sabato 14 giugno 2025

Una Giraffa nell'armadio/8: L. Aragon, "Un'ondata di sogni"

M. Ernst, La nascita di una galassia, 1969


Il 14 ottobre 1924 Breton pubblica per le éditions du Sagittaire il primo "Manifesto del surrealismo", che definisce le regole e i principi del movimento, e a
cui farà seguire altri testi programmatici.

Nel 1924 però viene diffuso un altro manifesto del surrealismo, forse meno conosciuto, ma un'altra pietra miliare che segnerà il cammino del gruppo: "Une vague de rêves", ovvero "Un'ondata di sogni", composto da Louis Aragon (1897-1982), uno dei tre moschettieri del surrealismo.

Composto nell'estate e pubblicato sulla rivista "Commerce" n.2 in ottobre, questo testo risulta molto meno dogmatico e teorico, più narrativo, ma ugualmente appassionato e può essere diviso in cinque semplici sequenze:

1. introduzione, sincera e immaginifica al tempo stesso, in cui si introduce il concetto di surrealtà;

2. storia della nascita del gruppo surrealista, a partire dalla fine dell'esperienza Dada, con gli esperimenti ipnotici di Desnos; in questa parte Aragon giustifica anche le scelte prese dal gruppo e definisce la surrealtà;

3. riconoscimento dei padri, dei "presidenti della repubblica" del sogno, tra i quali cita anche Raymond Roussel, Saint-John Perse, Pablo Picasso, "Georges" de Chirico, Sigmund Freud;

4. vera e propria rassegna dei membri del surrealismo, presentati in maniera personale, intima, onirica;

5. conclusione, ancora più appassionata, in cui si esplicita come questo movimento sia una sfida senza vantaggio, un'impresa paragonabile alla follia di Fetonte, una volontà di aprirsi, oltre il razionale, all'infinito.

Due manifesti che, pur partendo da principi simili, parlando del medesimo oggetto, evidenzia differenze metodologiche e contenutistiche già significative, per questo l'analisi di queste poche pagine può risultare essenziale per la comprensione dell'intero movimento. 

A voi dunque una mia traduzione del testo, per osservare il 1924 surrealista da un altro punto di vista.



LOUIS ARAGON, UN’ONDATA DI SOGNI

Perché ti rattristi, mia Celia? Al posto di un marito spregevole avrai un amante degno di te. Godi della tua fortuna e gustane segretamente le gioie. Vedi su cosa ora puoi regnare, non come regina di un attimo ma come una principessa incoronata. Guarda. Ecco una collana di perle, ciascuna delle quali è più splendente di quella indossata un tempo dalla bella Egizia. Sciogli, bevile. Ecco un rubino che supera gli occhi di san Marco; un diamante che Lollia Paolina avrebbe voluto comprare, quando arrivò, come una stella ricoperta di gioielli, mostrando il bottino delle province conquistate. Prendile, portale, perdile. Ti basteranno questi orecchini per riacquistarle tutte, perché valgono quanto tutto il resto. Una gemma, che rappresenta una ricchezza personale, non ha valore; noi ne spendiamo il prezzo a ogni pasto. Delle teste di pappagallo, delle lingue di usignolo, dei cervelli di pavone e di struzzo saranno il nostro cibo e, se possiamo arrivare a prendere la fenice, la cui specie si è perduta, la affetteremo a tavola

Ben Jonson, Il Volpone


Mi capita di perdere di colpo il filo della mia vita: mi domando, seduto in qualche angolo dell’universo, di fronte a un caffè nero e fumante, davanti a dei pezzi lucidi di metallo, al centro dei viavai di donnoni dolci, mi domando per quale cammino della follia alla fine mi areno sotto quest’arco, che in verità è questo ponte chiamato cielo. A questo momento in cui tutto mi sfugge, in cui delle immense lucertole si fanno largo nel palazzo del mondo, a lui sacrificherei tutta la mia vita, se solo volesse durare per questo risibile prezzo. Allora lo spirito si sbarazza un poco della meccanica umana, allora non sono più la bicicletta dei miei sensi, la mola che affila ricordi e incontri. Allora afferro in me il fortuito, afferro d’un colpo come superare me stesso: il fortuito sono io e, formulata questa tesi, rido al ricordo di tutta l’attività umana. È senza dubbio a questo punto che ci sarebbe della grandezza nel morire, è senza dubbio a questo punto che si uccidono, quelli che un giorno partono con uno sguardo chiaro. Comunque sia è a questo punto che comincia il pensiero, che non è affatto quel gioco di specchi in cui molti eccellono, senza pericolo. Se si è provata questa vertigine, anche una sola volta, sembra poi impossibile accettare ancora le fisse meccaniche in cui si riassume oggi quasi ogni iniziativa dell’uomo. E ogni sua tranquillità. Ci si accorge, in fondo alla congettura che sembrava la più pura, di un assioma mai considerato, che sfuggiva alla critica, che obbediva a qualche altro sistema dimenticato, il cui processo non è più valido, ma che lasciava tuttavia questo solco nello spirito, questa formula mai più dibattuta. Così i filosofi parlano per frasi fatte e così dimostrano. Incatenano le loro immaginazioni a questi anelli estranei, rubati da tombe celebri. Fanno distinzioni di sfaccettature dalla verità, credono in verità parziali.

Ho vissuto nell’ombra di una grande costruzione bianca ornata di bandiere e grida. Non mi era permesso di allontanarmi da questo castello, la Società, e quanti salivano per la scalinata alzavano sul tappeto una terribile nube di polvere. Patria, onore, religione, bontà, era difficile riconoscersi nel mezzo di questi vocaboli senza numero gettati all’impazzata all’eco dei venti. Tuttavia lentamente districavo le loro più solide convinzioni. Si riducono a ben poco. “La tendenza di ogni essere a persistere nel suo essere” è una delle loro formule preferite, anche se l’edonismo è molto screditato ai loro occhi; l’espressione dispregiativa “Macchiato di finalismo” basta loro a condannare qualsiasi cosa; alla fine aprono dei paragrafi della loro vita intellettuale con questa frase tanto gradita: “Evitiamo per un istante il velo delle parole”. Che tali metodi li portino a realizzare delle ipotesi, e delle ipotesi a posteriori, ecco, che non sospettano mai. I loro spiriti sono dei mostri ibridi, figli del singolare amore di ostrica e poiana. Ma i gobbi del pensiero non temono affatto che i passanti abbiano appena sfiorato per superstizione la loro malformazione portafortuna. Loro sono i re del mondo e i carcerieri di questa prigione da cui sento le loro canzoni gioviali e il rumore delle chiavi in movimento.

Talvolta, se qualche visitatore si preoccupava temporaneamente di ciò che mi occupava nella reclusione dove, si diceva senza ironia, mi isolavo, se qualcuno che non ne sapeva troppo se dovesse dubitare di me o di se stesso, in un istante arrivava alla stravaganza della mia esistenza, alle mie risposte saliva presto nei suoi occhi il riflesso del fantoccio dell’incredulità. Come avrebbe ammesso che io non cerco mica la felicità? Che non c’è alcun pensiero se non nelle parole? E tuttavia talvolta questo visitatore, portato da una moda e dalla convinzione nella forza di una dottrina, si appellava all’idealismo. Allora cominciavo a capire che avevo davanti a me un altro imbarazzante realista, come lo sono oggi gli uomini di buona volontà, che vivono in un compromesso tra Kant e Comte, che hanno creduto di fare un grande passo rifiutando la volgare idea della realtà per preferirle la realtà in sé, il noumeno, questo scadente gesso smascherato. A questi qui nulla farà capire la vera natura del reale, che non è che un rapporto come un altro, che l’essenza delle cose non è affatto legata alla loro realtà, che ci sono altri rapporti col reale, differenti, che lo spirito può cogliere e che sono altrettanto principali, come il caso, l’illusione, il fantastico, il sogno. Queste diverse specie sono riunite e conciliate in un genere che è la surrealtà.


Per quale via appare un concetto, attraverso quale svolta, è davvero un argomento oggetto di gran meraviglia. Era necessario affinché l’idea della surrealtà facesse affiorare la coscienza umana da straordinarie scuole e gli avvenimenti dai secoli ammucchiati. E poi dove le piace emergere? È al centro di considerazioni davvero particolari, nel corso della risoluzione di un problema poetico, al momento è vero dove la trama morale di questo problema si lascia scorgere, che André Breton nel 1919 applicandosi a carpire il meccanismo del sogno ritrova alla soglia del sonno la soglia e la natura dell’ispirazione. Nell’approccio, questa scoperta, che già solo in ciò è grande, non è nient’altro per lui, né per Philippe Soupault che si dedica con lui alle prime esperienze surrealiste. Ciò che li colpisce è un potere che non conoscevano, una fluidità incomparabile, una liberazione dello spirito, una produzione di immagini senza precedenti e il tono soprannaturale dei loro scritti. Riconoscono in tutto quel che nasce in loro, così senza provare che ne siano responsabili, tutto il sublime di alcuni libri, di alcune parole che li emozionano ancora. Percepiscono all’istante una grande unità poetica che va dalle profezie di tutte le popolazioni alle Illuminazioni e ai Canti di Maldoror. Tra le righe, leggono le confessioni incomplete di quanti un giorno hanno tenuto in pugno il Sistema: alla luce della loro scoperta la Stagione all’inferno perde i suoi enigmi, la Bibbia e qualche altra confessione dell’uomo, sotto le loro  diavolo d’immagini. Ma siamo alla veglia di Dada, la morale che si  sottrae per loro da questa esplorazione, è il bluff del genio; allora ciò che si impadronirà di loro è l’indignazione di fronte a questo trucco, questa truffa che propone i risultati letterari di un metodo e camuffa questo metodo, e camuffa che questo metodo è alla portata di tutti. Se i primi sperimentatori del surrealismo, il cui numero inizialmente è ristretto, si lasciano andare a loro volta a questo esercizio letterario, è perché si sentono capaci di scoprire un giorno le carte e perché per primi provano questo grande fascino venuto dalle profondità. E inizialmente operano in tutta tranquillità, dato che il mondo ride forte delle loro canzoni.

Ciò che tutto d’un tratto farà immaginare loro l’abisso al bordo del quale si sono accampati, ciò che aprirà loro gli occhi su questo campo di comete che per caso hanno arato, è l’effetto imprevisto del surrealismo sulla loro vita. Ci si sono gettati come in un mare e come un mare fallace ecco che il surrealismo minaccia di trascinarli verso il largo dove incrociare gli squali della follia. Ho pensato spesso a quest’uomo che ha assemblato per primo delle piccole placche sensibili, tizzoni di carbone e fili di rame, credendo di arrivare a registrare le vibrazioni della voce, e che, montato il macchinario, ha ascoltato senza difetto il suono della voce umana.

Allo stesso modo i primi surrealisti, quando sono arrivati a una fatica estrema per l’abuso di quel che sembrava loro ancora un semplice gioco, hanno visto ergersi i prodigi, le grandi allucinazioni che accompagnano l’ebbrezza delle religioni e delle sostanze stupefacenti. Era al tempo in cui, riunendoci la sera come dei cacciatori, facevamo la tabella della nostra giornata, il conto delle bestie che avevamo inventato, delle piante fantastiche, delle immagini rappresentate. Il bottino della nostra un’accelerazione, passavamo un numero crescente di ore in questo esercizio che ci consegnava delle regioni sconosciute di noi stessi. Ci piaceva osservare l’andamento dei nostri sforzi, lo smarrimento che li seguiva. Poi sono apparsi i prodigi. Inizialmente ciascuno di noi credeva di essere l’oggetto di un disturbo particolare, lottava contro questo disturbo. Presto invece si è rivelata la sua natura. Tutto avveniva come se lo spirito, arrivato a questa svolta dell’incosciente, avesse perso il potere di riconoscere dove si riversasse. In esso permanevano delle immagini che prendevano corpo, divenivano materia reale. Queste si esprimevano secondo questo rapporto, in una forma sensibile. Queste rivestivano anche i caratteri di allucinazioni visive, uditive, tattili. Sentivamo tutta la potenza di queste immagini. Avevamo perduto il potere di maneggiarle. Eravamo divenuti di loro dominio, eravamo noi la loro cavalcatura. In un letto, al momento di dormire, per la strada con gli occhi spalancati, con ogni strumento di terrore, davamo la mano a dei fantasmi. Il riposo, l’astensione dal surrealismo hanno fatto sparire questi fenomeni, ci hanno permesso di comprendere quale legame li collegasse ai fenomeni più vicini che seguono la somministrazione di un agente chimico, e il timore che ha fatto dapprima sospendere delle investigazioni che col tempo  hanno ripreso tutti i loro diritti sulle nostre curiosità. L’identità dei disturbi provocati dal surrealismo, dalla fatica fisica, dagli stupefacenti, la loro somiglianza con il sogno, le visioni mistiche, la semiologia delle malattie mentali ci hanno condotto a un’ipotesi, l’unica che potesse rispondere a quest’insieme di fatti e ricollegarli: l’esistenza di una materia mentale, che la somiglianza delle allucinazioni e delle sensazioni ci spingeva a considerare differente dal pensiero, una materia mentale di cui il pensiero stesso non poteva essere, neppure nelle sue modalità sensibili, che un caso particolare. Questa materia mentale noi la sperimentavamo mediante il suo potere concreto, mediante il suo potere di concrezione. La vedevamo passare da uno stato a un altro ed è per queste trasmutazioni che ce ne rivelano l’esistenza che allo stesso modo eravamo informati sulla sua natura. Vedevamo, per esempio, un’immagine scritta che si presentava innanzitutto  con il carattere del fortuito, dell’arbitrario, raggiungere i nostri sensi, spogliarsi dell’aspetto verbale, per rivestire le modalità fenomeniche che avevamo sempre creduto impossibili da provocare, solide, al di là della nostra fantasia. Nulla ci assicurava più che tutto quel che si produceva nel campo della nostra coscienza e del nostro corpo non fosse sorto per l’effetto di questa attività paradossale a cui avevamo d’improvviso preso parte. Così, immaginando la reciprocità della nostra esperienza, ogni sensazione, ogni pensiero per farne un’indagine noi li riducevamo a una parola. Il nominalismo assoluto trovava nel surrealismo una dimostrazione eclatante e alla fine ci appariva che questa materia mentale di cui parlavo era il vocabolario stesso: non esiste del pensiero fuori dalle parole, tutto il surrealismo conferma questa tesi, che, nonostante non sia nuova, oggi incontra più incredulità rispetto alle generiche opinioni smentite continuamente dai fatti dei realisti e spazzate via una bella sera di pioggia al Pantheon.

Si vede allora quel che è il surreale. Ma non è possibile coglierne la nozione se non per estensione, al massimo è una nozione che fugge come l’orizzonte davanti al viandante, dato che come l’orizzonte essa è un rapporto tra lo spirito e ciò che non attende mai. Quando lo spirito ha esaminato il resoconto del reale in cui ingloba indistintamente quel che è, gli oppone spontaneamente il resoconto dell’irreale. Ed è solo quando lo spirito ha superato questi due concetti che può immaginare un resoconto più generale, in cui questi due sono vicini, che è il surreale. La surrealtà, connessione nel quale lo spirito ingloba le nozioni, è l’orizzonte comune delle religioni, delle magie, della poesia, del sogno, della follia, delle ebbrezze e della vita creativa, questo caprifoglio tremolante che pensate basti per popolarci il cielo.

Un niente dissipa le nuvole e lo stesso vento poi le raduna. Anche un’idea ha le sue frange d’oro. Il sole gioca un poco con i fantasmi. Dei bravi ballerini senza scarpini e ciò che fa il prezzo dei loro passi è questa catena spezzata alle loro caviglie. Oh fantasmi dagli occhi cangianti, bambini dell’ombra, attendetemi, io arrivo e voi già svoltate. Non superate i fiori d’acacia, i picchetti d’onore, la tribuna, io arrivo: e tuttavia voi svoltate in altri vicoli di biancospino con le vostre sciarpe di riflessi e i domino della distrazione perpetua. Come seguire un’idea? I suoi sentieri sono pieni di farandole. Appaiono delle maschere ai balconi. Tutta la vita ci sollecita, quando passiamo, le nostre donne al braccio, e ci offre delle violette: tutti i problemi in mazzetti. Mia cara, ancora una venditrice, e là ancora un bacio. Dada è stato un processo morale e, a sua maniera, un fantasma. Abbiamo vissuto questa esistenza infestata, che non permetteva neppure l’applicazione dello spirito ai concetti. In fondo ai nostri propositi regnava una vaga opinione sentimentale del surreale, una specie di gusto premonitore dell’abisso, allora anonimo, senza volto. Un bel giorno lo spettro si lacerò con le sue mani d’ossa, per il senso dell’altezza. Un lungo periodo di stupore ha seguito questa ripartizione delle nubi.

Il numero dei surrealisti era accresciuto. Gente giovane che andava alla sbronza, alla confusione di se stessa, allo scacco, senza guardare indietro, dove luccicava sempre l’incendio delle manifestazioni e delle grida, che tuttavia ha sempre un grande fascino. Quando inizialmente si dedicavano a un vizio, ci si precipitavano. Era necessaria una circostanza simile a un anello al dito di una donna incontrata, simile al disegno al muro di una sala d’attesa, affinché l’idea surrealista prendesse una svolta inaspettata. Questa ha avuto luogo al bordo del mare, dove René Crevel ha incontrato una signora che gli ha insegnato a dormire di un particolare sonno ipnotico, simile piuttosto allo stato sonnambolico. Lui teneva allora dei discorsi di straordinaria bellezza. Un’epidemia di sonno si è abbattuta allora sui surrealisti. Un gran numero di loro, seguendo con precisione variabile il protocollo inventato, hanno scoperto una facoltà simile e, verso la fine del 1922 (avete notato come questo periodo dell’anno è propizio ai grandi bagliori?), sono sette o otto che non vivono più che per questi istanti di oblio, in cui, spente le luci, parlano, senza coscienza, come degli annegati all’aria aperta. Questi istanti si fanno sempre più numerosi ogni giorno. Ogni giorno vogliono dormire sempre più. Si ubriacano delle loro parole se le si riporta loro. S’addormentano dappertutto. Ora si tratta davvero di seguire il rito iniziatico. Al café, nel brusio delle voci, a piena luce, i contatti, a Robert Desnos basta chiudere gli occhi e parla e, tra i boccali e i sottobicchieri, tutto l’oceano crolla con i suoi fracassi profetici e i suoi vapori ornati di lunghe oriflamme. Che questi che interrogano questo dormiente straordinario lo orientano appena e subito la profezia, il tono magico, quello della rivelazione come quello della Rivoluzione, il tono del fanatico e dell’apostolo si manifestano. In altre condizioni Desnos, per poco che si dedica a questo delirio, diverrebbe il capo di una religione, il fondatore di una città, il tribuno di un popolo ribelle. Parla, disegna, scrive. Le coincidenze accompagnano ben presto i racconti dei dormienti. Ben presto si vede nascere l’era delle illusioni collettive, e dopo tutto sono queste delle illusioni? Le esperienze ripetute tengono quanti vi si sottomettono in uno stato di irritazione crescente e terribile, di folle irrequietezza. Smagriscono. I loro sonni sono sempre più prolungati. Non vogliono più che li si risvegli. Si addormentano nel guardare un altro dormire e a questo punto dialogano come genti di un mondo cieco e lontano, litigano e talvolta bisogna strappar loro i coltelli dalle mani. Delle vere e proprie devastazioni fisiche, la difficoltà a più riprese di sottrarli da uno stato catalettico dove sembra passare come un soffio della morte, spingeranno presto i soggetti di questa straordinaria esperienza, per la preghiera di coloro che li osservano affacciati al parapetto della veglia, a sospendere questi esercizi, che né le risate né i dubbi hanno potuto disturbare. Allora lo spirito critico riprende i suoi diritti. Ci si domanda se dormissero veramente. Nel cuore di alcuni si trova una negazione di quest’avventura. L’idea della simulazione è rimessa in discussione. Per quanto mi riguarda, non ho mai potuto farmi un’idea chiara di quest’idea. Simulare una cosa è altro rispetto al pensarla? E ciò che è pensato, è. Voi non mi farete cambiare questa posizione. Che mi si spieghi, d’altronde, attraverso la simulazione, il carattere geniale dei sogni parlati che si dispiegavano davanti a me! Il grande impatto di un tale spettacolo richiedeva necessariamente delle spiegazioni deliranti: l’aldilà, la metempsicosi, il meraviglioso. Il prezzo di queste interpretazioni era l’incredulità e la risata. In verità,  queste erano meno false di quanto non si possa credere. Perché senza dubbio, i fenomeni di cui un concorso di coincidenze ci rendeva testimoni appassionati non sono per nulla di natura differente rispetto a tutti i fatti soprannaturali che la modesta ragione umana rigetta con le equazioni troppo difficili nel cestello dell’oblio dell’avvenire. Senza possibilità di dubbio si tratta di una modalità di surrealismo nella quale la fiducia nel sonno svolge in rapporto alla parola lo stesso ruolo della velocità nel surrealismo scritto. Questa fiducia, e innanzitutto la messinscena che l’accompagna, abolisce, come la velocità, il fascio di censure che intralcia lo spirito. La libertà, questa parola magnifica, ecco il punto dove prende per la prima volta un senso: la libertà comincia dove nasce il meraviglioso. A questo punto si può anche immaginare quel che sono i surrealismi collettivi, in che modo il surrealismo spinge un intero popolo a credere a dei miracoli, a delle vittorie militare e ciò che alla fine si è generato alle nozze di Cana e a Valmy. E ai piedi di questo mulino magico è vero, solo questo è vero, che l’acqua contadina è stata trasformata in vino e in sangue mentre le colline cantavano. O dementi increduli, anche voi avete allora abbassato la testa di fronte alle parole armate che alzavano un lungo lembo dell’azzurro.


Un’idea che si è formata non si limita a essere, si riflette: essa esiste. Allo stesso modo il concetto della surrealtà per due anni è tornato in se stesso portando con sé un universo di decisioni. E in questo ripiegamento trova innanzitutto le immagini che hanno condotto alla sua genesi, come un figlio ritrova i suoi genitori nel momento in cui tutto il suo corpo è costituito e mosso nelle sue particelle, pronto a grandi misteri e già tutto dimentico di questi vegliardi. Ritrova al suo punto di partenza il sogno, da dove è uscito. Ma ora il sogno, alla luce del surrealismo, si schiarisce e assume il suo reale significato. Anche André Breton, se appunta in quel periodo i suoi sogni, questi qui per la prima volta da quando il mondo è mondo conservano nella narrazione il carattere di sogno. Avviene che l’uomo che li raccoglie ha assuefatto la sua memoria a rapporti differenti rispetto alle povere realtà di quanti vegliano. Anche Robert Desnos impara a sognare senza dormire. Arriva a raccontare i propri sogni, a volontà. Sogni, sogni, sogni, il terreno dei sogni si allarga a ogni passo. Sogni, sogni, sogni, il sole blu dei sogni alla fine fa arretrare le bestie dagli occhi di acciaio verso le loro tane. Sogni, sogni, sogni sulle labbra dell’amore, sulle cifre della felicità, sui singhiozzi dell’attenzione, sui segnali della speranza, nei cantieri dove un popolo si rassegna accanto ai picconi. Sogni, sogni, sogni, tutto non è che sogno dove il vento vagabonda e i cani che abbaiano escono sulle strade. Oh grande Sogno, al mattino pallido degli edifici, non abbandonare più, attratto dai primi sofismi dell’aurora, questi cornicioni di gesso dove, affacciandoti, mescoli i tuoi tratti puri e labili all’immobilità miracolosa delle Statue! Allontana questi chiarori intollerabili, questi sanguinamenti del cielo che schizzano ormai da troppo tempo sui miei occhi. Una tua pantofola è tra i miei capelli, genio dal viso fumoso, tenebra splendente avvolta nel mio respiro. Impadronisciti del resto della mia vita, impadronisciti di tutte le vite, una  marea che sale alla schiuma di fiori. Dei presagi al di sopra dei giri, delle visioni nel fondo di stagni d’inchiostro, nella polvere del café, delle migrazioni di uccelli sulla lateralità degli indovini, dei cuori consultati da dita insanguinate, dei rumori annunciano - i tempi si dispiegano dai drappeggi - il tuo regno e il tuo ciclone, adorabile sirena, impareggiabile clown delle caverne, oh sogno addossato al corallo, colore delle cadute, odore del vento! 1924: sotto questo numero che richiama un fascino e trascina dietro di sé una vendemmia di pesci-lune, sotto questo numero ornato di catastrofi, strane stelle tra i suoi capelli, il contagio del sogno si spande per i quartieri e le campagne. Grandi esempi si innalzano dai campi puri. Chi è quest’uomo ai bordi dei miti e del mare, tutto nella neve e nel silenzio? Un altro chiuso per tutti vive nella sua roulotte con un esercito di domestici. Un altro, che apriva a malapena gli occhi su questo mondo, è morto davanti alla polizia e a suo padre, mentre la vettura passava sotto i muri di una prigione; e questa donna, questa donna che aveva scritto sul muro di un café: “È meglio pulire i bicchieri che gli spari di pistola” . Un altro, che ha fatto in Cina tutto questo tempo, tra due sogni che hanno il suono del sale? Un altro, un altro: voi avete dipinto la Notte ed era la Notte stessa. E voi il cielo: ed era tutto lo smeraldo del destino. Un altro sogno, ancora un altro sogno: il deserto sopra le città, le tapparelle tutte uguali e i passi ovattati della vita, si potrebbe uccidere per molto meno. È per molto meno che questo qui si uccide: una pipa di un terribile romanticismo, un arredo come li amiamo noi e un bel cronometro d’oro sul tavolo. E quel grande qua non si vergogna delle sue piccole canzoni impossibili? Non ha mai immaginato che una vita alla fine si potesse organizzare. Quale vantaggio ne ha potuto trarre nella sua piccola clinica in scatola quest’altro che ha messo una mano fredda sui sentimenti dell’uomo e sui puri rapporti familiari? Saint-Pol Roux, Raymond Roussel, Philippe Daudet, Germaine Berton, Saint-John Perse, Pablo Picasso, Georges de Chirico, Pierre Reverdy, Jacques Vaché, Léon-Paul Fargue, Sigmund Freud, i vostri ritratti sono appesi alle pareti della camera del sogno, voi siete i Presidenti della Repubblica del sogno.

Ed ora ecco i sognatori.


C’è una luce surrealista: quella che nell’ora in cui le città si infiammano cade sulla vetrina salmone delle calze di seta; quella che divampa nei negozi della Bénédictine e la sua sorella pallida nella perla dei depositi di acqua minerale; quella che schiarisce in sottofondo l’ufficio blu dei viaggi nei campi di battaglia, place Vendôme; quella che rimane fino a tardi avenue de l’Opéra da Barclay, quando le cravatte si tramutano in fantasmi; la luce delle lampade portatili sugli assassinati e sull’amore. C’è una luce surrealista negli occhi di tutte le donne. Si è appena demolito sul boulevard de la Madeleine un gran pezzo di realismo e per questa crepa potete scorgere un po’ del paesaggio che prosegue anche nei lavori del Moulin Rouge, zona Véron, nelle demolizioni delle fortificazioni parigine, nei campi di statue delle Tuileries, dai Gobelins infiammando la notte della parola SCUSA in lettere fosforescenti, nelle volte della metro dove scorrazzano i cavalli d’oro del cioccolato Poulain, nelle miniere di diamanti dove i truffatori si espongono ad avide laparotomie, nelle solfatare dove muoiono i cagnolini. Migliore del grande sole che lui detesta, Georges Limbour affronta questo giorno dall’aldilà. Non si è riusciti a romperlo dall’alto della scala da cui la folla lo gettò nelle notti di Magonza, poiché aveva orrore delle croci e delle bandiere, della pompa trionfante della guerra. A tutti i crocicchi André Masson dirige gli invii delle colombe: i bei coltelli che avrà visto dappertutto sono pronti alla fine a essere afferrati. Se le case di Parigi sono delle montagne è perché sono riflesse nel monocolo di Max Morise: ad Argent (Cher) non ha insozzato il grande crocifisso della stazione? Paul Éluard, io l’ho visto calpestato da agenti e macchinisti su un piano e tra lampadine rotte, erano trenta contro questo sussulto di stelle. Poco più tardi io l’ho visto ai piedi dello champagne in un paese di serpentine. Poi è entrato nell’ombra della terra, dove le eclissi morali sono i lampadari di un ballo sconfinato per l’oceano, poi è tornato, vi guarda. Delteil? È questo giovane quello che Francis Jammes ha supplicato in nome dei suoi capelli bianchi, questo giovane carnivoro che passa le sue giornate nei boschi di Meudon con immagini cruente. Man Ray, che ha domato i più grandi occhi del mondo, sogna a suo modo con dei porta-coltelli e delle saliere; dà un senso alla luce ed ecco che anche lei inizia a parlare. Suzanne, siete mora o bionda? Lei cambia col vento e potete crederlo: l’acqua è uguale all’uomo. Chi è questo prigioniero di una così grande trappola? I segnali che Antonin Artaud fa da lontano hanno una misteriosa corrispondenza nel mio cuore. Mathias Lubeck, non è mica una cosa seria, non vi state per arruolare nell’esercito coloniale? Dice di vergognarsi di non essersi tatuato, Jacques Baron, sulla sua nave, ha appena incontrato delle belle donne bianche: ti ricordi, mio caro amico, di una sera in cui ti ho lasciato vicino a Barbès, c’erano tanti ambulanti, allora non pensavi ai mari orientali, avevi fatto un gran colpo di testa verso l’estate. André Breton, eccone uno del quale non posso dir nulla se chiudo gli occhi, lo ritrovo a Moret, sul Loing, in tutto il polverio della strada d’alzaia. Per lungo tempo Philippe Soupault è stato riconosciuto dai suoi capelli crespi, lui che parlava agli impagliatori di sedie, che rideva in un modo travolgente verso mezzodì. Denise, Denise: nella stradina dove ci si ferma, il café di colori canta sempre meravigliosamente quando passate voi e ci si uccide sempre nel canale, nella via Lunga, dappertutto dove portate la vostra ombra pura e i vostri occhi chiari. Jacques-André Boiffard si rifiuta di tagliare le sue basette nere, con dolcezza. Porta un berretto di velluto. Cerca di sistemarsi ma non vuole un lavoro: un avviso per tutti. La magia non ha assolutamente segreti per Roger Vitrac, che prepara un Teatro dell’Incendio, in cui si muore come in un bosco. Prepara anche il ripristino del culto dell’Assenzio, di cui ha rovesciato i cucchiaini a griglia. Jean Carrive, il più giovane surrealista conosciuto, è notevole soprattutto per un magnifico senso della rivolta: si alza sull’avvenire con una provvista di bestemmie. Pierre Picon estende il suo protettorato sulla Spagna. Francis Gérard, avventato come nessuno, si è appena gettato nell’acqua dell’esistenza: non è che conoscereste per lui una donna estremamente bella che a vent’anni faccia di lui un uomo perduto per sempre? Simone arriva dal paese dei colibrì, questi piccoli lampi di musica, assomiglia al tempo dei tigli. Steso dagli spettatori al Petit Casino e nei vari café della capitale, Robert Desnos ha tentato più volte la morte per una parola: Parole, dice, siete dei miti e simili ai mirti delle morti? I terremoti, è dove Max Ernst, pittore di cataclismi come altri di battaglie, si ritrova con la massima comodità e il massimo piacere: è curioso che la terra non stia sempre a tremare. René Crevel non si è mai accorto che questo pianeta è fissato solidamente per mezzo di meridiani e paralleli; è più sonnambulo che ogni altro. Grandi collere, una risoluzione feroce fanno di Pierre Naville un corpicino divertente: lo crederei volentieri destinato a una sorta di attentato contro la vita, vorrei conoscere la chiromanzia per sapere se sarà molto infelice. Marcel Noll, mio vecchio Noll: non tenterai di disertare, ma di chi sei lo schiavo se non dei fantasmi in fondo ai tuoi occhi? La gente, vedi, è un poco di polvere. Charles Baron, immagina, ha lasciato questo hotel in cui vi frequentavate. Mi dà delle notizie di suo fratello. Non ha proprio perso i favori di questa donna mirabile alla quale presento una volta di più i miei omaggi. Ma colui che è capace di tutto, colui che è sul piano eroico nel modo più semplice, l’uomo che non si è mai premunito contro l’esistenza, colui che si incontra al Soleil Levant, colui che sfida il buon senso a ogni respiro, è Benjamin Péret, dalle belle cravatte, un gran poeta come non se ne fanno più, Benjamin Péret che tiene al guinzaglio una balena, o forse un passerotto. Che peccato che Georges Malkine sia oggi a Nizza! Ormai non ho più alcuna idea dell’eleganza ed è molto del mistero di questa città mal illuminata chi è partito per la Costa Azzurra. Maxime Alexandre? Crede che lo scordi. Non ci si scorda della disperazione. Le ultime notizie che ho di Renée Gauthier sono cattive. Mi trattengono dal parlare di questa giovane tutta divisa tra una sorta di passione e l’ingenuità che niente potrebbe farle perdere. Mio caro Savinio, abbandonate Roma e venite qui, spingendo davanti a voi il carretto dove sono ammucchiati i corpi dei Niobidi. Tutto questo mondo che ho censito vi attende. Senza dubbio stanno per accadere delle grandi cose. Abbiamo appeso una donna al soffitto di una camera vuota, dove arrivano ogni giorno degli uomini tormentati, portatori di pesanti segreti. È così che abbiamo conosciuto Georges Bessières, come un pugno. Lavoriamo a un compito enigmatico per noi stessi, davanti a un tomo di Fantômas fissato al muro con delle forchette. I visitatori, nati in climi lontani o alle nostre porte, contribuiscono all’elaborazione di questa formidabile macchina per uccidere chi è per il compimento di ciò che non è. Al 15 di rue de Grenelle abbiamo aperto un riparo romanzesco per le idee inclassificabili e per le rivolte perseguite. Tutta la speranza che resta ancora in questo universo disperato sta per volgere verso il nostro ridicolo chiosco i suoi ultimi sguardi deliranti: “Si tratta di ottenere una nuova dichiarazione dei diritti dell’uomo”.


In un romanzo di Marcel Allain, quando il misterioso Cuore-Rosso, dopo mille peripezie e la sete e i lunghi pericoli, i loro miraggi, arriva in fondo al Celeste Impero a questa tomba favolosa dove spera di trovare l’anello che conferisce il potere, che vede, mentre gli uccelli della notte spiccano il volo sulla polverosa lapide del sepolcro profanato? L’orma ben marcata di un tallone Wood-Milne. E, senza dubbio anche questa volta, miei amici, molliamo il bottino per l’ombra, senza dubbio interrogheremo l’abisso invano. Ma è l’ombra, ma è il silenzio che inseguiamo da tutta l’eternità, ma è questo grande fallimento che si perpetua. Come mai non si legge su nessun monumento delle nostre città: A Fetonte, l’umanità riconoscente? Che importa. Ha avuto il gusto della vertigine ed è caduto.

Se di colpo considero il corso della mia vita, se dimentico questa formazione dello spirito, ed è facile, se domino un poco il senso di questa vita che mi attraversa, che mi sfugge, di colpo… Che significa ciò? Di colpo. Non mi aspetto nulla dal mondo: non aspetto nulla di nulla. Il senso di questa vita, ah così ma: che m’importa di una scoperta e quanto è applicabile alla sua conoscenza? Conoscere! La pietra nel precipizio non conosce che la propria accelerazione, non la conosce neppure, a dire il vero. Bisogna vedere l’uomo in preda ai suoi specchi, che esclama con l’accento patetico del suo teatro: divenire cosa? Come se avesse la scelta. Grande inutilità, mare increspato, io sono la tua scogliera erosa. Sali, sali, bambino delle lune, o marea: io sono colui che si consuma e contro cui il vento infuria. Una semplice abitudine, quando la notte è troppo densa, con i suoi fantasmi, i suoi terrori, se tendo le mani ai luccichii dei fari che ruotano da lontano. Se unisco con questo tratto mentale che disegna le note costellazioni, è semplice abitudine. Se canto a bassa voce. Se vado, se vengo. Se penso. Se solamente apro questi occhi che non hanno visto nulla. Ma tra tutte le arie che talvolta canticchio, ce n’è una tuttavia che oggi mi dà una libera illusione di primavera e quasi un’illusione dell’autentica libertà. Quest’aria io l’ho persa e poi la ritrovo. Libero, libero: è l’ora in cui la catena dai chiari anelli del vento spicca il volo per le moire del cielo, è l’ora in cui la palla diviene schiava delle caviglie, in cui le manette sono dei gioielli. Accade che ai muri della cella il recluso incide un’iscrizione che fa sulla pietra un rumore d’ali. Accade che scolpisce al di sopra della parte fissata il simbolo impennato degli amori della terra. C’è che sogna, e io sogno, travolto, io sogno. Io sogno di un lungo sogno in cui ciascuno sarebbe capace di sognare. Non so quel che sarà di questa nuova impresa di sogni. Io sogno ai bordi del mondo della notte. Che volevate dirmi dunque, uomini in lontananza, gridando con la mano a megafono, ridendo dei gesti del dormiente? Ai bordi della notte e del delitto, ai bordi del delitto e dell’amore. Oh Riviere dell’irreale, i vostri casinò aprono le loro sale da gioco senza distinzione di età a quanti vogliono perdere! È tempo, credetemi, che non si vinca più.


Chi c’è qui? Ah, molto bene: fate entrare l’infinito.





giovedì 5 giugno 2025

U. Saba, "Ritratto della mia bambina"


La mia bambina con la palla in mano,

con gli occhi grandi color del cielo

e dell’estiva vesticciola: «Babbo

– mi disse – voglio uscire oggi con te».

Ed io pensavo: Di tante parvenze

che s’ammirano al mondo, io ben so a quali

posso la mia bambina assomigliare.

Certo alla schiuma, alla marina schiuma

che sull’onde biancheggia, a quella scia

ch’esce azzurra dai tetti e il vento sperde;

anche alle nubi, insensibili nubi

che si fanno e disfanno in chiaro cielo;

e ad altre cose leggere e vaganti.



R. Magritte, "Il ritorno", 1940


sabato 1 marzo 2025

Una Giraffa nell'armadio/7: CHE CE NE FACCIAMO DEL SURREALISMO OGGI

E se scrivessi che oggi il Surrealismo è più attuale che mai?

S. W. Hayter, Parturition, 1939

Sarebbe facile limitarsi a dire che il Surrealismo, dopo lo scioglimento del movimento il 4 ottobre 1969, sia sopravvissuto nella società contemporanea. In effetti molti aspetti della nostra quotidianità sono stati influenzati da questa corrente: la fotografia, innumerevoli esperienze artistiche, per non parlare poi degli ambiti del marketing e della pubblicità. Alcuni aspetti sono stati dunque integrati nel sistema in maniera lampante e questo sarebbe sufficiente a concludere che le idee di Breton e dei suoi compagni alla fine si siano imposte. Non basterebbe però a spiegare come, seppure il movimento storico sia terminato, il Surrealismo, letto come linea di pensiero e filosofia, possa sopravvivere tutt’oggi, in modo effettivo, vivace se non imprescindibile.


Ci dà tanto materiale per discutere di questo tema il libretto di Milan Napravnik “La magia del surrealismo”, edito da Mimesis nel 2018. L’autore, un artista ceco morto nel 2017 a Colonia, nei testi raccolti in queste 90 pagine approfondisce varie facce del movimento oggi, che provo a raccogliere (e in parte integrare) qui in tre punti.




  1. IL SURREALISMO È MAGIA

Non so quanti sono i gradini della scala che mi porta a lavoro, anche se ci vado quotidianamente, né il numero dei capelli di mia moglie, che pure amo. Non conosco neppure l’estensione esatta della pelle del mio stesso corpo, ma questa è una condizione costante dell’uomo, che percepisce la realtà solo in modo selettivo e generico, eludendo e generalizzando. In caso contrario infatti anche solo respirare consisterebbe in un’azione insostenibile, se bisognasse tenere conto di tutti i muscoli coinvolti, della massa d’aria inspirata ed espirata, della composizione della stessa.

L’essere umano dunque non può avvertire il mondo se non attraverso una selezione del reale: “l’interpretazione della realtà è storicamente e soggettivamente determinata e dunque per molti aspetti imperfetta, imprecisa e soprattutto preconcetta”; sembra una banalità ribadirlo, ma la conoscenza e la scienza del genere umano non possono che essere limitate e “il reale razionale (così com’è distinto dall’uomo) è solo un’illusione, un’autosuggestione che ci permette di dare un senso al nostro mondo”.

Risulta dunque necessario integrare questa selezione con quanto ne è escluso e la funzione irrazionale della nostra psiche non può dunque essere considerata solo come una fase precorritrice, alla stregua del modello freudiano. Non è un caso infatti che in tutte le civiltà di origine non europea e in tutte quelle primitive sia marcato il ruolo delle forze medianiche e sia sviluppata una varietà di tecniche psicotrope, come l’ipnosi, la danza monotona, la litania, i movimenti circolari della testa, l’uso di sostanze psicoattive, la padronanza sulla respirazione. In sintesi, è l’inconscio che ci apre le porte alla conoscenza integrale della realtà.

La poesia, che apre a dimensioni interiori differenti, non è un’abilità tecnica o una composizione formale definita, ma deve essere intesa “come un’esperienza personale, individuale, che ha luogo su un livello magico, che tocca l’essenza dell’esistenza di ogni persona. Oggi, ahinoi, alla maggior parte delle persone della civiltà contemporanea le elementari esperienze poetiche risultano completamente sconosciute, ma “se diciamo che la poesia o un dipinto è poetico, che ha in sé la poesia, non significa null’altro che ci offre l’esperienza poetica inculcatavi dall’inconscio di un poeta o di un pittore. In realtà, [i testi creativi] sono semplicemente traslocatori, più o meno efficaci, di esperienze magiche registrate dal pittore o dal poeta capace, in circostanze favorevoli, di trasferire queste esperienze in senso analogico nell'eventuale lettore”.

L’artista è colui che è capace di andare oltre la superficie della percepito, come secondo il modello simbolista, e a creare esperienze più aderenti alla realtà rispetto alla nostra stessa realtà, a esprimere quel lampo innestato dal suo inconscio. E cosa è la magia se non la capacità di entrare in autentica relazione con le forze della natura, di riconoscere quel lampo? Ecco dimostrato come la poesia sia un principio magico e, ancor più appropriatamente, la poesia surrealista.


G. De Chirico, Il cervello del bambino, 1914

  1. IL SURREALISMO NON È ARTE

Il Surrealismo non è un gruppo d’arte, poiché, siccome contesta il sistema della realtà razionale, pragmatica, materialista, non può farne parte. Tanto meno può fare parte del mondo dell’arte, che in questa società scade inevitabilmente nella mercificazione.

Inoltre, corollario a questo principio, il surrealista non deve cercare il plauso della critica del sistema, anzi non deve nemmeno essere integrato al sistema.

Sebbene poi ilSsurrealismo autentico utilizzi immagini o testi poetici, il collegamento con l’arte o la letteratura è soltanto apparente, poiché il movimento non è interessato tanto a problemi o valori estetici, inseparabili dalla vera arte e dalla letteratura. Non è interessato principalmente nemmeno “alla bellezza né alla bruttezza, alla modernità né all’obsolescenza, alla natura inventiva, speculativa o all’esibizionismo, all’originalità o allo stile. Ciò a cui è interessato è la ricerca e la promozione della libertà creativa dello spirito”. Ciò che rende un’opera surrealista arte o meno, non deriva dall’autenticità dell’esperienza, né dalla sua esteticità, quanto solamente dalla capacità di suggestionare e comunicare.



  1. IL SURREALISMO NON SOLO È ATTUALE MA È L’UNICA SOLUZIONE

Che il mondo umano, la società capitalista, la cultura consumistica debbano affrontare un cambiamento radicale penso sia un’evidenza lampante: non è questo il contesto di pace, di giustizia, di armonia e di libertà a cui il genere umano può mirare. Per questo ci si domanda come mai, in un secolo di presenza, forse il Surrealismo non abbia inciso sulla storia quanto si sarebbe voluto.

Il Surrealismo non ha mai affermato di essere capace, di per sé, di cambiare il mondo, ma è si è sempre trovato dalla parte del cambiamento, perché aveva già compreso, annunziato, condannato i punti insostenibili di questo sistema e se ne era sempre dichiarato estraneo, un tempo come ora. Contro il crudo materialismo, contro la dittatura, contro le convenzioni borghesi e le stereotipizzazioni della società di massa, contro le imposizioni di qualsivoglia genere, contro le discriminazioni, contro i totalitarismi, contro i privilegi della tradizione e contro le diseguaglianze. Il 1968 in Francia in fondo è frutto del pensiero surrealista calato nel contesto politico di quegli anni.

D’altronde, fin dalle sue prime espressioni, il Surrealismo è il regno dell’Immaginazione, ovvero della creazione pura dello spirito, perché non ha che questo strumento per poter modificare lo scenario mondiale e forse anche questo non è sufficiente. In ogni caso ci darà la possibilità della speranza e così potrà già offrire una nuova configurazione della coscienza umana, frammenti di un uomo nuovo. È l’aria di libertà che non può invecchiare, la ribellione che non può ingessarsi in abitudine: questo basta.


D. Rivera, I vasi comunicanti, 1938


domenica 2 febbraio 2025

veglia

La nuit est venue tout d'un coup comme une grande rosace de fleurs retournée sur nos têtes.
La notte è caduta di colpo sulle nostre teste come un grande rosone di fiori. 
(André Breton, "Poisson soluble")

lo scorrere della notte un manto 
disperato copre il corpo accorato
avvolge le gambe stringe le mani 
lo scorrere delle notti in cui il volto
svanisce il sonno in cui non piangere
il sonno che fascia freddo fatica
hai detto che non c’è bisogno
i minuti passano le lacrime si asciugano
altrove qualcun altro lo accetta
hai detto che non hai bisogno
nemmeno di una voce della speranza
di una luce soffocata e nuda
la notte scorre hai detto spiccia
e ti sei raggomitolata in quattro stracci
hai chiuso il pugno e hai abbracciato
il silenzio delle cose che non sono
lo scorrere delle notti cieche
poi hai aperta una mano hai baciato
un bottone scucito del pigiama
una finestra ha sbattuto infranta

R. Magritte, "L'empire des lumières", 1949


lunedì 27 gennaio 2025

Una Giraffa nell'armadio/6: P. ELUARD, "LO SPECCHIO DI UN ISTANTE"


Dissipa il giorno,

Mostra agli uomini le immagini svincolate dall'apparenza,

Toglie agli uomini la possibilità di distrarsi.

E' dura come la pietra,

La pietra informe,

La pietra del movimento e della vista,

E il suo bagliore è tale che tutte le armature, tutte le maschere ne vengono distorte.

Quel che la mano ha preso disdegna persino di prendere la forma della mano,

Quel che è stato inteso non esiste più,

L'uccello s'è confuso con il vento,

Il cielo con la sua verità,

L'uomo con la sua realtà.


P. Eluard, Lo specchio di un istante, da La capitale del dolore (1926)



Cosa vale un istante? Quanto ci facciamo illudere da un attimo? Eppure la nostra esistenza è scandita da cumuli di istanti inutili, posti bene in fila secondo un rigido ordine casuale. In un attimo voliamo e poi in un attimo ricadiamo a terra, in un istante sogniamo quel che un istante dopo i calcoli annichiliscono: questa è la serie dei nostri istanti umiliati, come innamorati cui non si presta fede.

Eppure Eluard scrive con lo scroscio dolce e profumato di un fiume di montagna. Eluard scrive con la materialità delicata delle nuvole della Castiglia. Eluard scrive con gli occhi fermamente aperti di chi sa sognare. Gli bastano infatti poche parole, una manciata di versi, per trasformare delle sillabe in sentimenti, le lettere in nuove realtà.

Così in questo testo l'istante, quell'attimo fuggitivo e fragile, assume i contorni duri della pietra, inflessibili di una rivelazione e rivoluzionari di un amore, una pietra dinamica che si muove e vede: qui il lettore trova una luce, forse fioca e confusa, ma una luce viva. No, l'attimo non è più un fantasma passeggero e privo di senso nella giornata distratta, ma, liberato dallo sguardo surrealista, diventa una certezza più perentoria della stessa realtà.

Ecco che anche in questo breve componimento emerge il procedimento del rovesciamento del reale tipico del Surrealismo, quanto più infatti un elemento appare certo e indubitabile, tanto più lo si mina alle basi, non attraverso un paradosso logico o un sillogismo, ma semplicemente attraverso la potenza illimitata dell'immaginazione: quel che è stato inteso non esiste più.

Questa presa di posizione non vuole essere una negazione del reale, ma esprime la consapevolezza che la nostra conoscenza è limitata, che al di là di quanto comprendiamo il mistero della vita è ancora più grande, ancora più potente, ancora più smisurato. Se riusciamo a intuirla, questa magia, questa corrispondenza senza risposte ci travolge. Questa è la confusione/unione tra uccello e vento, cielo e verità, tra l'uomo e la sua realtà. L'attimo diventa una verità ed è il resto, l'abitudine e la norma, la maschera e l'armatura, a perdere di ogni consistenza. 

Cosa vale un attimo? Quanto può valere lo sguardo di un uomo: questo è lo specchio di un istante, che fugge e che è fuggito, la pietra a fondamento della nostra esistenza.

Innamoriamoci ancora, vi prego, di questo istante.