mercoledì 22 luglio 2020

152 proverbi surrealisti, Eluard - Péret

mio zio Gianni è senza dubbio uno dei miei venti zii preferiti: un uomo sincero, rude e al tempo stesso tenero, alle volte anche un po’ somaro.

ecco, mio zio Gianni mi ha chiesto a più riprese il senso della serie di post che, quasi per sfida, sto pubblicando giorno dopo giorno; forse anche qualcuno di voi si sta domandando se io sia impazzito del tutto: non più del solito.

< 𝐜𝐞̀ 𝐜𝐡𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐢 𝐩𝐫𝐨𝐯𝐞𝐫𝐛𝐢 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐩𝐫𝐨𝐩𝐫𝐢𝐨 𝐚𝐬𝐬𝐮𝐫𝐝𝐢 > edulcorando quanto dice mio zio Gianni < e, malgrado i miei sforzi, mi sembrano solo idiozie>.

già: in effetti, nonostante siano stati composti quasi un secolo fa da grandi scrittori come Paul Eluard e Benjamin Péret, sono assolutamente insensati. eppure, risponderebbero loro due, 𝐪𝐮𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐯𝐢𝐞𝐧𝐞 𝐩𝐫𝐨𝐜𝐥𝐚𝐦𝐚𝐭𝐨 𝐪𝐮𝐨𝐭𝐢𝐝𝐢𝐚𝐧𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐟𝐢𝐧𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐬𝐢 𝐦𝐨𝐬𝐭𝐫𝐚 𝐦𝐨𝐥𝐭𝐨 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐫𝐚𝐠𝐢𝐨𝐧𝐞𝐯𝐨𝐥𝐞, neppure le nostre piccole verità intime. loro lo sostenevano alla fine della prima carneficina mondiale, ma forse vale ancor più oggi, da quando si è trasformato il pensiero in chiacchiera e dappertutto 𝐬𝐢 𝐩𝐨𝐧𝐭𝐢𝐟𝐢𝐜𝐚 𝐬𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐬𝐨𝐬𝐭𝐚, 𝐬𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐬𝐢𝐥𝐞𝐧𝐳𝐢𝐨.

< ne abbiamo fin troppi di queste fregnacce elaborate > si scalda uno dei miei venti zii preferiti < meglio parlare in modo chiaro e propositivo! >.

diavolo! è proprio così! confesserebbero i miei due amici: queste immagini nascono semplicemente dalla nostra interiorità più intima e sacra, infatti Surrealismo è innanzitutto liberazione del nostro spirito, della nostra immaginazione. 𝐮𝐧𝐚 𝐟𝐚𝐧𝐭𝐚𝐬𝐢𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐡𝐚 𝐥𝐚 𝐩𝐨𝐭𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐝𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐜𝐫𝐞𝐭𝐢𝐳𝐳𝐚𝐫𝐬𝐢 𝐢𝐧 𝐥𝐮𝐩𝐢 𝐬𝐞𝐥𝐯𝐚𝐠𝐠𝐢, 𝐝𝐢𝐥𝐮𝐯𝐢 𝐜𝐨𝐥𝐨𝐫𝐚𝐭𝐞, 𝐥𝐮𝐧𝐞 𝐞 𝐬𝐨𝐥𝐢 𝐝𝐢 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐢 𝐬𝐢𝐬𝐭𝐞𝐦𝐢 𝐬𝐨𝐥𝐚𝐫𝐢, 𝐥𝐚𝐝𝐫𝐢 𝐝𝐢 𝐟𝐢𝐨𝐫𝐢 𝐞 𝐝𝐚𝐧𝐳𝐞 𝐝𝐢 𝐚𝐥𝐛𝐞𝐫𝐢, 𝐨𝐯𝐯𝐞𝐫𝐨 𝐢𝐧 𝐜𝐢𝐨̀ 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐧𝐨𝐢.

152 proverbi, più dei 150 salmi, più di ogni preghiera umana.

sai cosa ci mostra in modo chiaro questa immaginazione, Gianni? 𝐥𝐢𝐧𝐟𝐢𝐧𝐢𝐭𝐚 𝐩𝐨𝐬𝐬𝐢𝐛𝐢𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐞𝐥 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐞, la ricchezza di questo mondo, al di là di ogni abitudine, la bontà di questa orchestra smisurata (smisurata!) che è il cosmo.

c’è una sapienza innata anche in questi proverbi, respira una sapienza arcana e autenticamente umana.

ed è per questo, caro zio, cari amici, che continuo giorno per giorno in questo gioco tanto insensato quanto essenziale che è l’arte di questi proverbi.

𝑎𝑣𝑎𝑛𝑡 𝑙𝑒 𝑑𝑒́𝑙𝑢𝑔𝑒, 𝑑𝑒́𝑠𝑎𝑟𝑚𝑒𝑧 𝑙𝑒𝑠 𝑐𝑒𝑟𝑣𝑒𝑎𝑢𝑥”, prima che diluvi, disarmate i cervelli, ripeteva appunto il primo proverbio.

mentre finisco, scende il fresco serale e intravedo mio zio Alberto, che sornionamente ascolta e se la ride.

ps: per evitare fraintendimenti, il Gianni è sempre in formissima!

𝑚𝑜𝑛 𝑜𝑛𝑐𝑙𝑒 𝐺𝑖𝑎𝑛𝑛𝑖 𝑒𝑠𝑡 𝑠𝑎𝑛𝑠 𝑎𝑢𝑐𝑢𝑛 𝑑𝑜𝑢𝑡𝑒 𝑢𝑛 𝑑𝑒 𝑚𝑒𝑠 𝑣𝑖𝑛𝑔𝑡 𝑜𝑛𝑐𝑙𝑒𝑠 𝑝𝑟𝑒́𝑓𝑒́𝑟𝑒́𝑠: 𝑢𝑛 ℎ𝑜𝑚𝑚𝑒 𝑠𝑖𝑛𝑐𝑒̀𝑟𝑒, 𝑟𝑢𝑑𝑒 𝑒𝑡 𝑒𝑛 𝑚𝑒̂𝑚𝑒 𝑡𝑒𝑚𝑝𝑠 𝑡𝑒𝑛𝑑𝑟𝑒, 𝑝𝑎𝑟𝑓𝑜𝑖𝑠 𝑚𝑒̂𝑚𝑒 𝑢𝑛𝑒 𝑝𝑒𝑡𝑖𝑡𝑒 𝑐𝑎𝑛𝑎𝑖𝑙𝑙𝑒.

𝑒𝑡 𝑚𝑜𝑛 𝑜𝑛𝑐𝑙𝑒 𝐺𝑖𝑎𝑛𝑛𝑖 𝑚'𝑎 𝑑𝑒𝑚𝑎𝑛𝑑𝑒́ 𝑎̀ 𝑝𝑙𝑢𝑠𝑖𝑒𝑢𝑟𝑠 𝑟𝑒𝑝𝑟𝑖𝑠𝑒𝑠 𝑙𝑒 𝑠𝑒𝑛𝑠 𝑑𝑒 𝑙𝑎 𝑠𝑒́𝑟𝑖𝑒 𝑑𝑒 𝑖𝑚𝑎𝑔𝑒𝑠 𝑞𝑢𝑒, 𝑐𝑜𝑚𝑚𝑒 𝑢𝑛 𝑑𝑒́𝑓𝑖, 𝑗𝑒 𝑝𝑢𝑏𝑙𝑖𝑒 𝑗𝑜𝑢𝑟 𝑎𝑝𝑟𝑒̀𝑠 𝑗𝑜𝑢𝑟; 𝑝𝑒𝑢𝑡-𝑒̂𝑡𝑟𝑒 𝑚𝑒̂𝑚𝑒 𝑞𝑢𝑒 𝑐𝑒𝑟𝑡𝑎𝑖𝑛𝑠 𝑑'𝑒𝑛𝑡𝑟𝑒 𝑣𝑜𝑢𝑠 𝑠𝑒 𝑑𝑒𝑚𝑎𝑛𝑑𝑒𝑛𝑡 𝑠𝑖 𝑗𝑒 𝑠𝑢𝑖𝑠 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒𝑚𝑒𝑛𝑡 𝑓𝑜𝑢: 𝑝𝑎𝑠 𝑝𝑙𝑢𝑠 𝑞𝑢𝑒 𝑑'ℎ𝑎𝑏𝑖𝑡𝑢𝑑𝑒.

< 𝑖𝑙 𝑦 𝑎 𝑞𝑢𝑒 𝑐𝑒𝑠 𝑝𝑟𝑜𝑣𝑒𝑟𝑏𝑒𝑠 𝑠𝑜𝑛𝑡 𝑗𝑢𝑠𝑡𝑒 𝑎𝑏𝑠𝑢𝑟𝑑𝑒𝑠 > 𝑒́𝑑𝑢𝑙𝑐𝑜𝑟𝑎𝑛𝑡 𝑐𝑒 𝑞𝑢𝑒 𝑑𝑖𝑡 𝑚𝑜𝑛 𝑜𝑛𝑐𝑙𝑒 𝐺𝑖𝑎𝑛𝑛𝑖 < 𝑒𝑡, 𝑚𝑎𝑙𝑔𝑟𝑒́ 𝑡𝑜𝑢𝑠 𝑚𝑒𝑠 𝑒𝑓𝑓𝑜𝑟𝑡𝑠, 𝑖𝑙𝑠 𝑚𝑒 𝑠𝑒𝑚𝑏𝑙𝑒𝑛𝑡 𝑗𝑢𝑠𝑡𝑒 𝑑𝑒𝑠 𝑐𝑜𝑛𝑛𝑒𝑟𝑖𝑒𝑠 >.

𝑡𝑜𝑢𝑡 𝑎̀ 𝑓𝑎𝑖𝑡: 𝑒𝑛 𝑒𝑓𝑓𝑒𝑡, 𝑏𝑖𝑒𝑛 𝑞𝑢'𝑖𝑙𝑠 𝑎𝑖𝑒𝑛𝑡 𝑒́𝑡𝑒́ 𝑐𝑜𝑚𝑝𝑜𝑠𝑒́𝑠 𝑖𝑙 𝑦 𝑎 𝑝𝑟𝑒̀𝑠 𝑑'𝑢𝑛 𝑠𝑖𝑒̀𝑐𝑙𝑒 𝑝𝑎𝑟 𝑑𝑒𝑠 𝑔𝑟𝑎𝑛𝑑𝑠 𝑒́𝑐𝑟𝑖𝑣𝑎𝑖𝑛𝑠 𝑡𝑒𝑙𝑠 𝑞𝑢𝑒 𝑃𝑎𝑢𝑙 𝐸𝑙𝑢𝑎𝑟𝑑 𝑒𝑡 𝐵𝑒𝑛𝑗𝑎𝑚𝑖𝑛 𝑃𝑒́𝑟𝑒𝑡, 𝑖𝑙𝑠 𝑠𝑜𝑛𝑡 𝑎𝑏𝑠𝑜𝑙𝑢𝑚𝑒𝑛𝑡 𝑖𝑛𝑠𝑒𝑛𝑠𝑒́𝑠. 𝑝𝑜𝑢𝑟𝑡𝑎𝑛𝑡, 𝑟𝑒́𝑝𝑜𝑛𝑑𝑟𝑎𝑖𝑒𝑛𝑡 𝑙𝑒𝑠 𝑑𝑒𝑢𝑥, 𝑐𝑒 𝑞𝑢𝑒 𝑛𝑜𝑢𝑠 𝑣𝑜𝑦𝑜𝑛𝑠 𝑐ℎ𝑎𝑞𝑢𝑒 𝑗𝑜𝑢𝑟 𝑝𝑟𝑜𝑐𝑙𝑎𝑚𝑒́ 𝑛𝑒𝑠𝑡 𝑝𝑎𝑠 𝑏𝑒𝑎𝑢𝑐𝑜𝑢𝑝 𝑝𝑙𝑢𝑠 𝑟𝑎𝑖𝑠𝑜𝑛𝑛𝑎𝑏𝑙𝑒, 𝑛𝑜𝑠 𝑝𝑒𝑡𝑖𝑡𝑒𝑠 𝑣𝑒́𝑟𝑖𝑡𝑒́𝑠 𝑖𝑛𝑡𝑖𝑚𝑒𝑠 𝑎𝑢𝑠𝑠𝑖. 𝑖𝑙𝑠 𝑙'𝑜𝑛𝑡 𝑠𝑜𝑢𝑡𝑒𝑛𝑢 𝑎̀ 𝑙𝑎 𝑓𝑖𝑛 𝑑𝑢 𝑝𝑟𝑒𝑚𝑖𝑒𝑟 𝑐𝑎𝑟𝑛𝑎𝑔𝑒 𝑚𝑜𝑛𝑑𝑖𝑎𝑙, 𝑚𝑎𝑖𝑠 𝑐'𝑒𝑠𝑡 𝑝𝑒𝑢𝑡-𝑒̂𝑡𝑟𝑒 𝑒𝑛𝑐𝑜𝑟𝑒 𝑝𝑙𝑢𝑠 𝑣𝑎𝑙𝑎𝑏𝑙𝑒 𝑎𝑢𝑗𝑜𝑢𝑟𝑑'ℎ𝑢𝑖, 𝑐𝑎𝑟 𝑙𝑎 𝑝𝑒𝑛𝑠𝑒́𝑒 𝑠'𝑒𝑠𝑡 𝑡𝑟𝑎𝑛𝑠𝑓𝑜𝑟𝑚𝑒́𝑒 𝑒𝑛 𝑏𝑎𝑣𝑎𝑟𝑑𝑎𝑔𝑒 𝑒𝑡 𝑝𝑎𝑟𝑡𝑜𝑢𝑡 𝑜𝑛 𝑝𝑜𝑛𝑡𝑖𝑓𝑖𝑒 𝑠𝑎𝑛𝑠 𝑟𝑒𝑙𝑎̂𝑐ℎ𝑒, 𝑠𝑎𝑛𝑠 𝑠𝑖𝑙𝑒𝑛𝑐𝑒.

< 𝑛𝑜𝑢𝑠 𝑎𝑣𝑜𝑛𝑠 𝑡𝑟𝑜𝑝 𝑑𝑒 𝑐𝑒𝑠 𝑠𝑜𝑟𝑛𝑒𝑡𝑡𝑒𝑠 𝑒́𝑙𝑎𝑏𝑜𝑟𝑒́𝑒𝑠 > 𝑢𝑛 𝑑𝑒 𝑚𝑒𝑠 𝑣𝑖𝑛𝑔𝑡 𝑜𝑛𝑐𝑙𝑒𝑠 𝑝𝑟𝑒́𝑓𝑒́𝑟𝑒́𝑠 𝑠𝑒 𝑟𝑒́𝑐ℎ𝑎𝑢𝑓𝑓𝑒 < 𝑚𝑖𝑒𝑢𝑥 𝑣𝑎𝑢𝑡 𝑝𝑎𝑟𝑙𝑒𝑟 𝑐𝑙𝑎𝑖𝑟𝑒𝑚𝑒𝑛𝑡 𝑒𝑡 𝑐𝑜𝑛𝑠𝑡𝑟𝑢𝑐𝑡𝑖𝑣𝑒𝑚𝑒𝑛𝑡! >.

𝑚𝑎𝑚𝑎 𝑛𝑎 𝑛𝑔𝑎𝑖! 𝑐'𝑒𝑠𝑡 𝑐̧𝑎! 𝑚𝑒𝑠 𝑑𝑒𝑢𝑥 𝑎𝑚𝑖𝑠 𝑙'𝑎𝑣𝑜𝑢𝑒𝑟𝑎𝑖𝑒𝑛𝑡: 𝑐𝑒𝑠 𝑖𝑚𝑎𝑔𝑒𝑠 𝑛𝑎𝑖𝑠𝑠𝑒𝑛𝑡 𝑠𝑖𝑚𝑝𝑙𝑒𝑚𝑒𝑛𝑡 𝑑𝑒 𝑛𝑜𝑡𝑟𝑒 𝑖𝑛𝑡𝑒́𝑟𝑖𝑜𝑟𝑖𝑡𝑒́ 𝑙𝑎 𝑝𝑙𝑢𝑠 𝑖𝑛𝑡𝑖𝑚𝑒 𝑒𝑡 𝑙𝑎 𝑝𝑙𝑢𝑠 𝑠𝑎𝑐𝑟𝑒́𝑒, 𝑒𝑛 𝑒𝑓𝑓𝑒𝑡 𝑙𝑒 𝑠𝑢𝑟𝑟𝑒́𝑎𝑙𝑖𝑠𝑚𝑒 𝑒𝑠𝑡 𝑎𝑣𝑎𝑛𝑡 𝑡𝑜𝑢𝑡 𝑙𝑎 𝑙𝑖𝑏𝑒́𝑟𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛 𝑑𝑒 𝑛𝑜𝑡𝑟𝑒 𝑒𝑠𝑝𝑟𝑖𝑡, 𝑑𝑒 𝑛𝑜𝑡𝑟𝑒 𝑖𝑚𝑎𝑔𝑖𝑛𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛. 𝑢𝑛𝑒 𝑓𝑎𝑛𝑡𝑎𝑖𝑠𝑖𝑒 𝑞𝑢𝑖 𝑎 𝑙𝑒 𝑝𝑜𝑢𝑣𝑜𝑖𝑟 𝑑𝑒 𝑠𝑒 𝑚𝑎𝑡𝑒́𝑟𝑖𝑎𝑙𝑖𝑠𝑒𝑟 𝑑𝑎𝑛𝑠 𝑙𝑒𝑠 𝑙𝑜𝑢𝑝𝑠 𝑠𝑎𝑢𝑣𝑎𝑔𝑒𝑠, 𝑙𝑒𝑠 𝑖𝑛𝑜𝑛𝑑𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛𝑠 𝑐𝑜𝑙𝑜𝑟𝑒́𝑒𝑠, 𝑙𝑒𝑠 𝑙𝑢𝑛𝑒𝑠 𝑒𝑡 𝑙𝑒𝑠 𝑠𝑜𝑙𝑒𝑖𝑙𝑠 𝑑'𝑎𝑢𝑡𝑟𝑒𝑠 𝑠𝑦𝑠𝑡𝑒̀𝑚𝑒𝑠 𝑠𝑜𝑙𝑎𝑖𝑟𝑒𝑠, 𝑙𝑒𝑠 𝑣𝑜𝑙𝑒𝑢𝑟𝑠 𝑑𝑒 𝑓𝑙𝑒𝑢𝑟𝑠 𝑒𝑡 𝑙𝑒𝑠 𝑑𝑎𝑛𝑠𝑒𝑠 𝑑𝑒𝑠 𝑎𝑟𝑏𝑟𝑒𝑠, 𝑐𝑠𝑡 𝑎̀ 𝑑𝑖𝑟𝑒 𝑑𝑎𝑛𝑠 𝑐𝑒 𝑞𝑢𝑒 𝑛𝑜𝑢𝑠 𝑠𝑜𝑚𝑚𝑒𝑠.

152 𝑝𝑟𝑜𝑣𝑒𝑟𝑏𝑒𝑠, 𝑝𝑙𝑢𝑠 𝑞𝑢𝑒 𝑙𝑒𝑠 150 𝑝𝑠𝑎𝑢𝑚𝑒𝑠 𝑏𝑖𝑏𝑙𝑖𝑞𝑢𝑒𝑠, 𝑝𝑙𝑢𝑠 𝑞𝑢𝑒 𝑡𝑜𝑢𝑡𝑒 𝑙𝑎 𝑝𝑟𝑖𝑒̀𝑟𝑒 ℎ𝑢𝑚𝑎𝑖𝑛𝑒.

𝑡𝑢 𝑠𝑎𝑖𝑠, 𝐺𝑖𝑎𝑛𝑛𝑖, 𝑐𝑒 𝑞𝑢𝑒 𝑐𝑒𝑡𝑡𝑒 𝑖𝑚𝑎𝑔𝑖𝑛𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛 𝑛𝑜𝑢𝑠 𝑚𝑜𝑛𝑡𝑟𝑒 𝑐𝑙𝑎𝑖𝑟𝑒𝑚𝑒𝑛𝑡? 𝑙'𝑖𝑛𝑓𝑖𝑛𝑖𝑒 𝑝𝑜𝑠𝑠𝑖𝑏𝑖𝑙𝑖𝑡𝑒́ 𝑑𝑒 𝑙𝑎 𝑟𝑒́𝑎𝑙𝑖𝑡𝑒́, 𝑙𝑎 𝑟𝑖𝑐ℎ𝑒𝑠𝑠𝑒 𝑑𝑒 𝑐𝑒 𝑚𝑜𝑛𝑑𝑒, 𝑎𝑢-𝑑𝑒𝑙𝑎̀ 𝑑𝑒 𝑡𝑜𝑢𝑡𝑒 ℎ𝑎𝑏𝑖𝑡𝑢𝑑𝑒, 𝑙𝑎 𝑏𝑜𝑛𝑡𝑒́ 𝑑𝑒 𝑐𝑒𝑡 𝑜𝑟𝑐ℎ𝑒𝑠𝑡𝑟𝑒 𝑖𝑛𝑐𝑜𝑚𝑚𝑒𝑛𝑠𝑢𝑟𝑎𝑏𝑙𝑒 (𝑖𝑛𝑐𝑜𝑚𝑚𝑒𝑛𝑠𝑢𝑟𝑎𝑏𝑙𝑒!) 𝑞𝑢'𝑒𝑠𝑡 𝑙𝑢𝑛𝑖𝑣𝑒𝑟𝑠.

𝑖𝑙 𝑦 𝑎 𝑎𝑢𝑠𝑠𝑖 𝑢𝑛𝑒 𝑠𝑎𝑔𝑒𝑠𝑠𝑒 𝑖𝑛𝑛𝑒́𝑒 𝑑𝑎𝑛𝑠 𝑐𝑒𝑠 𝑝𝑟𝑜𝑣𝑒𝑟𝑏𝑒𝑠, 𝑢𝑛𝑒 𝑠𝑎𝑔𝑒𝑠𝑠𝑒 𝑚𝑦𝑠𝑡𝑒́𝑟𝑖𝑒𝑢𝑠𝑒 𝑒𝑡 𝑎𝑢𝑡ℎ𝑒𝑛𝑡𝑖𝑞𝑢𝑒𝑚𝑒𝑛𝑡 ℎ𝑢𝑚𝑎𝑖𝑛𝑒 𝑟𝑒𝑠𝑝𝑖𝑟𝑒.

𝑒𝑡 𝑐'𝑒𝑠𝑡 𝑝𝑜𝑢𝑟 𝑐̧𝑎, 𝑐ℎ𝑒𝑟 𝑜𝑛𝑐𝑙𝑒, 𝑐ℎ𝑒𝑟𝑠 𝑎𝑚𝑖𝑠, 𝑞𝑢𝑒 𝑗𝑒 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑖𝑛𝑢𝑒 𝑗𝑜𝑢𝑟 𝑎𝑝𝑟𝑒̀𝑠 𝑗𝑜𝑢𝑟 𝑑𝑎𝑛𝑠 𝑙𝑒 𝑗𝑒𝑢 𝑎𝑢𝑠𝑠𝑖 𝑖𝑛𝑠𝑒𝑛𝑠𝑒́ 𝑞𝑢'𝑒𝑠𝑠𝑒𝑛𝑡𝑖𝑒𝑙 𝑞𝑢𝑖 𝑒𝑠𝑡 𝑙'𝑎𝑟𝑡 𝑑𝑒 𝑐𝑒𝑠 𝑝𝑟𝑜𝑣𝑒𝑟𝑏𝑒𝑠.

"𝑎𝑣𝑎𝑛𝑡 𝑙𝑒 𝑑𝑒́𝑙𝑢𝑔𝑒, 𝑑𝑒́𝑠𝑎𝑟𝑚𝑒𝑧 𝑙𝑒𝑠 𝑐𝑒𝑟𝑣𝑒𝑎𝑢𝑥", 𝑣𝑖𝑒𝑛𝑡 𝑑𝑒 𝑟𝑒́𝑝𝑒́𝑡𝑒𝑟 𝑙𝑒 𝑝𝑟𝑒𝑚𝑖𝑒𝑟 𝑝𝑟𝑜𝑣𝑒𝑟𝑏𝑒.

𝑎𝑙𝑜𝑟𝑠 𝑞𝑢𝑒 𝑗𝑒 𝑡𝑒𝑟𝑚𝑖𝑛𝑒, 𝑙𝑎 𝑠𝑜𝑖𝑟𝑒́𝑒 𝑓𝑟𝑎𝑖̂𝑐ℎ𝑒 𝑡𝑜𝑚𝑏𝑒 𝑒𝑡 𝑗'𝑒𝑛𝑡𝑟𝑒𝑣𝑜𝑖𝑠 𝑚𝑜𝑛 𝑜𝑛𝑐𝑙𝑒 𝐴𝑙𝑏𝑒𝑟𝑡𝑜, 𝑞𝑢𝑖 𝑒́𝑐𝑜𝑢𝑡𝑒 𝑒𝑡 𝑟𝑖𝑡 𝑠𝑜𝑢𝑟𝑛𝑜𝑖𝑠𝑒𝑚𝑒𝑛𝑡.

𝑝𝑠: 𝑝𝑜𝑢𝑟 𝑒́𝑣𝑖𝑡𝑒𝑟 𝑙𝑒𝑠 𝑚𝑎𝑙𝑒𝑛𝑡𝑒𝑛𝑑𝑢𝑠, 𝐺𝑖𝑎𝑛𝑛𝑖 𝑒𝑠𝑡 𝑡𝑜𝑢𝑗𝑜𝑢𝑟𝑠 𝑒𝑛 𝑝𝑙𝑒𝑖𝑛𝑒 𝑓𝑜𝑟𝑚𝑒
























































































































































sabato 11 aprile 2020

L'art selon Paul Nougé

Si l’on a fait de la musique, de la peinture et de la danse, du cinéma ou de la poésie de simples distractions, c’est pour mieux nier leur potentiel subversif, à même de bouleverser l’ordre social




Se si fa della musica, della pittura e della danza, del cinema o della poesia delle semplici distrazioni, è per meglio negare il loro potenziale sovversivo, in grado di sconvolgere l’ordine sociale.



Paul Nougé
R. Magritte, Il falso specchio, 1928





venerdì 10 aprile 2020

Venerdì



"on nous harcèle au point que nous harcelons Toi
on nous presse à entrer dans le désert de Toi"


siamo incalzati a tal punto da incalzare Te
siamo spinti a entrare nel deserto di Te


Patrice de la Tour du Pin



Gerrard Büttner, Gefangener das Wort 'Freiheit' betrachtend,
Prigioniero che guarda la parola "libertà",1988

martedì 17 marzo 2020

Biondo come il Sole




per fortuna gli uomini possono sognare 
gli uomini possono sognare 
e l'uomo può ancora essere sognato. 
dalla biblioteca dei bimbi una banda 
a brandelli stona l'inno canadese esce 
travolge 
i non più verdi viali arteriosclerotizzati travolge 
e pure qualche audace viola si unì a cantare 
mentre il paese non più paese 
era ma mondo e i miei morti torneranno a salutarmi. 
pure i treni lunari pure sobri battelli pure 
voi e qualche sbandato sconosciuto 
a intonare la festa delle feste, quella 
senza nome illegittima sconclusionata quella 
allora vodka galleggerà nelle stelle 
e non dovrò chiamarti non dovrò rintracciare parole 
Amore non ci saranno pezze di voce: 
io penserò Te e Tu già avrai amato. 
il cemento si articola in scheletri fuggenti 
tra alberi amaranto poichè io seguo la banda 
strimpellante moderni ritornelli arcani, 
rovina del mondo, di questo, mentreppure 
creazioni di respiri prendono vita 
e il vento non ha smesso di soffiare non ha smesso
io non mi ubriaco non scappo non rubo: 
solamente dipingo prati in cui anch'io 
possa trovarmi e fiatare 
del vento che sono. 
e sarà. 

un uomo sognato da un uomo.

venerdì 6 marzo 2020

Ovuko


Ora che, dopo mesi e mesi, riascolto ancora la tua voce, pronuncio ancora senza risposta il tuo nome, che mi rimbomba nella testa, solo ora capisco che non potrò dire mai nulla di te, che non potrò mai raccontare abbastanza. Passano settimane, passano mesi e non riesco mai a trovare la parola, Ovuko.
Mai niente a nessuno.




Non basta scrivere che sei una bellissima bambina di 9 anni, dagli occhi sottili come un cerbiatto impaurito; non basterebbe neppure raccontare come ti ho conosciuto nella corsia dell’ospedale di Ariwara, distesa su un letto, quel letto subito a destra, vicino all'ingresso col materasso di gommapiuma blu, né di come ti circondavi di quella coperta della Turkey Airways che ti avevo lasciato, né come sei divenuta mia amica e sei restata mia sorella.
Mai niente a nessuno.


Quei piedi gonfi, quel petto sofferente, quel volto smagrito per un’insufficienza cardiaca che non potevamo accettare e che allo stesso modo non potemmo guarire.
Ovuko, ormai è da mesi che di te non parlo più a nessuno, non posso parlare più e mi limito a riascoltare il tuo canto alla sveglia, quel canto lugbara che ti insegnai per i lunghi pomeriggi di quelle sante settimane a te che lugbara non era e con cui comunicavamo a fatica, con un sorriso e due gesti di danza. Resto a ripetere quel canto, a rileggere quelle lettere che avevi abbozzato su un quaderno, a rimirare le tue espressioni. La cosa che ancora mi sorprende non è che un giorno senza alcun avviso te ne sia andata, quanto piuttosto come parte di me è tanto ancorata a te da non poterla mai più lasciare.
Eppure mai, niente, a nessuno.

Mi rimane la tua voce da riascoltare, ogni giorno, perché ho perso la mia, Ovuko, sorella mia.



IL CANTO DI OVUKO

una canzone muta sventola senza posa
sventola e tu la ascolti
mentre spolveri del fondotinta
mentre corri sulle chiacchiere dell’imbrunire
non stenderò nessuna nuova canzone: troppe melodie
hanno già danzato sino al declino
e io arrivo ormai a notte tarda
canuto i ballerini stanchi
canta tu, ragazza, per me
ma che le parole siano sangue
il cielo d’Ariwara incombe magnifico
e mosso i giardini di manghi non cadono mai spogli
e la sua sabbia non scivola più via dalla pelle
nulla muta sopra i monti
dove quella zebra cacciata
brancolava il bufalo ferito e
accasciato allontanato nei silenzi inerti
Ovuko accasciata che muore
bella come una ballerina in scena
bella nello stento del suo sorriso
su questo materasso lercio e sudicio
"adroni maa fera"
la tua voce splendeva gracile
"ayikosi" splendevi che parevi marte
avevi occhi sottili come marte rosso
ma ti gridava il cuore selvaggio
ti gonfiava ti batteva ti sbatteva
“insufficienza cardiaca” recitavamo nella nostra
preghiera sangue sulle mie mani
la sera senza pace la notte
tra le corsie di piscio e di sangue
e il tuo materasso rosso
così Beatrice conosceva il mio nome
come fosse un canto:
rideva
intrecciava dei passi di pavone blu
seguendo la mia marcia inquieta
non ho altro posto che il terreno
sopra cui inspiro respiro espiro
non vorrei altro posto che qui
dove Elindu Chrisostome
pallido ha fissato la morte
ormai vetro e io leggevo
la sua anima che respirava
poi spirava:
dissi amen. suo padre mi strinse
senza che nessuno di noi due
comprendesse bene.
non ho altra ricompensa che qui
accanto a te figlia
che figlia non sei
dal volto nero e il cuore gigante
"adroni maa fera"
era la nostra canzone
"adroni adhyeni fere si ku"
eri la tua poesia
dondolando il dito
e non avevi altro nome, Ovuko
se passava Obhede il nano
gli uomini ghignavano “Obhé,
piccolo!” con fare bestiale lui
passava il suo passo solenne e muto
“nano, te li rubano i bambini,
ti rubano gli abiti!” eppure
aveva centotrent’anni, tutti garantivano,
di più!, senza mai arrivare a casa:
passava, come volgo io verso una promessa
beibane vilewere “ci vediamo
dopo, Ovuko” e tossivo
senza che nessuno di noi due
comprendesse bene
le parole sono sangue
mama Cecilya intrecciava i tappeti nella tenebra
ma il cielo d’Ariwara incombe maestoso
ed ebbro i giardini di manghi non cadono mai brulli
e la sua sabbia non va più via dalla pelle. "ARIWARA
ERI MA ASI è il mio cuore
Ariwara". ci sono momenti in cui l’ombra
(lo noti un istante)
non è più. così
Osaru la pazza mi benedice gridando
“guarirai e diverrai noi” i seni
nudi come una verità d’uomo "kaso adri
were ati aferi ni ayikosi"
“anche se pare un grano sarà
gioia” cerco di decifrare
tra le cento voci chiassose del mercato
risuoneremo il colore di ogni cosmo
sosterrai la mia mano timida
e saprò fermarmi se ti affaticherai
anche il sole sa riposare tacendo
e cammineremo ancora assieme, figlia,
alla terra promessa di Lamila
io, te e le nostre lacrime nascoste
i nostri amici ci chiameranno
lo sai da lontano
con quel grido “brilla
una terra promessa qua”
sarà solo una corsa un abbraccio
e noi figlia ma madre sorella
alito di dio
che ora non canta più
ma sventola senza pace


"Adroni maa fera, Adroni adhieni pere si ku
kaso adri were ati aferi ni ayikosi"
dona al Signore, col Signore non essere egoista
anche se è poco ci sarà gioia

martedì 3 marzo 2020

Prometheus


è tornato il canto dei tordi
la gramigna riaffiora negli orti
ed è ancora viva
in questi giorni in queste notti
del febbraio spento

tempi di telemaco sul mare
dal colore benzina
e sangue tempi di una strofa gettata
quando la platea applaude di noia

non importa di ciò che resta
all’alba inizia e suona l’orchestra
a occhi socchiusi e incessantemente
a ritroso come le sabbie di una clessidra
ho riconosciuto questa belva affamata
ansimare s’aggira assiduamente

il pianto incessante dei salici
lunghi su un'isola di naufraghi
finiva la filastrocca
con l'errore sentimentale dell'esistere
è come dire che ho sempre disegnato case
senza tetto senza riparo

traffico intenso sulla tangenziale est
uscita segrate
senza più segreti
e marginale un bipede tecnomorfo
senza più ombra

non importa più di quel che resta
se qui resti a intendere l’orchestra.
il mio animo ancora batte, sbatte
e talvolta infiamma, senza più
piedi, edipo

in queste notti in questi giorni
è tornato il canto dei tordi
la gramigna riaffiora negli orti
ed è ancora vita
anche se sai
non più nostra

una stella come la mia pelle ancora si disseta
delle scogliere esitanti di Dieppe
non più scrivere non bisogna più scrivere
parole una gialla camicia a fiori
e una corona di carote

è tornato il canto dei tordi
la gramigna riaffiora negli orti
non importa più di quel che resta
la platea le promesse l’orchestra
ma un soffio ravviva i fuochi

sabato 7 dicembre 2019

profumo


e noi, che apprendiamo i colori attraverso l'intensità di un profumo, che riconosciamo la primavera da un canto serale e il crepuscolo autunnale da una foglia, come mai noi non afferriamo il volto di un'emozione con uno sguardo? perché non scorgiamo l'immensità di un'idea grazie a queste nostre mani?



mercoledì 20 novembre 2019

"come di neve in alpe sanza vento" (Dante, Inf. XIV, 30)

C. Monet, Effet de neige à Givergny, 1893

più passano gli inverni
e più siamo abbandonati
dalle nostre paure dalle nostre prigioni
torniamo leggeri
come la neve
e come il nostro passo 
un funambolo appassionato
sul sentiero smarrito

lunedì 4 novembre 2019

e riconobbi la mia ombra superarmi d'ombra

Mausoleo di Galla Placidia, dettaglio dei mosaici, Ravenna

aspettavo che i noci strepitassero.
ed entrai nel bosco.

gli antichi marinai si orientavano con le stelle ripeteva l'insegnante delle elementari mentre fissavamo le righe dei nostri quaderni sporchi di inchiostro. per queste macchie ho cominciato a detestare dentro quell'orientamento mancino.
così in principio era bello stendere i panni al vento lasciando che le sue lusinghe li sventolasse in cinquanta bandiere di cento nazioni dei nostri mille pianeti, poiché avevamo la presunzione di intuire che quella fosse la rotta. io poi non faccio testo perché darei la vita intera per riavere eternamente la mia infanzia. seguimmo dunque il sentiero e arrivammo, anzi no, allora continuammo e arrivammo, però non ancora, riprendemmo e arrivammo, ma non proprio alla meta. ancora un poco, sempre ancora quel poco che permette una sosta distratta, una breve ricreazione, ma senza poter parlar di pace e, fermandosi, di esclamare "ah, casa!".
l'interiezione, si dice, è una parte invariabile del discorso che non ha un significato in sé stessa ma esprime il sentimento, uno stato d'animo,"ah, casa!". e ci ritroviamo anziani, così ci chiamano i ragazzi, a dimenticare il giorno festoso del nostro fastoso matrimonio, ma ad amare quel bacio timido e nascosto che fu il nostro primo amore. "ah, ti amo!". l'errore sentimentale dell'esistere: tutto un romanzo racchiuso nell'interiezione.
una gialla camicia a fiori, una betulla davanti alla finestra, davanti al dolce davanzale di calcinaccio, finché un mattino mio zio mi dice "è arrivato il tempo che la tagliamo". così la betulla fu sfrondata, recisa, tranciata e per me, io che mica pensavo c'entrassi con quest'affare, fu inconcepibile vedere il prato lontano dal colore indistinguibile d'infinito. ora è tanto più inconcepibile che la segatura della betulla riaffiori ancora talvolta tra gli steli del prato. riaffiora tra i tanti fiori.
quando a volta capita di passeggiare nelle catacombe, passeggiando nell'oscurità, queste puzzano sempre un po' di pesce, poiché la legge è sempre stata solo una: i padri divorano i figli o i figli decapitano i padri, forse per seppellire il ventre di Crono o per placare le furie d'Oreste. 
ancora oggi, ora che le mie strade sono più lente e larghe, di notte sogno spesso, per compensare le giornate piane, e capita di incrociare per delle soleggiate spiagge sicule la maestra Lucia, nata sotto le ceneri dell'Etna, che mi consola ripetendo ancora una folle cantilena di tabelline, la santa della luce. quando ginnasiale ho accompagnato il mio professore per le strade deserte del medioevo non riconoscendomi mi ha chiesto chi fossi, prima di perdere ogni memoria, scivolandomi tra le dita sudate. i sogni sono al tempo stesso veri e oscuri, poiché nella loro umana oscurità risiede il vero, dunque non bisogna più scrivere segreti.
arrivai a otto anni pensando che il ciclista più forte dovesse essere sempre davanti e correre sempre più veloce, in ogni corsa, ad ogni tappa, sempre più forte e più veloce come una dittatura scientifica. non fu facile per mio padre, mentre sfilava per la provinciale il carosello delle maglie a tinte vivace, frenare il mio impeto inopportuno. analogamente conobbi tanti signori che preferivano soap opera e ne fui profondamente deluso: anche il cosiddetto benessere ha un peso insopportabile. così fu poi compito dei giorni mostrarmi gli eroi folli, gli eroi maledetti, gli eroi vinti nella polvere. Ettore, Villeneuve, Andrea Fortunato, Socrate, Adriano, ma mica l'imperatore, Lautréamont. è il segreto d'erba, che i ciechi riconoscono facilmente: piegarsi, senza muoversi, e poi rialzarsi al cielo. 
il fieno ingiallisce in un giorno estivo. una gialla camicia a fiori. io darei la vita intera per riavere eternamente la mia infanzia, che conteneva tutto, come un'interiezione, e il profumo di quella betulla. "c'è ancora guerra" dice il contabile, "che freddo stamattina" ripete quotidianamente il pendolare, ma perché di loro nessuno sa correre, correre in testa, senza spazio per le paure. c'è sempre guerra, qui e altrove, poiché dappertutto è primavera.

poche ore dopo, uscendo finalmente dal bosco, lontano come un sogno, lo strepito di noci, come un saluto attutito dall'intimità. riconobbi l'ombra che superava la mia ombra e riconobbi la mia ombra superarmi d'ombra.

Mausoleo di Galla Placidia, dettaglio dei mosaici, Ravenna