mi avete chiesto che ho visto in questi giorni a Bruxelles.
confesso che non vi ho mai detto la verità.
sì, palazzi regali, vie festose, capolavori di Rubens o David da pelle d’oca, i
sapori unici di Matonge, certo, veramente bello. poi sono passato anche a
Tervuren, dove è allestito il più grande museo al mondo dedicato all’Africa
Centrale, corridoi e corridoi di vetrine colme di maschere. qui sono conservate statue nkisi, feticci kongo che
racchiudono poteri spirituali, e copricapi dei bwami, autorità sacre degli
hutu, ho visto antichi katatora dei baluba, oggetti raffinati con funzione di
oracolo, e l’elegante arte decorativa bwiin dei kuba; ci sono anche manufatti di mukanda, una ricca
iniziazione pedagogica che partiva dalla rappresentazione teatrale: insomma,
tutte straordinarie pratiche sociali, culturali, religiose ormai abbandonate e
lontane, perse.
ecco però che poi ho visto questo foglio: è un contratto
stipulato nel 1885, dove Kassabala dichiara di sottomettersi al capo della
stazione di Mpala, gli offre un tributo e terreni in cambio della protezione di
questo. è solo uno dei tanti trattati che fu fatto firmare a più di
quattrocento capi villaggio nonostante non solo non sapessero scrivere ma non conoscessero
nemmeno il concetto di alcuni termini usati come “sovranità” o “esclusività”. con
quella semplice crocetta magari era stato promesso loro che avrebbero consolidato
rapporti di amicizia con il re Leopoldo II, mentre in realtà rinunciavano alle
loro terre, a tutte le loro terre e a ogni diritto su queste, consegnandoli a
questi stranieri che venivano con il winchester in mano e che uccidevano colla
forza del tuono. quel giorno sono iniziati a scomparire i mukanda, l’arte
bwiin, i katatora dei baluba, le statue nkisi e anche le danze lugbara.
a Bruxelles ho visto questo foglio e non riesco a scordarlo poiché, vi confesso, istintivamente ho provato imbarazzo per la
mia pelle, bianca e pallida. quelle centinaia di culture annientate per una
civiltà che forse tanto più “civile” non era, mani moncate per i lavoratori di
caucciù, milioni di morti.
mi scuserete, lo dice uno che danza canti lugbara e intanto
fischietta Beethoven, che mangia chikwangue con pondu mentre con l’altra mano
studia Dante, ma questa è la verità intima che non sono mai riuscito confessarvi:
provo vergogna.
non è neppure la prima volta. qualcuno giustamente penserà che il
peso del passato non può schiacciare i figli, ma poi penso a Ovuko, a Odrele, a
quei bambini cui davo la mano cantando e che non ci sono più, penso al viavai
ininterrotto dei tir stracarichi dalle miniere, alle mamme distrutte al mercato
per 10 centesimi. penso al Congo in cui è stata staccata ogni connessione da
ormai una settimana perché il regime non accetta i risultati di queste
maledette elezioni, ai molti amici là che ho perso in questo silenzio e penso a
tante altre realtà che conoscete bene anche voi, realtà che non sono oltre al
Mare Nostrum del Mediterraneo. penso a questi volti e provo vergogna.
“è così
che va il mondo”? no, così l’abbiamo fatto noi, questo mondo, e chissà se fra
qualche secolo anche noi saremo giudicati come questo foglio, crudele e vigliacco.
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