giovedì 10 luglio 2014

innere sicherheit / misure di sicurezza interna (h.m. enzensberger)

tento di sollevare il coperchio,
logicamente, il coperchio
che chiude la mia cassa.
non che sia una bara, questo no,
è solo un involucro, una cabina,
insomma una cassa.
sapete esattamente cosa intendo
dicendo cassa
non fate finta di non capire,
non intendo nient'altro
che una normalissima cassa
e nemmeno più buia della vostra.
io vorrei dunque uscire, e busso,
picchio contro il coperchio,
grido fatemi luce! lotto
per il fiato, logicamente,
e tuono contro lo sportello. bene.
ma per motivi di sicurezza interna è chiusa 
questa mia cassa, e non si apre,
la mia scatola ha un coperchio,
ma il coperchio è assai pesante,
per motivi di sicurezza interna,
poiché si tratta insomma
di un contenitore, di un'arca santa, 
di una cassaforte. non ce la faccio.
la liberazione non può logicamente
aver luogo se non con l'unione delle forze.
ma per motivi di sicurezza interna io sono,
nella mia cassa, solo con me stesso,
nella mia propria cassa.
a ciascuno il suo! per potere, con l'unione delle forze,
sfuggire dalla mia propria cassa
dovrei, logicamente, essere già
dalla cassa medesima
sfuggito, e ciò vale,
logicamente, per tutti gli altri.
mi puntello quindi contro il coperchio
con la mia propria nuca. ecco!
lo spazio d'una fessura! ah! fuori,
stupendo, l'ampio paesaggio, 
cosparso di barattoli, di bidoni,
insomma di scatole, e sullo sfondo
il moto fremente dei verdi flutti,
punteggiato di valige naviganti,
sovrastato da altissime nubi,
e ovunque, ovunque l'aria!
fatemi uscire! grido allora
venendo meno, contro ogni buon senso,
con la lingua impastata, coperto di sudore.
fare il segno della croce è impossibile.
fare un cenno senza una mano libera non si può.
stringere il pugno è escluso.
perciò mi preme grido
esprimere il mio rammarico, ahimè!,
il mio proprio rammarico
mentre con un sordo pflupp
ancora una volta il coperchio,
per motivi di sicurezza interna
si richiude su di me.


(Hans Magnus Enzensberger, da La fine del Titanic)

C. D. Friederich, L'abbazia nel querceto, 1809-1810

domenica 6 luglio 2014

novilunio



la maniglia                                                                            
d'argento satinato                                                                 
dondolando                                                                           
senza battacchio                                                                   
ogni novilunio dondolando                                                    
ridesta i sentieri e le edere di porpora stemperata
che spezzano impacciate le schiere solenni allora noi
siamo fuggiti dai festeggiamenti poiché non avevamo sete
mi disse strattonandomi un mendico cieco
il rumore infastidiva i nostri sciocchi pensieri
io e il mio sogno e i nostri teneri crudeli
incubi il mendicante bartolomeo
compagni ci sono notti in cui ritrarsi nelle foreste petrose
ci siamo intrecciati alla riva del fiume scorreva
scorreva nessuno si tuffava i davanzali gremiti
scorreva i tesori lucenti i tesori intatti
beviamo dell'acqua del fiume e scendemmo
scorreva e bevemmo e ci ubriacammo
non è qui la tua casa ma noi
non ne abbiamo non è qui e non conosciamo anima
gli alberi il tonfo e la nudità irreale
immortale senza pantaloni senza camice senza bottoni
il tonfo degli alberi svegliò le divinità delle acque
baciami cielo prima dell'aurora
ma le spade rosse di cento cavalieri su cento cavalli
piombarono alati che chiesero conto di me
che io non so calcolare e sottrarre la foglia d'acero
volteggia come la benedizione di un angelo timido
dondola la maniglia d'argento e non si apre
non tagliate le gole della terra non nutritevi
di sangue spade io le presi come una maniglia
d'argento che non puoi aprire
le mani le dita le vene tra trinciato di granturco
addio tempo di aratri e mietiture
cavalieri corazze senza volto spolverate le armature
ecco il vostro argento e i tesori interrati
non c'è più posto neppure per i morti
l'apocalisse ci assedia a passi brevi
e sfuggenti come un amore tardivo un divorzio
così uno a uno così
il tempo di balie e il tempo di badanti
apro a voi il petto squarciato
annegato sette secoli cieco
calpestato e sbranato si apre
porta arrugginita e non c'è nessuna luce lascio
a voi la giustizia e a me
solo una pace di polvere buia.
baciami cielo prima dell'ultima                                               
aurora della prima                                                                 
nell'eco lontano di quelle edere d'argento                             
senza luna                                                                            

V. Van Gogh, Campi di grano in un paesaggio collinare, 1889