giovedì 18 aprile 2019

era il buio

Giotto di Bondone, Compianto sul Cristo morto, Padova, Cappella degli Scrovegni, 1306 (particolare)

era il buio
a volte aspetto sotto un lampione
e fischietto mentre scordo
di aspettare e allora un riccio
un sorcio mi rotola sulla fronte
come una carezza che non conosce la mia clandestinità
"la lotta ha perso ogni sudore 
le parole hanno smarrito la loro lacrima e il dolore
il caro dolore finisce
quando scordiamo
la ferita"
io, dico, non sono mai morto
sino in fondo ad ora ed allora
ho ripreso a sterrare
decifro e definisco:
A. il vino ormai esausto in attesa sulla mensa E' grazia
B. lo scorcio avulso di un offeso NON E' grazia
IGITUR grazia è un'anima ferita di vento
una ferita che sfavilla di vino, sangue e vento
l'ho scoperto nascosto in un museo di storia naturale
che i mammiferi sono animali della notte
e nella notte l'uomo
ha almeno sette scelte che nella notte
s'oscurano
nella danza

Giotto di Bondone, Compianto sul Cristo morto, Padova, Cappella degli Scrovegni, 1306 (particolare)

venerdì 15 marzo 2019

ho portato un ombrello





ho portato l'ombrello
"non piove" mi dici
ma avevo paura
potesse piovere
poi
e ho portato l'ombrello
è scomodo pesante
ma sono stato dal parrucchiere
(vedi quel bel ciuffo barocco?)
non potevo
svincolarmi dal pensiero
della pioggia del parrucchiere
non posso essere libero
dalla paura
mi porto l'ombrello
pesante ingombrante
del poi (tu ridi)
e poi invece si spensero
le luci i fari i fanali
non pioveva mica
non pioverà neppure
e imparerò ad ammirare
le stelle (m'ami?)




domenica 24 febbraio 2019

la femme, citazione da A. Breton

la femme s'était levée comme se lève le sable fin sur les plages désertes
une femme qui sort d'un bain d'étoiles



la donna s'era alzata come si alza la sabbia fine sulle spiagge deserte
una donna che esce da un bagno di stelle

(A. Breton, Le poisson soluble)

venerdì 8 febbraio 2019

"non mi lamento" P. Sotirios


non mi lamento.
mi è andata bene
nella vita: sono riuscito
ad acquistare un attico.
finalmente posso piangere
con vista sul Partenone

Pastakas Sotirios

E. Hopper, Nottambuli, 1942 


domenica 6 gennaio 2019

un foglio


mi avete chiesto che ho visto in questi giorni a Bruxelles. confesso che non vi ho mai detto la verità.

sì, palazzi regali, vie festose, capolavori di Rubens o David da pelle d’oca, i sapori unici di Matonge, certo, veramente bello. poi sono passato anche a Tervuren, dove è allestito il più grande museo al mondo dedicato all’Africa Centrale, corridoi e corridoi di vetrine colme di maschere. qui sono conservate statue nkisi, feticci kongo che racchiudono poteri spirituali, e copricapi dei bwami, autorità sacre degli hutu, ho visto antichi katatora dei baluba, oggetti raffinati con funzione di oracolo, e l’elegante arte decorativa bwiin dei kuba;  ci sono anche manufatti di mukanda, una ricca iniziazione pedagogica che partiva dalla rappresentazione teatrale: insomma, tutte straordinarie pratiche sociali, culturali, religiose ormai abbandonate e lontane, perse.  



ecco però che poi ho visto questo foglio: è un contratto stipulato nel 1885, dove Kassabala dichiara di sottomettersi al capo della stazione di Mpala, gli offre un tributo e terreni in cambio della protezione di questo. è solo uno dei tanti trattati che fu fatto firmare a più di quattrocento capi villaggio nonostante non solo non sapessero scrivere ma non conoscessero nemmeno il concetto di alcuni termini usati come “sovranità” o “esclusività”. con quella semplice crocetta magari era stato promesso loro che avrebbero consolidato rapporti di amicizia con il re Leopoldo II, mentre in realtà rinunciavano alle loro terre, a tutte le loro terre e a ogni diritto su queste, consegnandoli a questi stranieri che venivano con il winchester in mano e che uccidevano colla forza del tuono. quel giorno sono iniziati a scomparire i mukanda, l’arte bwiin, i katatora dei baluba, le statue nkisi e anche le danze lugbara.

a Bruxelles ho visto questo foglio e non riesco a scordarlo poiché, vi confesso, istintivamente ho provato imbarazzo per la mia pelle, bianca e pallida. quelle centinaia di culture annientate per una civiltà che forse tanto più “civile” non era, mani moncate per i lavoratori di caucciù, milioni di morti. 
mi scuserete,  lo dice uno che danza canti lugbara e intanto fischietta Beethoven, che mangia chikwangue con pondu mentre con l’altra mano studia Dante, ma questa è la verità intima che non sono mai riuscito confessarvi: provo vergogna


non è neppure la prima volta. qualcuno giustamente penserà che il peso del passato non può schiacciare i figli, ma poi penso a Ovuko, a Odrele, a quei bambini cui davo la mano cantando e che non ci sono più, penso al viavai ininterrotto dei tir stracarichi dalle miniere, alle mamme distrutte al mercato per 10 centesimi. penso al Congo in cui è stata staccata ogni connessione da ormai una settimana perché il regime non accetta i risultati di queste maledette elezioni, ai molti amici là che ho perso in questo silenzio e penso a tante altre realtà che conoscete bene anche voi, realtà che non sono oltre al Mare Nostrum del Mediterraneo. penso a questi volti e provo vergogna. 

“è così che va il mondo”? no, così l’abbiamo fatto noi, questo mondo, e chissà se fra qualche secolo anche noi saremo giudicati come questo foglio, crudele e vigliacco.