Siamo al secondo capitolo, in cui emerge sempre di più un prisma frammentato in miriadi di immagini, di
illuminazioni, di ferite dal quale emerge la figura dell’uomo contemporaneo,
fragile e titanico, sognatore e becero furfante, che vive nella notte e splende; un
uomo forse senza Io e senza Dio, ma che piange perennemente dentro sé, per
questo Io e per questo Dio, un uomo che è "approssimato" e che al contempo si "approssima".
A. Rodin, Andrieu d'Andres, da "I borghesi di Calais", 1886 |
II
la terra mi tiene stretto
nel suo pugno di burrascosa angoscia
che nessuno si muova! si
sente l’ora aprirsi il volo di mosca
e raggiungere la giornata
alla ricerca di una fine
stringiamo tra le mascelle
i minuti che ci separano
*
in alto le mani! per
accogliere l’angelo che sta per precipitare
sfogliarsi in neve di
lucciole sulle vostre teste
cielo indebolito dal vento
che ha tanto soffiato
pagheremo di sofferenze i
nostri debiti senza numero
*
la stazione s’infoltisce di
giochi di fischi
così tante libertà nuotano
nell’amara densità
che lo scampanellio guida
il flusso roditore
assieme alle nere e fetide
indignazioni interiora spumose della terra
dalle superfici vellutate
verso le quali obiettivi ubriachi di speranze
che si comprano al prezzo
di lente sementi
ornati degli attributi
delle corporazioni di mestieri
che si bevono agli
abbeveratoi con delle sbuffanti narici di cavallo
che si cacciano in cerchi
nei maneggi paesani
che si fumano la pipa
vecchia d’aquile
che si sorvegliano pastori
dei tetti che fumano la sera
intravisti nei ghiacci
presagiti dal cuore di pietre
nel fondo di miniere di
petrolio su delle brande di pesanti fanghi
nei granai dove la vita si
misura con il grano
schiume chiare guanciali
delle acque assise al sole
*
uomo approssimativo come me
come te lettore e come tutti gli altri
ammasso di carni chiassose
e di eco di coscienza
completo nel solo boccone
di volontà il tuo nome
trasportabile e
assimilabile cortese per mezzo delle docili inflessioni femminili
diverso incompreso a
seconda della voluttà dei correnti investigatori
uomo approssimativo che ti
muovi negli all’incirca del destino
con un cuore come valigia e
un valzer al posto della testa
foschia sul freddo ghiaccio
tu t’impedisci a te stesso di vederti
grande e insignificante fra
i gioielli di ghiaccio del paesaggio
tuttavia gli uomini cantano
in cerchio sotto i ponti
dal freddo la bocca blu
contratta più lontano che il nulla
uomo approssimativo o
magnifico o miserabile
nella nebbia delle caste età
abitazione a buon mercato
gli occhi ambasciatori di fuoco
che ognuno interroga e
accudisce nella pelliccia di carezze delle sue idee
occhi che ringiovaniscono
le violenze degli dèi docili
volteggiando verso le
esplosioni delle primavere dentarie della risata
uomo approssimativo come me
come te lettore
tu tieni tra le tue mani
come per gettare una palla
cifra luminosa la tua testa
piena di poesia
*
porta chiusa per sempre
della notte il frutto dalle belle gambe
lunga croce così solenne
sull’alito della rugiada
ai confini della sera
spogliata camicia del giorno
mentre la galleria allunga
la fisarmonica dei suoi fianchi
scivola sulla corda del
binario lungo arco del convoglio di metrò
e dall’altra parte in
mancanza di sole c’è forse la morte
che ti aspetta nel rumore
di un scintillante vortice dalle mille braccia esplosive
tese verso te uomo fiore
che passa dalle mani della commessa a quelle dell’amante e dell’amata
che passa dalla mano di un
avvenimento all’altro senza volontà triste pappagallo
le porte sbattono dei denti
e tutto è fatto nell’impazienza di farti uscire al più presto
uomo amabile mercanzia
dagli occhi aperti ma ermeticamente bendati
tosse di cascata ritmo pianificato
in meridiani e monconi
mappamondo imbrattato di
fango di lebbra e di sangue
l’inverno salito sul suo
piedistallo di notte povera notte fragile sterile
tira il panneggio di nuvola
sul freddo serraglio
e tiene tra le sue mani
come per gettare una palla
cifra luminosa la tua testa
piena di poesia
*
gesto tondo delle mani che
offre all’aria l’immagine
vigile usignolo che chiude
il circuito del tuo appagamento
dal bagliore appuntito
delle piante tu t’inganni te stesso
il più segreto di tutti sei
tu il più lontano
tu ti issi fino ai perfetti
accordi sui pennoni astronomici
ti ingozzi di portamenti
incestuosi sulle vie dei calvari
la tua gelosia zampilla
dall’angusto simulacro
che stringe il tempo nella
sacca della tua vita
tu non concepisci la vita
che in esempi sperimentati
mentre invecchi senza
sapere perché s’arrugginiscano le cerniere della tua testa
si allarghino le tue
articolazioni si inzuppi come la foglia sotto la pioggia l’orgoglio
avaro tu serri così forte
la porta che le tue unghie entrano nella carne
la tetra gola dove si
impilano le nuvole
dove l’orgoglio inappagato
non sa più rinfrescarsi
tende già verso i prati
della morte in olocausto il suo delirio a perdita di vista
e l’acqua è sempre fresca
al crocevia dei tuoi amori
*
le linee delle tue mani
callose che alla tua nascita un angelo tracciò
sul suo sentiero il tuo
sentiero dotato di tutti i successi terrestri
la foschia della tua falsa
vita li cancellò e tu insudici ciò che tocchi
ti sprofondi nell’affanno e
nell’oro delle menzogne incandescenti
della vita non resta che la
pena d’una evasione mancata
e tuttavia la notte disfa
nel suo grembo i nodi delle campanelle le stelle
l’ossatura cadenzata delle
musicali cataste gettate alla rinfusa
eppure gli uomini si
stringono in cerchio sotto i ponti
e negli album di fotografie
sfogliano le sere di calore mediocre
tra tanti amari germogli
che il ricordo fece albeggiare tutto attorno alla tovaglia pesante
difendi a morsi il tuo
appezzamento di mondo per addormentarti da un sabato all’altro
anonimo e beffato nella
secolare alimentazione della tua genia
eppure gli uomini cantano
in cerchio sotto i ponti
e strappano il nido delle
meningi lo raschiano
per scoprire nascosta nel
fondo la fresca arancia del loro cervello
*
dai furori di neve che
l’ora faccia la sua eruzione di rimorso e di tortura
che il sangue zampilli in
te dalla bocca più nuova l’astronomia
e si sparga in ogni cellula
di prigioni anatomiche
che i minuti formicolando
nel sacco dei polmoni li inseminino vicino
ai rifugi di vegliardi le
terrazze a più file da biliardo
che il crimine infine
fiorisca giovane e fresco in pesanti ghirlande lungo le case
ingrassi di sangue le
avventure novelle le messi delle future generazioni
le aquile che si dissolvono
come lo zucchero nella bocca degli anni
che dissolvono lo zucchero
delle giornate passate nella coppa dell’oceano
che volano da un fiore
all’altro con dei petali di pelle sulle ali
insetti o microbi che
caricano di sofferenza i letti le stagioni
gli acidi sonni che
trascinano come delle bestie di pena le nostre carcasse
e noi che spariamo verso
quelli impiccati nel sogno che spariamo alla gru del porto celeste
lei dolce di sole
putrefazione senza corvi né larve nel biancore invincibile immacolato