era piena notte in volo tra Istanbul e Kigali, ma il mio
vicino, incurante, mi ha toccato il braccio e ha iniziato a parlarmi. era un
ruandese, ormai da 20 anni a Londra, e tornava a casa per lavoro. mi diceva che
quando sarei stato Là, nella sua Africa, avrei dovuto capire che fare per
aiutare, metterci del mio senza pensarci troppo.
poi sono arrivato Là.
quando dopo alcuni giorni madre Marcela si è lamentata per
quella stradina verso l’ospedale che continuava ad allagarsi nella stagione
delle piogge, mi è venuto spontaneo proporre di rifarla, poco coscientemente.
aiutare, senza stare a pensarci troppo, senza alcuna esperienza non solo
riguardo a strade ed edilizia civile, ma anche a comefaredelbuoncemento; una
delle tipiche scommesse perse della mia vita.
eppure qualcuno ci ha scommesso con me: Paolo "moindo" Bazzocchi da
Lugo, anni 21 per 195 cm, e ci abbiamo scommesso pesante (“fess”, direbbero i miei amici
bresciani).
rialzare il suolo argilloso, chiedere consigli e
riconciliare i differenti pareri, scavare nel prato i canali laterali di scolo,
scoprire che i mattoni di terra rossa si frantumavano, recuperare delle pietre
piatte a sufficienza, incastrarle come in un gigante puzzle, affrontare le
perplessità degli altri e in primis del proprio passato, impastare e passare il
cemento, tutto questo senza troppi fronzoli, a volte sotto il sole a picco e a volte sotto le piogge della stagione, senza grandi parole.
perché il buon Paolo non si perde in discorsi, ma si alza,
va e lavora ed è forse stato questo un grande dono: badare al sodo senza
fronzoli, mirando al fine, senza insicurezze, nonostante i giorni di lavoro
passassero e la fatica aumentasse e i timori, silenziosi, si potessero sentire nell'aria.
sognare e sudare, l’unico pensiero.
“ce la faremo, a fare
questa nostra dannata strada”, sognando se fosse meglio intitolarla papa Mayele
street, rue Bakhita o via Maria Goretti o, perché no, via Marcela Lopez.
sognare e sudare, l’unico pensiero.
come quando abbiamo preso "in prestito" un’ambulanza per battere il fondo, come quando papa Maurice rideva dei nostri
modi così “mundele” e noi ridevamo di come aggiustasse un piccone col machete,
come quando osservavamo e studiavamo nei dettagli ogni scolo che incrociavamo,
come quando riempivamo la piazzuola di spettatori incantati dal fatto che, sì,
allora anche i bianchi lavorano, come quando si andava in cerca di sabbia per
le stradine attorno.
ora però non andate al classico lieto fine, perché io penso
che forse non ce l’avremmo fatta, io e Paolo.
ce l’abbiamo fatta io, Paolo, Juniore, Christian, Dunya,
Zebra, Jean, e poi quando le speranze sembravano assottigliarsi sono arrivati
in nostro aiuto anche Marco, Oscar “mr. silenzio stampa”, Carmine “il maestro”
e Sean. no, senza di loro non si sarebbe concluso granché, perché, lo ammetto,
niente a volte è difficile quanto chiedere aiuto. perché non abbiamo costruito
muri, ma una strada.
sognare e sudare, l’unico pensiero.
sì, erano solo 37 metri di strada di un villaggio
sconosciuto ai bordi del mondo e tutto può apparire tanto banale e
insignificante, ma forse il mio amico ruandese ora potrà sorridere un poco anche di me e di queste immagini: