lunedì 23 giugno 2014

la pancia di mia madre



la pancia di mia mamma
il ciliegio sotto il quale io ti fissavo d’impaccio
era già autunno e tu piangevi
nella domenica pomeriggio dalle ombre lunghe
il cielo muto e rapido d’agosto
la mia cameretta una pianola nascosta
arancio dietro la porta
docce i sabati nella cinerea cantina sotto gli sguardi
robusti di mio padre
l’odore delle puglie e di ceci che dormiva nei salotti
dieci mesi per quella luce che rifiutai
il terrore di scostare il volto dalle tue gonne, madre
il dolore di essere nato il dolore
inseguivo la luna e tra l’asfalto lei era ancora più in là
quello zio mi chiamò e mi prese in braccio
sulle sue gambe così salde
poi te ne andasti obbedendo alla tua vita
la luce così artificiale dei supermercati
altalene creavano vento per una serata estiva
un prato
mi soffocavano le camicie a quadri
la prima volta che ti guardai ti riconobbi
verde acqua della fiat 127
noci e pini cingevano i miei giorni innocenti
le strade umide riluccicano dei lampioni
ubriachi
fisarmoniche nostalgia di feste anziane
una bibita gassata sulla tovaglia bianca e azzurra
il tavolo nascondeva i segreti che non avevo
ho desiderato una sorella che non ricevetti che fosse me
così sono solo
il dolore di essere nato il dolore
le piastrelle blu di un asilo che illudeva straripante di giochi
i muscoli vigorosi e violenti dell’adulto
io non sarò mai così io resterò me
il rifugio questo frusciare di fumetti e polvere
tutto il mondo è mio nemico tutto il mondo è mio
il mare che mi sommerse
il potere della sfera perfetta
il soffio di drago nelle terse mattine di brina
salve regina mater misericordiae vita dulcedo et
il dolore di essere nato il dolore



la pancia di mia mamma la pancia
di mia madre era già autunno
e tu piangevi tu piangevi sotto un cielo
muto e rapido
arancio
dietro la porta

la pancia di mia madre la pancia
il ventre le gambe il sangue e il mio
ombelico per quella luce che
è il dolore di essere nato
il dolore                      
dolore
il dolore
mentre la luna era esule tra l’asfalto
poi te ne andasti anche tu
il vento cullava le nostre altalene
era chiara estate
davanti a quadri di prato poi

la scomodità della mia prima camicia
a quadri gialli e verdi

di mia madre la pancia
di mia mamma tanti auguri
di buon compleanno quattro candeline
mamma
il ventre in cui fui creato dall’oblio
così sono solo
il dolore
il dolore
il sogno di altri sogni dispersi
se io non fossi stato me stesso
se non lo fossi
chiuso in cantina
la pancia di mia mamma
di mia madre il ventre
da cui mistero fu creato il paradosso
il ventre verbum caro factum est





poiché la nascita è già tragedia: la violenza di essere strappati da un eden di cui non abbiamo più ricordo, se non quella pace totale senza alcun bisogno o preoccupazione, nella pancia della madre.


lunedì 16 giugno 2014

note ad Eurydice


cerco di rispondere a quanti hanno chiesto, domandato, investigato tra i versi recitati. VARIE NOTE, non per essere didascalico, quanto per ribadire a viva forza che 
tutto ciò che è assurdo è incomprensibile, ma non tutto ciò che è incomprensibile è assurdo.


INNANZITUTTO, come dichiarato sin dal principio, la poesia non richiede la comprensione, non pretende di essere capita in ogni aspetto; dunque ogni volontà di chiarire tutto mi pare fragilmente puerile, anche perché in sua vece si sacrificano le emozioni, i brividi, quella poesia che non si può spiegare razionalmente. così io non spiego, giustifico, per una volta soltanto.

SULLA POESIA POLIFONICA: leggere contemporaneamente a più voci non deve essere vista come limitazione, perché appunto non bisogna stringere ogni parola, ma distinguere in un chaos la propria luce. è come passare a una tridimensionalità poetica. a quanti, ahimè superficialmente, dicono che non è possibile distinguere le voci faccio presente che nell'orchestra suonano insieme decine di strumenti e il buon ascoltatore ne riesce a distinguere le parti. non limitarsi all'ascolto del singolo ma porre orecchio all'armonia.

struttura: e se, dopo l'introduzione artistica, la voce femminile racconta liricamente la storia d'orfeo ed euridice, le altre due la rivisitano surrealisticamente, con immagini, atmosfere e sensazioni tanto nuove quanto spontanee; in sei scene, ognuna delle quali divisa in una parte narrativa e un canto.
3 intermezzi che spezzino il trasporto emotivo per lasciare spazio allo spettatore/attore di non cadere in un'indigestione di parole. spazio per pensare e ascoltare il proprio pensiero.
nel I intermezzo i bambini concretizzano la necessaria spontaneità poetica, prefigurando inoltre l'età felice e spensierata dell'amore tra i protagonisti della scena seguente, risultando di fatto una sorta di cerniera.
nel II intermezzo uno spettatore sul palco mangia, distratto e indifferente, cosce di pollo bevendo chianti. lo spettatore degli spettatori. "sappiate, voi che guardate con apatia, che anch'io vi scruto con gli stessi sentimenti". in sottofondo uno stralcio appassionato della IV sinfonia di Brahms.
nel III intermezzo entra in scena euridice che passeggia leggera nell'aldilà, persa nelle tenebre. rumori di elicotteri nel quartetto di stockhausen. è lei il demone prefigurato nel canto di prometeo, è lei che sfugge al pensiero dell'uomo condannato e appare salvezza.
la sintesi vocale delimita ogni scena, addirittura all'inizio racconta l'intera trama. perché la sintesi vocale? perché l'emozione non sta nel cosa si dirà, ma nel come. la logica informatica analizza la storia, ma l'uomo la vive.


il fagiano: tanto la poesia potrebbe essere scambiata per semplice parola, quanto il fagiano per gallinaceo qualunque, eppure rimanda a un eden perso, che è dentro noi. il fagiano è la storia stessa, e noi non siamo coloro che tramandano la storia, poiché questa parla di noi. noi siamo solo gli specchi di questi significati eterni e immutabili.

pesci solubili: che non resistono senz'acqua, che si sciolgono nell'acqua; come l'uomo, che deve necessariamente essere immerso nella vita senza che impari mai a starci, qui. di sottofondo la creazione di Genesi 1 ("fiat...fiat...fiat lux et facta est") e il prologo di Giovanni ("et verbum caro factum est...et habitavit in nobis"), che torneranno nel finale. l'incarnazione di Eurydice, fino alla morte e al dolore del canto di Orfeo ("quaggù nei cieli dei cieli / tutti in ginocchio... l'universo è immerso nel nostro sangue"), alla ricerca di un senso, noi come Orfeo.

l'aldilà e il coro dei morti: che in realtà è l'aldiqua, con le sue abitudini scheletriche, l'agonia della coscienza perbenista, la mancanza di vita e di ricerca, il suo fasto vuoto di senso nel tintinnare calice e festeggiare, tra mille sisifo e cento furie. e i morti siamo noi? poiché il mondo è utopia, non è realizzato, non qui; poiché vivere è altrove. ma siamo nella pancia di d-o.
il silenzio davanti alle potenze della morte, del male, del destino, ma anche del bene, silenzio che lascia senza risposte,come giobbe ("dominus de turbine dixit"), come edipo ("un segno strabico al trivio per tebe"), e in risposta al quale Prometeo intona un inno di rabbia e violenza, di titanico sdegno e ribellione. finché passa la bellezza di Eurydice, la silenziosa, che quasi si sacrifica nell'ade: non torna alla luce.

e a terra lasciai la bicicletta: non c'è bambino che non provi e riprovi a salire su una bicicletta, cadesse pure mille volte, ma con l'età qualcosa cambia e si abbandonano biciclette mai inforcate, aumentano rimpianti e a volte, quando ci sentiamo diversi da quell'io che fummo, sembrano crollare anche i sogni. la perse? la violenza dei barbari vinse sui greci, ma i greci rimasero immortali per il coraggio e l'arte. la perse? la ritrovò eterna nel canto e nell'amore che rende perpetuo il sogno. non è più l'era dei cavalieri erranti, nostalgici e maledetti, poiché abbiamo scoperto di poter ambire a piramidi, di poter credere al nostro sogno d'infanzia.
"spero di poter perdere ogni paura / del paradiso / completamente - quaggiù nei cieli dei cieli - nella pancia di d-o".

e nel grembo divino tornarono tutte le carni verbo: invertendo il prologo giovanneo, nell'epilogo sono i balconi a sostenere le fondamenta, sono le idee e i sogni ad avere creato il mondo, è la bellezza di eurydice ad avere creato il canto di orfeo, che rimarrà eterno.

nella pancia di d-o, quaggiù nei cieli dei cieli: nella cosmologia ebraica d-o divise le acque del mare (maim) dalle acque di sopra, i cieli (shamaim), e al centro aveva posto l'uomo, come se fosse nella pancia di una madre, d-o stesso (cfr. salmo 130: "io sono tranquillo e sereno come un bimbo svezzato nelle braccia di sua madre, come un bimbo svezzato è l'anima mia") , mentre i cieli stellati si specchiassero continuamente nel mare. noi nel grembo di un d-o, e in questo bisogna credere: che una felicità di pace sia possibile, senza paure, qui e ora con un sorriso. l'uomo è la sua armonia.


martedì 10 giugno 2014

EURYDICE



sabato 31 maggio 2014 - Santuario di S. Lorenzo, Guanzate (CO)

si ringraziano ancora Valentina Rusconi ed Emanuele Parravicini per la lettura, i consigli e il supporto; Carmen Arcidiaco per il balletto; Matteo Pini e i bambini de "Il Cortile" per le relative performance; Riccardo Pini e Fabio Tomè per il supporto tecnico; la Parrocchia di Guanzate per la gentilissima concessione della location.