lunedì 18 giugno 2018

Tristan Tzara, L'Uomo Approssimativo, II



Siamo al secondo capitolo, in cui emerge sempre di più un prisma frammentato in miriadi di immagini, di illuminazioni, di ferite dal quale emerge la figura dell’uomo contemporaneo, fragile e titanico, sognatore e becero furfante, che vive nella notte e splende; un uomo forse senza Io e senza Dio, ma che piange perennemente dentro sé, per questo Io e per questo Dio, un uomo che è "approssimato" e che al contempo si "approssima"

A. Rodin, Andrieu d'Andres, da "I borghesi di Calais", 1886

II

la terra mi tiene stretto nel suo pugno di burrascosa angoscia
che nessuno si muova! si sente l’ora aprirsi il volo di mosca
e raggiungere la giornata alla ricerca di una fine
stringiamo tra le mascelle i minuti che ci separano

*

in alto le mani! per accogliere l’angelo che sta per precipitare
sfogliarsi in neve di lucciole sulle vostre teste
cielo indebolito dal vento che ha tanto soffiato
pagheremo di sofferenze i nostri debiti senza numero

*

la stazione s’infoltisce di giochi di fischi
così tante libertà nuotano nell’amara densità
che lo scampanellio guida il flusso roditore
assieme alle nere e fetide indignazioni interiora spumose della terra
dalle superfici vellutate verso le quali obiettivi ubriachi di speranze
che si comprano al prezzo di lente sementi
ornati degli attributi delle corporazioni di mestieri
che si bevono agli abbeveratoi con delle sbuffanti narici di cavallo
che si cacciano in cerchi nei maneggi paesani
che si fumano la pipa vecchia d’aquile
che si sorvegliano pastori dei tetti che fumano la sera
intravisti nei ghiacci presagiti dal cuore di pietre
nel fondo di miniere di petrolio su delle brande di pesanti fanghi
nei granai dove la vita si misura con il grano
schiume chiare guanciali delle acque assise al sole

 *

uomo approssimativo come me come te lettore e come tutti gli altri
ammasso di carni chiassose e di eco di coscienza
completo nel solo boccone di volontà il tuo nome
trasportabile e assimilabile cortese per mezzo delle docili inflessioni femminili
diverso incompreso a seconda della voluttà dei correnti investigatori
uomo approssimativo che ti muovi negli all’incirca del destino
con un cuore come valigia e un valzer al posto della testa
foschia sul freddo ghiaccio tu t’impedisci a te stesso di vederti
grande e insignificante fra i gioielli di ghiaccio del paesaggio
tuttavia gli uomini cantano in cerchio sotto i ponti
dal freddo la bocca blu contratta più lontano che il nulla
uomo approssimativo o magnifico o miserabile
nella nebbia delle caste età
abitazione a buon mercato gli occhi ambasciatori di fuoco
che ognuno interroga e accudisce nella pelliccia di carezze delle sue idee
occhi che ringiovaniscono le violenze degli dèi docili
volteggiando verso le esplosioni delle primavere dentarie della risata
uomo approssimativo come me come te lettore
tu tieni tra le tue mani come per gettare una palla
cifra luminosa la tua testa piena di poesia

*

porta chiusa per sempre della notte il frutto dalle belle gambe
lunga croce così solenne sull’alito della rugiada
ai confini della sera spogliata camicia del giorno
mentre la galleria allunga la fisarmonica dei suoi fianchi
scivola sulla corda del binario lungo arco del convoglio di metrò
e dall’altra parte in mancanza di sole c’è forse la morte
che ti aspetta nel rumore di un scintillante vortice dalle mille braccia esplosive
tese verso te uomo fiore che passa dalle mani della commessa a quelle dell’amante e dell’amata
che passa dalla mano di un avvenimento all’altro senza volontà triste pappagallo
le porte sbattono dei denti e tutto è fatto nell’impazienza di farti uscire al più presto
uomo amabile mercanzia dagli occhi aperti ma ermeticamente bendati
tosse di cascata ritmo pianificato in meridiani e monconi
mappamondo imbrattato di fango di lebbra e di sangue
l’inverno salito sul suo piedistallo di notte povera notte fragile sterile
tira il panneggio di nuvola sul freddo serraglio
e tiene tra le sue mani come per gettare una palla
cifra luminosa la tua testa piena di poesia

*

gesto tondo delle mani che offre all’aria l’immagine
vigile usignolo che chiude il circuito del tuo appagamento
dal bagliore appuntito delle piante tu t’inganni te stesso
il più segreto di tutti sei tu il più lontano
tu ti issi fino ai perfetti accordi sui pennoni astronomici
ti ingozzi di portamenti incestuosi sulle vie dei calvari
la tua gelosia zampilla dall’angusto simulacro
che stringe il tempo nella sacca della tua vita
tu non concepisci la vita che in esempi sperimentati
mentre invecchi senza sapere perché s’arrugginiscano le cerniere della tua testa
si allarghino le tue articolazioni si inzuppi come la foglia sotto la pioggia l’orgoglio
avaro tu serri così forte la porta che le tue unghie entrano nella carne
la tetra gola dove si impilano le nuvole
dove l’orgoglio inappagato non sa più rinfrescarsi
tende già verso i prati della morte in olocausto il suo delirio a perdita di vista
e l’acqua è sempre fresca al crocevia dei tuoi amori

*

le linee delle tue mani callose che alla tua nascita un angelo tracciò
sul suo sentiero il tuo sentiero dotato di tutti i successi terrestri
la foschia della tua falsa vita li cancellò e tu insudici ciò che tocchi
ti sprofondi nell’affanno e nell’oro delle menzogne incandescenti
della vita non resta che la pena d’una evasione mancata
e tuttavia la notte disfa nel suo grembo i nodi delle campanelle le stelle
l’ossatura cadenzata delle musicali cataste gettate alla rinfusa
eppure gli uomini si stringono in cerchio sotto i ponti
e negli album di fotografie sfogliano le sere di calore mediocre
tra tanti amari germogli che il ricordo fece albeggiare tutto attorno alla tovaglia pesante
difendi a morsi il tuo appezzamento di mondo per addormentarti da un sabato all’altro
anonimo e beffato nella secolare alimentazione della tua genia
eppure gli uomini cantano in cerchio sotto i ponti
e strappano il nido delle meningi lo raschiano
per scoprire nascosta nel fondo la fresca arancia del loro cervello

*

dai furori di neve che l’ora faccia la sua eruzione di rimorso e di tortura
che il sangue zampilli in te dalla bocca più nuova l’astronomia
e si sparga in ogni cellula di prigioni anatomiche
che i minuti formicolando nel sacco dei polmoni li inseminino vicino
ai rifugi di vegliardi le terrazze a più file da biliardo
che il crimine infine fiorisca giovane e fresco in pesanti ghirlande lungo le case
ingrassi di sangue le avventure novelle le messi delle future generazioni
le aquile che si dissolvono come lo zucchero nella bocca degli anni
che dissolvono lo zucchero delle giornate passate nella coppa dell’oceano
che volano da un fiore all’altro con dei petali di pelle sulle ali
insetti o microbi che caricano di sofferenza i letti le stagioni
gli acidi sonni che trascinano come delle bestie di pena le nostre carcasse
e noi che spariamo verso quelli impiccati nel sogno che spariamo alla gru del porto celeste
lei dolce di sole putrefazione senza corvi né larve nel biancore invincibile immacolato



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