"che senso ha parlare di poesia, quando fuori accade quello che
accade: la propaganda, i censimenti, la violenza?" sta pensando qualcuno.
ma quante volte Babele è crollata, Roma è bruciata e il il "crociato"
è stato sconfitto? e il "barbaro" non è nemmeno mai esistito.
io parlo di poesia perché come è possibile comprendere la complessità della
realtà senza comprendere la complessità dell'interiorità umana?
io parlo di poesia perché un uomo che amerà una sola poesia, un solo verso non
potrà non dico odiare, ma semplicemente essere indifferente di fronte agli
occhi di un altro essere umano, un essere umano diverso, un essere umano come
lui. la battaglia con l'odio si può combattere solo con l'amore, l'impegno e la
conoscenza.
io parlo di poesia poiché, dentro, ci siamo tutti noi e pure questa giornata di
sole del 24 giugno 2018, "e tanto d'altro, e tanto d'altri".
scommettiamo?
"io mi svuoto davanti a voi come una tasca capovolta"
T. Tzara, appunto.
Gustav Klimt, Ritratto di Johanna Staude, 1917, Museo del Belvedere, Vienna |
IV
filtra il fiore setaccio di
radura
la fragola ruota il suo
occhio grasso all’interno imbottito di labbra
e l’indice del pistillo
tocca l’incredula piaga del cielo
saccheggiato dagli attacchi
notturni delle lontre
disteso accanto a noi dove
gli incerti equilibristi si lasciano cascare nella rete
al salice sono appese le
bardature della tristezza
che le lunghe giornate
d’autunno hanno unto con carezze di amaca
*
il bucato dalle bianche
fiamme ride nella sua lingua d’alcool
e l’insetto carrozzina
piega bagagli e competenze
se ne va sulla strada
imberbe dove la parola ricama il sughero
e l’albero succhia la
resina dalle ciotole dei cuori torridi
*
un colpo di cannone
raggrinzisce i globuli rossi sotto la tenda
dove gli assonnati missili
vivono in colonie d’elettricità
e raccoglie nel suo
grembiule di raggi le bucce dell’orizzonte nella sera
l’informe demiurgo vede in
ogni albero un vivo benvenuto
sulla strada imberbe dove
la parola ricama l’altezza
la foresta affannata è
salita sino alla cima della concezione matematica
e senza nuvole il suo petto
volteggia attorno a dei cuculi trasformati in minuti
ma la freschezza
crepuscolare dello spirito placherà presto la nostra fame di mondi
e appannerà i brandelli di
vita che deponiamo di scalino in scalino
nella vuota vertigine che
la morte lascia sfuggire dalla sua orbita
dalla bisaccia così miserabilmente
carica delle scorie sonanti d’ineffabili castighi
di scontri e di fatiche
incalcolabili per non arrivare a nulla
tormentati come lo siamo
noi dalle microbiche previsioni dei pensieri
poveri esseri che non
possono distogliere lo sguardo dal calcagno della morte
quando l’informe demiurgo
vede in ogni albero un alibi vivente
l’autunno trascina su delle
stampelle il vento balbettante
e le pinne dei cespugli non
piangono più sotto il mantello
dormi dormi
l’alfa si chiude sulla tua
palpebra
il chicco delle montagne
l’acqua ti osserva
carovana d’acqua
chicco di sguardo
aggrotta le foglie
sopraccigli delle montagne
sotto le dita dell’acqua cullate
le campane si chinano
il ventaglio della galleria
si apre sul seno della sera
i sogni hanno suonato tutte
le vacanze
*
moncherino barbuto d’albero
il pugno alzato al combattimento delle secchezze
tuono valvola delle valli
dolenti
che canta monotonia dai
chioschi schierati come tazzine di caffé
e fili soprannaturali che
legano le strade sanitarie
appese ai bastioni dai
colli robusti
cerchi volteggianti attorno
alla morte di fosforo
l’erpice delle smorfie
marce ha aggirato l’irreale dai denti belligeranti
ma tu incurante di ciò che
non ha né peso né presagio
bagliore sostanziale
che a mala pena sorride a
caso dei muscoli gli occhi e il vento
così le lingue di neve
leccando i sali profondi dei precipizi che brulicano di sfere
dormi dormi
il pioppo sta volandosene
via
il biancospino sta
cavalcando il relitto di nuvola
morso è il fianco della
bilancia
dove il paesaggio pesa sul
suo dorso d’asino il dolore da
distribuire ai montanari
dei fiori più piccoli che
dei chicchi di polvere
ti porteranno su un
alfabeto di armoniche
e sui tetti che arrotolano
delle farfalle
schiena trasparenza fissata
di brina
per l’abbondanza di notte
e chiaro canestro del lago
sono i nuovi violini che
germogliano sui violinisti
sono i nuovi bambini che
escono dai violini volanti
dormi dormi
la pioggia é fuggita
canoista di bianco
*
sparsi sui mazzi di chiavi
delle fonti sotto i tappeti calcarei
le nere bende di proverbi
predatori vegetano sempre nei dintorni del sonno
e le lische di cristallo
cantano sull’organo l’impalcatura dorsale del carico che rimugina le sue forze
alla frontiera dell’odore
di asfalto si muovono le pesanti tribù di mobili carnosi
ma quando l’orgoglio del
petalo fiorisce ritornano foreste di caprioli per morire
e i geyser del flauto e della coscienza
arruffati sul fronte dei mucchi
ammuffiscono sotto gli
ombrelli di paglia dovunque l’equatore riponga i suoi nidi
davanti al focolare dove il
silenzio si mescola all’henné stellare
e la scorza colori
ingannevoli si stacca
i frutti abbronzati si
spogliano delle boscaglie addolorate di anziane ragazze
che i racconti alisei hanno
battuto sul parapetto dei ponti
nella grotta la musica di
gesso s’illumina
l’abete veglierà sui
montoni d’ombra che s’infrangono delle lampade di acetilene
la fiera dalle conchiglie
in sordina
tinta nel corno di mica
è il corteo dei viaggi che
si scuote
il colchico delle mani
giunte s’inabissa
crisalide di rondine
dorso della biancore proibito
ai lupi
*
e la mitologia diffusa dei
nostri selvaggi fuscelli di sapere
ruota la mola increstata
del pianeta
una lunga dipartita di
canto d’usignolo senza lacuna
e l’ambra senza lacuna del
tuo tormento maestoso
così si uniscono alle
metalliche verità i giorni di festa che siamo
che vogliamo essere
radunati nella stessa
treccia di fluide colline
sgranano i cuori lungo dei
nodi quando il palombaro scende nel fondo dei pianti
sempre accanto a noi
l’odore di catastrofe che sparge la luna
dormi sotto l’ascella
dell’acqua
vaga sola
stringe forte il fiore
attardato
al petto dove si accampa la
solitudine dei marinai
la notte ha messo le
ginestre in prigione
l’uomo si disfa dei suoi
arnesi
i succhiacapre
addomesticano il chiasso angusto
e le corone di ferraglie imbianchite fino alle ossa
sono sospese in alto dalla collera che viene dai fiordi
pronte a cadere nel
bollente eccesso le loro mammelle dentellate d’ardesia
s’ingranano con delle cure
di neonati nella catena del sole che sorge
la minaccia dei rapimenti
crudeli spezza i contatti dei nervi
sbarra la strada dello
spavento dalle manne soporifere che colmano tutte le brecce del sentimento
e il chiassoso niente
incrocia le sue braccia sopra il baratro stregato dove la pace fuma il suo
dolore
nei giacimenti nel cuore
delle vegetazioni che si dimenano
le palpebre si ubriacano
nell’allegoria dei drappi
io getto l’ancora del sonno
disordinato nell’ansa chr così familiarmente vagisce d’incanti
e i lamenti di notte
spaccature nell’alambicco delle menzogne
mendicano all’equipaggio
folle la tregua del rimpianto errante
*
schiava è la ragione di una
favola di discordia
così il coleottero che
porta in sé il suo sconvolgimento fuggitivo
rintanata nell’elogio del
suo rimedio occulto
sottomessa ai riti colossali
delle vane passioni
e l’antro dove l’ingiuria
sgozza il daino dell’alto giuramento
dove alloggiano i crateri
degli inferni dove passeggiano i pettegolezzi dei pipistrelli
i piloti della disputa
scartano l’incantevole espressione della regola del giusto
crolla sotto il peso dei
ceppi in fiamme e dei malinconici schiavi delle furie
e attraverso la delirante
distanza dell’acquavite e dei rottami d’orgoglio
L’esempio di vendetta
misura il riscatto astuto
*
custode delle immateriali
baracche del riposo
bottiglia sull’onda incinta
di mostruose immortalità
tu porti rinchiusa nel
segreto delle tue viscere la chiave delle immense coincidenze
tu non lasci penetrare
alcuna bramosia dalle scrostature irrequiete della tribù dei frutti
ma l’eterna agitazione ci è
luce comune
e di generazione in
generazione ci incatena ai suoi sogni costellati di spighe
pace sul di fuori di questo
mondo capovolto nella mola delle unanimi approssimazioni
e su tanto altro e su tanto
d’altri
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