credo che se non credessi nell'età dell'oro, nell'età della mia lontana innocenza, nel tempo di una mia arcana felicità, non avrei forze e non avrei speranza per poter credere che nella vita è ancora possibile la felicità.
non si può volare se non si è conosciuto il cielo.
l'idea di progresso è opprimente, fallace e angusta. ex nihilo nihil: non può esistere ciò che non è mai esistito. all'interno di un sistema chiuso tutto si trasforma, ma nulla si crea e nulla si distrugge, neppure un sorriso.
l'idea che si è stati felici e si può tornare a esserlo abbracciando in modo autentico la propria fiamma più nascosta e remota è tanto bella che non può non essere vera, anche solo per una necessità estetica dell'essere.
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mercoledì 17 settembre 2014
ma questa dannata cantata sognata età dell'oro è esistita o no alla fine?
giovedì 10 luglio 2014
innere sicherheit / misure di sicurezza interna (h.m. enzensberger)
tento di sollevare il coperchio,
logicamente, il coperchio
che chiude la mia cassa.
non che sia una bara, questo no,
è solo un involucro, una cabina,
insomma una cassa.
picchio contro il coperchio,
grido fatemi luce! lotto
per il fiato, logicamente,
e tuono contro lo sportello. bene.
ma per motivi di sicurezza interna io sono,
nella mia cassa, solo con me stesso,
nella mia propria cassa.
con la mia propria nuca. ecco!
lo spazio d'una fessura! ah! fuori,
stupendo, l'ampio paesaggio,
cosparso di barattoli, di bidoni,
insomma di scatole, e sullo sfondo
il moto fremente dei verdi flutti,
punteggiato di valige naviganti,
sovrastato da altissime nubi,
e ovunque, ovunque l'aria!
esprimere il mio rammarico, ahimè!,
il mio proprio rammarico
mentre con un sordo pflupp
ancora una volta il coperchio,
per motivi di sicurezza interna,
si richiude su di me.
logicamente, il coperchio
che chiude la mia cassa.
non che sia una bara, questo no,
è solo un involucro, una cabina,
insomma una cassa.
sapete esattamente cosa intendo
dicendo cassa,
non fate finta di non capire,
non intendo nient'altro
che una normalissima cassa,
e nemmeno più buia della vostra.
io vorrei dunque uscire, e busso,picchio contro il coperchio,
grido fatemi luce! lotto
per il fiato, logicamente,
e tuono contro lo sportello. bene.
ma per motivi di sicurezza interna è chiusa
questa mia cassa, e non si apre,
la mia scatola ha un coperchio,
ma il coperchio è assai pesante,
per motivi di sicurezza interna,
poiché si tratta insomma
di un contenitore, di un'arca santa,
di una cassaforte. non ce la faccio.
la liberazione non può logicamente
aver luogo se non con l'unione delle forze.ma per motivi di sicurezza interna io sono,
nella mia cassa, solo con me stesso,
nella mia propria cassa.
a ciascuno il suo! per potere, con l'unione delle forze,
sfuggire dalla mia propria cassa
dovrei, logicamente, essere già
dalla cassa medesima
sfuggito, e ciò vale,
logicamente, per tutti gli altri.
mi puntello quindi contro il coperchiocon la mia propria nuca. ecco!
lo spazio d'una fessura! ah! fuori,
stupendo, l'ampio paesaggio,
cosparso di barattoli, di bidoni,
insomma di scatole, e sullo sfondo
il moto fremente dei verdi flutti,
punteggiato di valige naviganti,
sovrastato da altissime nubi,
e ovunque, ovunque l'aria!
fatemi uscire! grido allora
venendo meno, contro ogni buon senso,
con la lingua impastata, coperto di sudore.
fare il segno della croce è impossibile.
fare un cenno senza una mano libera non si può.
stringere il pugno è escluso.
perciò mi preme gridoesprimere il mio rammarico, ahimè!,
il mio proprio rammarico
mentre con un sordo pflupp
ancora una volta il coperchio,
per motivi di sicurezza interna,
si richiude su di me.
(Hans Magnus Enzensberger, da La fine del Titanic)
C. D. Friederich, L'abbazia nel querceto, 1809-1810 |
domenica 6 luglio 2014
novilunio
la maniglia
d'argento satinato
dondolando
senza battacchio
ogni novilunio dondolando
ridesta i sentieri e le edere di porpora stemperata
che spezzano impacciate le schiere solenni allora noi
siamo fuggiti dai festeggiamenti poiché non avevamo sete
mi disse strattonandomi un mendico cieco
il rumore infastidiva i nostri sciocchi pensieri
io e il mio sogno e i nostri teneri crudeli
incubi il mendicante bartolomeo
compagni ci sono notti in cui ritrarsi nelle foreste petrose
ci siamo intrecciati alla riva del fiume scorreva
scorreva nessuno si tuffava i davanzali gremiti
scorreva i tesori lucenti i tesori intatti
beviamo dell'acqua del fiume e scendemmo
scorreva e bevemmo e ci ubriacammo
non è qui la tua casa ma noi
non ne abbiamo non è qui e non conosciamo anima
gli alberi il tonfo e la nudità irreale
immortale senza pantaloni senza camice senza bottoni
il tonfo degli alberi svegliò le divinità delle acque
baciami cielo prima dell'aurora
ma le spade rosse di cento cavalieri su cento cavalli
piombarono alati che chiesero conto di me
che io non so calcolare e sottrarre la foglia d'acero
volteggia come la benedizione di un angelo timido
dondola la maniglia d'argento e non si apre
non tagliate le gole della terra non nutritevi
di sangue spade io le presi come una maniglia
d'argento che non puoi aprire
le mani le dita le vene tra trinciato di granturco
addio tempo di aratri e mietiture
cavalieri corazze senza volto spolverate le armature
ecco il vostro argento e i tesori interrati
non c'è più posto neppure per i morti
l'apocalisse ci assedia a passi brevi
e sfuggenti come un amore tardivo un divorzio
così uno a uno così
il tempo di balie e il tempo di badanti
apro a voi il petto squarciato
annegato sette secoli cieco
calpestato e sbranato si apre
porta arrugginita e non c'è nessuna luce lascio
a voi la giustizia e a me
solo una pace di polvere buia.
baciami cielo prima dell'ultima
aurora della prima
nell'eco lontano di quelle edere d'argento
senza luna
V. Van Gogh, Campi di grano in un paesaggio collinare, 1889 |
lunedì 23 giugno 2014
la pancia di mia madre
la pancia
di mia mamma
il
ciliegio sotto il quale io ti fissavo d’impaccio
era già
autunno e tu piangevi
nella
domenica pomeriggio dalle ombre lunghe
il cielo
muto e rapido d’agosto
la mia
cameretta una pianola nascosta
arancio dietro
la porta
docce i
sabati nella cinerea cantina sotto gli sguardi
robusti
di mio padre
l’odore
delle puglie e di ceci che dormiva nei salotti
dieci
mesi per quella luce che rifiutai
il
terrore di scostare il volto dalle tue gonne, madre
il dolore
di essere nato il dolore
inseguivo
la luna e tra l’asfalto lei era ancora più in là
quello
zio mi chiamò e mi prese in braccio
sulle sue
gambe così salde
poi te ne
andasti obbedendo alla tua vita
la luce
così artificiale dei supermercati
altalene
creavano vento per una serata estiva
un prato
mi
soffocavano le camicie a quadri
la prima
volta che ti guardai ti riconobbi
verde
acqua della fiat 127
noci e
pini cingevano i miei giorni innocenti
le strade
umide riluccicano dei lampioni
ubriachi
fisarmoniche
nostalgia di feste anziane
una
bibita gassata sulla tovaglia bianca e azzurra
il tavolo
nascondeva i segreti che non avevo
ho
desiderato una sorella che non ricevetti che fosse me
così sono
solo
il dolore
di essere nato il dolore
le
piastrelle blu di un asilo che illudeva straripante di giochi
i muscoli
vigorosi e violenti dell’adulto
io non
sarò mai così io resterò me
il
rifugio questo frusciare di fumetti e polvere
tutto il
mondo è mio nemico tutto il mondo è mio
il mare
che mi sommerse
il potere
della sfera perfetta
il soffio
di drago nelle terse mattine di brina
salve
regina mater misericordiae vita dulcedo et
il dolore
di essere nato il dolore
|
la pancia di mia mamma la pancia
di mia madre era già autunno
e tu piangevi tu piangevi sotto
un cielo
muto e rapido
arancio
dietro la porta
la pancia di mia madre la pancia
il ventre le gambe il sangue e
il mio
ombelico per quella luce che
è il dolore di essere nato
il dolore
dolore
il dolore
mentre la luna era esule tra
l’asfalto
poi te ne andasti anche tu
il vento cullava le nostre
altalene
era chiara estate
davanti a quadri di prato poi
la scomodità della mia prima
camicia
a quadri gialli e verdi
di mia madre la pancia
di mia mamma tanti auguri
di buon compleanno quattro
candeline
mamma
il ventre in cui fui creato dall’oblio
così sono solo
il dolore
il dolore
il sogno di altri sogni dispersi
se io non fossi stato me stesso
se non lo fossi
chiuso in cantina
la pancia di mia mamma
di mia madre il ventre
da cui mistero fu creato il
paradosso
il ventre verbum caro factum est
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poiché la nascita è già tragedia: la violenza di essere strappati da un eden di cui non abbiamo più ricordo, se non quella pace totale senza alcun bisogno o preoccupazione, nella pancia della madre.
lunedì 16 giugno 2014
note ad Eurydice
cerco di rispondere a quanti hanno chiesto, domandato, investigato tra i versi recitati. VARIE NOTE, non per essere didascalico, quanto per ribadire a viva forza che
tutto ciò che è assurdo è incomprensibile, ma non tutto ciò che è incomprensibile è assurdo.
INNANZITUTTO, come dichiarato sin dal principio, la poesia non richiede la comprensione, non pretende di essere capita in ogni aspetto; dunque ogni volontà di chiarire tutto mi pare fragilmente puerile, anche perché in sua vece si sacrificano le emozioni, i brividi, quella poesia che non si può spiegare razionalmente. così io non spiego, giustifico, per una volta soltanto.
SULLA POESIA POLIFONICA: leggere contemporaneamente a più voci non deve essere vista come limitazione, perché appunto non bisogna stringere ogni parola, ma distinguere in un chaos la propria luce. è come passare a una tridimensionalità poetica. a quanti, ahimè superficialmente, dicono che non è possibile distinguere le voci faccio presente che nell'orchestra suonano insieme decine di strumenti e il buon ascoltatore ne riesce a distinguere le parti. non limitarsi all'ascolto del singolo ma porre orecchio all'armonia.
struttura: e se, dopo l'introduzione artistica, la voce femminile racconta liricamente la storia d'orfeo ed euridice, le altre due la rivisitano surrealisticamente, con immagini, atmosfere e sensazioni tanto nuove quanto spontanee; in sei scene, ognuna delle quali divisa in una parte narrativa e un canto.
3 intermezzi che spezzino il trasporto emotivo per lasciare spazio allo spettatore/attore di non cadere in un'indigestione di parole. spazio per pensare e ascoltare il proprio pensiero.
nel I intermezzo i bambini concretizzano la necessaria spontaneità poetica, prefigurando inoltre l'età felice e spensierata dell'amore tra i protagonisti della scena seguente, risultando di fatto una sorta di cerniera.
nel II intermezzo uno spettatore sul palco mangia, distratto e indifferente, cosce di pollo bevendo chianti. lo spettatore degli spettatori. "sappiate, voi che guardate con apatia, che anch'io vi scruto con gli stessi sentimenti". in sottofondo uno stralcio appassionato della IV sinfonia di Brahms.
nel III intermezzo entra in scena euridice che passeggia leggera nell'aldilà, persa nelle tenebre. rumori di elicotteri nel quartetto di stockhausen. è lei il demone prefigurato nel canto di prometeo, è lei che sfugge al pensiero dell'uomo condannato e appare salvezza.
la sintesi vocale delimita ogni scena, addirittura all'inizio racconta l'intera trama. perché la sintesi vocale? perché l'emozione non sta nel cosa si dirà, ma nel come. la logica informatica analizza la storia, ma l'uomo la vive.
il fagiano: tanto la poesia potrebbe essere scambiata per semplice parola, quanto il fagiano per gallinaceo qualunque, eppure rimanda a un eden perso, che è dentro noi. il fagiano è la storia stessa, e noi non siamo coloro che tramandano la storia, poiché questa parla di noi. noi siamo solo gli specchi di questi significati eterni e immutabili.
pesci solubili: che non resistono senz'acqua, che si sciolgono nell'acqua; come l'uomo, che deve necessariamente essere immerso nella vita senza che impari mai a starci, qui. di sottofondo la creazione di Genesi 1 ("fiat...fiat...fiat lux et facta est") e il prologo di Giovanni ("et verbum caro factum est...et habitavit in nobis"), che torneranno nel finale. l'incarnazione di Eurydice, fino alla morte e al dolore del canto di Orfeo ("quaggù nei cieli dei cieli / tutti in ginocchio... l'universo è immerso nel nostro sangue"), alla ricerca di un senso, noi come Orfeo.
l'aldilà e il coro dei morti: che in realtà è l'aldiqua, con le sue abitudini scheletriche, l'agonia della coscienza perbenista, la mancanza di vita e di ricerca, il suo fasto vuoto di senso nel tintinnare calice e festeggiare, tra mille sisifo e cento furie. e i morti siamo noi? poiché il mondo è utopia, non è realizzato, non qui; poiché vivere è altrove. ma siamo nella pancia di d-o.
il silenzio davanti alle potenze della morte, del male, del destino, ma anche del bene, silenzio che lascia senza risposte,come giobbe ("dominus de turbine dixit"), come edipo ("un segno strabico al trivio per tebe"), e in risposta al quale Prometeo intona un inno di rabbia e violenza, di titanico sdegno e ribellione. finché passa la bellezza di Eurydice, la silenziosa, che quasi si sacrifica nell'ade: non torna alla luce.
e a terra lasciai la bicicletta: non c'è bambino che non provi e riprovi a salire su una bicicletta, cadesse pure mille volte, ma con l'età qualcosa cambia e si abbandonano biciclette mai inforcate, aumentano rimpianti e a volte, quando ci sentiamo diversi da quell'io che fummo, sembrano crollare anche i sogni. la perse? la violenza dei barbari vinse sui greci, ma i greci rimasero immortali per il coraggio e l'arte. la perse? la ritrovò eterna nel canto e nell'amore che rende perpetuo il sogno. non è più l'era dei cavalieri erranti, nostalgici e maledetti, poiché abbiamo scoperto di poter ambire a piramidi, di poter credere al nostro sogno d'infanzia.
"spero di poter perdere ogni paura / del paradiso / completamente - quaggiù nei cieli dei cieli - nella pancia di d-o".
nella pancia di d-o, quaggiù nei cieli dei cieli: nella cosmologia ebraica d-o divise le acque del mare (maim) dalle acque di sopra, i cieli (shamaim), e al centro aveva posto l'uomo, come se fosse nella pancia di una madre, d-o stesso (cfr. salmo 130: "io sono tranquillo e sereno come un bimbo svezzato nelle braccia di sua madre, come un bimbo svezzato è l'anima mia") , mentre i cieli stellati si specchiassero continuamente nel mare. noi nel grembo di un d-o, e in questo bisogna credere: che una felicità di pace sia possibile, senza paure, qui e ora con un sorriso. l'uomo è la sua armonia.
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