così il pruno si ricopre di fiori
l'ardesia del cielo è tempestata di gioie
in cui il cosmo è un mastodontico spreco
una microscopica luce di ciclopi
qui ci si abitua a ogni inezia a ogni disgrazia
e poi a dimenticare
fino a non bussare più
così conobbi papa Obhiti
era Jean Marie, anziano infermiere
una mattina lo ritrovarono, senza ragioni, appeso
e una corda dondola
là il cielo non perde i suoi colori
lungo cui la polvere passa
appassendo goccia a goccia
E=hv (la furia della cascata in tuffo
ininterrotta) l'essenziale, penso, è il vento che avvampa
poiché siamo uno sperpero di fuoco che infiamma
sentivano il pianto come di un bambino
mentre moriva come un vagito non più soppresso
tra le strutture tortuose dei nostri palazzi
raffreddati alluce valgo pelle arrossata retina
irritata: non abbiamo bisogno più di nulla neanche
che pellicole e soffitti di supermercati
e pellicole di pellicole ci contorcano
serrati nell'asfissia delle sofisticazioni
ma il pesco si riveste di luci
dolci: di quante primavere rifiorì il ciclo dei tempi?
come foglie secche quando l'aurora
ci invita a una danza
nudi nascemmo il primo giorno
mentre le costellazioni ci cullavano
la nudità dondola senza ombre
ci chiama a una danza
uno sperpero di fuoco che avvampa
ti accompagno per mano, papa Obhiti
e ad occhi chiusi
avevo rintracciato un rifugio
tra le torture delle nostri notti
la serenata del loto
spoglio si innamora
P. Gauguin, Un angolo del muro, 1881 |
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