
"spero di poter perdere ogni paura / del paradiso / completamente - quaggiù nei cieli dei cieli - nella pancia di d-o".

e nel grembo divino tornarono tutte le carni verbo: invertendo il prologo giovanneo, nell'epilogo sono i balconi a sostenere le fondamenta, sono le idee e i sogni ad avere creato il mondo, è la bellezza di eurydice ad avere creato il canto di orfeo, che rimarrà eterno.

nella pancia di d-o, quaggiù nei cieli dei cieli: nella cosmologia ebraica d-o divise le acque del mare (maim) dalle acque di sopra, i cieli (shamaim), e al centro aveva posto l'uomo, come se fosse nella pancia di una madre, d-o stesso (cfr. salmo 130: "io sono tranquillo e sereno come un bimbo svezzato nelle braccia di sua madre, come un bimbo svezzato è l'anima mia") , mentre i cieli stellati si specchiassero continuamente nel mare. noi nel grembo di un d-o, e in questo bisogna credere: che una felicità di pace sia possibile, senza paure, qui e ora con un sorriso. l'uomo è la sua armonia.


martedì 10 giugno 2014

EURYDICE



sabato 31 maggio 2014 - Santuario di S. Lorenzo, Guanzate (CO)

si ringraziano ancora Valentina Rusconi ed Emanuele Parravicini per la lettura, i consigli e il supporto; Carmen Arcidiaco per il balletto; Matteo Pini e i bambini de "Il Cortile" per le relative performance; Riccardo Pini e Fabio Tomè per il supporto tecnico; la Parrocchia di Guanzate per la gentilissima concessione della location.