mercoledì 14 settembre 2016, ed ecco una delle viste più deformi
della mia vita.
uno stanzone di 80 metri quadri, il buio totale, mentre
fuori dalle sbarre si distinguevano le urla e le mani.
solo dopo essere entrato e dopo aver stretto quelle mani,
centinaia di mani, ho lentamente riconosciuto volti: volti di ragazzi, volti
corrugati, volti canuti, volti annichiliti in un’unica gigantesca camerata di
tenebre. chiedo qualche nome, mi presento, respiro a malapena nell’aria
rancida.
queste sono le prigioni di Aru, questa è la legge qui, la
legge del più forte che stritola i ladruncoli e i pazzi: gli internati si
autogestiscono, tra violenze e rendimenti di conti, e in questo angolo di
inferno chi non paga 110 dollari al “presidente” eletto di questo novello Zaire
non ha neppure il diritto di sedersi, di dormire, di mangiare, di essere uomo.
per questo vengono chiamati zerozerò,
gli zero nella terra del nulla. l’anno scorso ne sono morti di fame sette in pochi
mesi. no, non si possono fare nemmeno foto: non è permesso neppure ricordarsi
degli ultimi degli ultimi, poiché (mi rammenta qualcosa a cavallo tra Dante e
Primo Levi) non fanno più parte della nostra umanità.
madre Angela ci ha accompagnato fin qui (quaggiù, mi
verrebbe da dire), per offrire boccone di pane e una preghiera assieme. lei si
cura di loro, lei si batte per loro e loro la rispettano. loro la accolgono tra
loro e pregano, cantano. da un barile arrugginito nasce un ritmo e un canto a
un d-o che perdona, che ama, che rimane a fianco del peccatore. “io ero in
carcere e voi mi avete visitato”, ci ricorda alla fine con un sorriso commosso,
mentre fuori dalle sbarre le mani ci cercano, ci salutano ancora.
mercoledì 14 settembre 2016 ed eccomi davanti all’inferno
terrestre, ma anche all’amore umano.
le mani dalle porte dell’inferno
110 dollari per essere degni
di essere uomini “ero in carcere…”
dicono gli zerozerò
dalla ruggine nasce un canto
“…e mi avete visitato”
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