Come propedeutica alla mostra su Leonora Carrington (1917-2011) al Palazzo Reale di Milano (dal 20 settembre 2025 all'11 gennaio 2026) ho letto uno dei suoi racconti, "Il cornetto acustico", pubblicato da Adelphi nel 1984 con la traduzione, tanto scorrevole da quasi non apparire, di Ginevra Bompiani.
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Leonora Carrington, E poi vide la figlia del Minotauro!, 1953, olio su tela, 60 x 70 cm. San Francisco, Gallery Wendi Norris. |
Questa non è una recensione, perché di una recensione questo volumetto non ha bisogno; molte ne sono state già scritte, ma queste pagine briose vanno solo lette con tanto gusto umoristico.
Alcuni passaggi sottolineati?
"Capita anche a me in certi momenti di pensare di scrivere una poesia ma far rimare le parole è così difficile, come cercare di guidare un branco di tacchini e di canguri per una strada di grande traffico e tenerli bene allineati in fila senza guardare le vetrine. Ci sono tante di quelle parole e tutte significano qualcosa".
"Personalmente credo che il tempo sia senza importanza e quando penso alle foglie d'autunno e alla neve, la primavera e l'estate, gli uccelli e le api, mi rendo conto che il tempo è senza importanza, eppure la gente dà moltissima importanza agli orologi. Io credo nell'ispirazione, una conversazione ispirata fra due persone con qualche misteriosa affinità può portare più gioia nella vita perfino del tipo più costoso di orologio."
"Tante volte mi sento come Giovanna d'Arco così spaventosamente fraintesa e tutti quei tremendi vescovi e cardinali che stuzzicano quel suo povero cervello tormentato con tante domande inutili non posso non provare una profonda affinità con Giovanna d'Arco e spesso mi sento bruciare sul rogo solo perché sono diversa da tutti gli altri perché mi sono sempre rifiutata di rinunciare a quel meraviglioso strano potere che ho in me che si rivela ogniqualvolta mi trovo in armoniosa comunicazione con qualche altro essere ispirato come me".

Cosa mi rimane, alla fine? In fondo la protagonista, anche se non coincide con la narratrice, ne rispecchia la ricca e incessante immaginazione: tanti colori, una bella tazza di fantasia, che ha spaziato dalla casa di riposo del dottor Gambit alla ricerca del sacro Graal, da atmosfere alla Agatha Christie ad accostamenti non sense, e un surrealismo personale, rivisitato e originale, femminista, che nel 1974, la data della composizione del racconto, è più vivace e sorridente che mai.
E nella fuga labirintica il centro di ogni traiettoria, la camera magmatica di ogni esplosione è l'Io narrativo, proprio come il finale e proprio come nei quadri della Carrington, un racconto aperto di sé e del proprio inconscio.
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