io mi svuoto davanti a voi una tasca capovolta
è l'uomo che si ammira nel suo vuoto e riconosce di essere divenuto nel
mondo contemporaneo ormai solo oggetto.
l'amore è una etichetta da supermercato, il pianto e le emozioni eccezioni
mal tollerate, la giovinezza una stanchezza che non conosce più fioriture e
anche la morte, la grande paura della morte, solo un pensiero davanti cui
fuggire.
l'uomo vede tutto eppure non riesce più ad agire, neppure a muoversi
disperatamente, poiché la complessità del mondo lo stringe, lo serra, gli
afferra anche il respiro. quando è successo? quando abbiamo scambiato la vita
per un cappotto, un'auto, una camicia, una serata elegante? quando abbiamo
barattato il nostro vivere?
mendicando della luce così tutto il mondo mangia per soffrire la fame
e nelle miniere non si vuole neppure pensare che ci sia il giorno e le
sirene
sono versi interminabili, poiché il loro suono scaturisce, si rinnova e
s'infrange senza fine, generando una nuova ineffabilità. il
poeta infatti non può dire e raccontare, ma non perché non abbia parole,
tutt'altro: non riesce a cantare TUTTO e la sua complessità. la
clausola con cui si interrompe diviene la stessa:
e tanto altro e tanto d’altri
Raffaello Sanzio, Ritratto di Baldassarre Castiglione, Musée Louvre, Paris, 1515 |
III
che ci lega ai grembi delle
nostre madri
a quelli ai quali
provvisoriamente doneremo l’amara vita
noi che ci incamminiamo nei
dintorni di fascini fioriti
senza poter rompere il
nocciolo
*
e mentre il vuoto
scampanellio riempe i nostri orizzonti d’allerta
tu lecchi la carne del
frutto e all’interno c’é il mistero
tu culli il ritmo dei
minuti per far passare il tempo del mistero
passare il tempo e che la
morte ti sorprenda senza troppo imbarazzo senza occhi troppo aperti
colmare d’orrore ogni
minuto senza interruzione senza fretta
bevo l’acre terrore di ciò
che non comprenderò mai
felicita’ in dei chicchi di
giglio io ti ho sepolto serenamente
*
io mi svuoto davanti a voi una
tasca capovolta
io mi abbandono alla mia
tristezza il desiderio di decifrare i misteri
io vivo con loro mi sistemo
alla loro serratura
strumento arrugginito
melliflua voce dei fenomeni dalla sorpresa costante
allettanti misteri firme di
morte la morte tra noi
nei negozi dai sorrisi rosolati
col tempo
nelle sale da concerto il
cipresso s’accresce osserva
adolescenza affilata ciò
che nessuno ha potuto dirti né mostrarti
dove delle genti che
nascondono delle preoccupazioni domestiche
camminano dalle dita grasse
tra la flora di etichette
attorno a degli amori dalle
misere incoerenze che fingono le rivolte
dal parrucchiere lasci il
coro la tua testa inerte e la neve
che sbuca dal quotidiano
sudario fa attenzione che le mani del cervello
non sfiorino la massa
gelatinosa dell’incubo
negli stadi dove da rozze
attenzioni conducono il diluvio allo schianto d’apostolo
presso i giardinieri dove
tra il letame e le macerie
è plasmato di fiori
l’illeggibile sole
sorto dai plessi sepolcrali
con le stagioni e le loro ampie audacie
*
tu entri tu guardi tu ti
tocchi le tasche
delle tempeste castigate
dalle monete scolorite
che i ruscelli auriferi
hanno guadagnato in vista della tortura del tempo corrugato
anche tu esci povero
barcollando dalle tue ossa negli abiti della loro carne
corrugato fino al fondo dell’anima
stanca del via vai del mondo
corrugato fino al fondo
dell’anima stanca
ma il giorno ricomincia
colore di fertili logaritmi
drizzato nell’eleganza dei
tuoi occhi allunghi i marciapiedi delle strade
il tuo orgoglio trova
rifugio nell’enfatica indolenza
tu sai che vai a
disperderti alla fine della vita ma ti nascondi ed entri
fiore nodo di nastri dalla
pelle umana
e se poche cose mi hanno
emozionato fratelli miei e mi fanno piangere
nelle stazioni – ma mai
potrei parlare a sufficienza delle stazioni
hanno visto il giorno gli
spezzettati incanti i saluti troppo brevi
negli alberghi dall’angusto
imbarazzo calcolato
dove anche l’amore non é
che una necessità dall’etichetta polverosa
ho sfiancato la mia
giovinezza che non sa più risvegliarsi
mentre il cammino della
vita del di fuori si organizza con degli alberi del sonno dei treni
dei giardini delle donne
dalle belle scapole che riposano nelle loro nostalgie di ninfe
mendicando della luce così
tutto il mondo mangia per soffrire la fame
e nelle miniere non si
vuole neppure pensare che ci sia il giorno e le sirene
la sola parola é
sufficiente per vedere
negli ospedali ci sono dei
numeri che bastano
a stendere su un letto la
bianca speranza di una morte imminente
nella chiesa di
sant’eustachio ho visto due puttane fare la ronda
mentre delle vecchie donne
alle sette del mattino
con dei cestini sotto il
braccio e dei bambini nelle loro teste
inzuppavano la loro
esperienza e la loro fede ingenua nel vino della legge divina
*
nonostante le offese che il
tempo sdegnoso ci porge
il cattivo tempo vomitato in
abbondanza per il deserto dall’alto delle sue alture notturne
nonostante il grido fitto
della bestia condannata a morte
la breccia aperta al cuore
dell’esercito dei nostri nemici le parole
la glaciale pigrizia del
fato che ci lascia correre alla nostra maniera
i nostri cani noi stessi che
corriamo dietro noi stessi
soli nell’eco dei nostri limpidi
latrati di onde mentali
nonostante l’inesprimibile
pienezza che ci accerchia d’impossibile
io mi svuoto davanti a voi
una tasca capovolta
*
tu sei di fronte a degli
altri un altro da te stesso
sulla scalinata delle onde
confidando di ogni sguardo la trama
spaiate allucinazioni senza
voce che ti rassomigliano
i negozi di cianfrusaglie
che ti rassomigliano
che cristallizzi intorno
alla tua piovosa vocazione – dove scopri frammenti di te stesso
a ogni curva della via ti
cambi in un altro te stesso
nelle case – mascelle
serrate – dove tetre le imposte del cuore sono chiuse
la luce si asciuga su
lenzuoli anemici
nelle pampas un virile
odore d’eroismo
una straziante melodia ti precede
nei rifugi dei forsennati
e l’usura dei nostri
peccati avanza senza satelliti in un universo angusto
uomo dalle vertiginose
capriole nello spazio
ho visto gli animali i
sentimenti umani annodarsi grossolanamente fra loro
i loti vestiti a festa
nelle sale di teatro ci tappezzano
nei conventi si automatizza
il gioco delle impulsi ronzanti
presso i contadini le
trascurate sensualità all’ombra anziana di azioni sprezzanti
negli uffici postali dove
apparenze e paesi si toccano
presso i gioiellieri collaudiamo
in tutto piccoli paesaggi
e nei porti la terra
sfinisce le braccia slanciate
nell’alcool ho trovato il
mio solo oblio la libertà
nelle sale da musica dagli
striduli esempi
di slanci e di giri
pazienti di rischi tesi e di eccessi
nelle sale d’attesa cicale
mie sorelle
nelle osterie dalle vite
impenetrabili le belle gabbie nei boschetti
ma andiamocene da strade e
da moli sugli intonachi cutanee delle cartoline
tante sanguignee attrazioni
ci hanno imparentato alle carnali murature
che i mazzi di mani
affumicate hanno innalzato nelle prigioni
le teste sballottate da una
mano all’altra dal giorno alla notte
incalcolabile fioritura di
odio sui vascelli avvizziti
presso i solitari disincantati
grave frumento
incrociano le braccia le
liane e gli edifici
al di sopra della pace
notturna odore forte pace notturna
e tanto altro e tanto
d’altri
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