giovedì 29 novembre 2012

la morte di pompeo (lucano, farsalia VIII vv. 612-636)


R. Magritte, L'impero della luce
pompeo non disponeva più di se stesso: gli atroci
sicari del re si apprestano a brandire il ferro. appena
vide la spada su di sé, si coprì il volto e il capo,
sdegnando di offrirlo scoperto al Fato, chiuse gli occhi
e trattenne il respiro per timore di emettere grida
o macchiare con un solo lamento l'eterna fama.
e quando il sinistro Achilla gli trapassò il fianco,
assecondò ancora il colpo senza emettere un gemito;
spregiò il crimine, conservò il corpo immobile
e morendo provò chi fosse e volse in cuore
tali parole: "i secoli che mai taceranno i travagli
romani mi osservano, il futuro contempla da tutte le parti
del mondo la lealtà e la nave di Faro: ora pensa
alla gloria. hai trascorso una lunga vita tra prosperi eventi;
i popoli non sanno, a meno che non lo si provi nel morire,
che sai sopportare le avversità. non cedere all'onta,
non dolerti dell'esecutore del destino: qualunque mano
ti colpisce, è la mano di cesare. mi lacerino le membra,
le disperdano, tuttavia sono felice, o dèi celesti,
e nessuno di voi potrà privarmi di questo. muta
la fortuna nella vita, ma non si diviene sfortunati con la morte.
cornelia e il mio pompeo assistono all'assassinio: con tanta più forza,
dolore, ti prego, soffoca i gemiti" così controllò i pensieri
il grande, così padroneggiò l'animo morente.





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