venerdì 30 settembre 2016

nzela na papa Mayele - rue papa Mayele


era piena notte in volo tra Istanbul e Kigali, ma il mio vicino, incurante, mi ha toccato il braccio e ha iniziato a parlarmi. era un ruandese, ormai da 20 anni a Londra, e tornava a casa per lavoro. mi diceva che quando sarei stato Là, nella sua Africa, avrei dovuto capire che fare per aiutare, metterci del mio senza pensarci troppo.
poi sono arrivato Là.
quando dopo alcuni giorni madre Marcela si è lamentata per quella stradina verso l’ospedale che continuava ad allagarsi nella stagione delle piogge, mi è venuto spontaneo proporre di rifarla, poco coscientemente. aiutare, senza stare a pensarci troppo, senza alcuna esperienza non solo riguardo a strade ed edilizia civile, ma anche a comefaredelbuoncemento; una delle tipiche scommesse perse della mia vita.
eppure qualcuno ci ha scommesso con me: Paolo "moindo" Bazzocchi da Lugo, anni 21 per 195 cm, e ci abbiamo scommesso pesante (“fess”, direbbero i miei amici bresciani).
rialzare il suolo argilloso, chiedere consigli e riconciliare i differenti pareri, scavare nel prato i canali laterali di scolo, scoprire che i mattoni di terra rossa si frantumavano, recuperare delle pietre piatte a sufficienza, incastrarle come in un gigante puzzle, affrontare le perplessità degli altri e in primis del proprio passato, impastare e passare il cemento, tutto questo senza troppi fronzoli, a volte sotto il sole a picco e a volte sotto le piogge della stagione, senza grandi parole.
perché il buon Paolo non si perde in discorsi, ma si alza, va e lavora ed è forse stato questo un grande dono: badare al sodo senza fronzoli, mirando al fine, senza insicurezze, nonostante i giorni di lavoro passassero e la fatica aumentasse e i timori, silenziosi, si potessero sentire nell'aria.
sognare e sudare, l’unico pensiero.
 “ce la faremo, a fare questa nostra dannata strada”, sognando se fosse meglio intitolarla papa Mayele street, rue Bakhita o via Maria Goretti o, perché no, via Marcela Lopez.
sognare e sudare, l’unico pensiero.
come quando abbiamo preso "in prestito" un’ambulanza per battere il fondo, come quando papa Maurice rideva dei nostri modi così “mundele” e noi ridevamo di come aggiustasse un piccone col machete, come quando osservavamo e studiavamo nei dettagli ogni scolo che incrociavamo, come quando riempivamo la piazzuola di spettatori incantati dal fatto che, sì, allora anche i bianchi lavorano, come quando si andava in cerca di sabbia per le stradine attorno.
ora però non andate al classico lieto fine, perché io penso che forse non ce l’avremmo fatta, io e Paolo.
ce l’abbiamo fatta io, Paolo, Juniore, Christian, Dunya, Zebra, Jean, e poi quando le speranze sembravano assottigliarsi sono arrivati in nostro aiuto anche Marco, Oscar “mr. silenzio stampa”, Carmine “il maestro” e Sean. no, senza di loro non si sarebbe concluso granché, perché, lo ammetto, niente a volte è difficile quanto chiedere aiuto. perché non abbiamo costruito muri, ma una strada.
sognare e sudare, l’unico pensiero.

sì, erano solo 37 metri di strada di un villaggio sconosciuto ai bordi del mondo e tutto può apparire tanto banale e insignificante, ma forse il mio amico ruandese ora potrà sorridere un poco anche di me e di queste immagini:





















sabato 24 settembre 2016

signe (apollinaire)

je suis soumis au Chef du Signe de l'Automne
partant j'aime les fruits je dèteste les fleurs
je regrette chacun des baisers que je donne
tel un noyer gaulé dit au vent ses douleurs

mon Automne éternelle o ma saison mentale
les mains des amantes d'antan jonchent ton sol
une épouese me suit c'est mon ombre fatale
les colombes ce soir prennent leur dernier vol



io sono suddito del Signore del segno d'Autunno
pertanto amo i frutti detesto i fiori
rimpiango ognuno dei baci che rendo
come un noce bacchiato rivela al vento i suoi mille dolori

oh mio eterno Autunno, oh mia stagione mentale,
le mani di amanti di un tempo velano il tuo suolo
una sposa mi segue, la mia ombra fatale
le colombe spiccano stasera il loro ultimo volo

V. Van Gogh, Les Alyscamps, 1888

martedì 20 settembre 2016

aFREEka, così l'ha ribattezzata Marco



aFREEka, così l'ha ribattezzata Marco,
così la conosco io ogni mattino e ogni sera,
ogni volta che incrocio il loro sguardo fiero e libero.
poiché i poveri, gli ultimi sono il soggetto dell'annuncio della buona novella, non l'oggetto:
non è il prete a parlare di poveri, ma il povero a parlare di d-o.



qui nessuno piange
nella terra disperata
nessuno piange
è perché nessuno l’ha imparato
o perché hanno imparato
che non ha vantaggio non porta piacere
si ride liberi
all’ospedale per strada al mercato
si può ridere persino di malattie
delle tragedie del futuro
buio ma qui nessuno
piange perché nessuno
lo ha insegnato loro
e allora ridono sotto il sole
sotto la pioggia e nella notte fredda
i loro canti le loro danze le loro
risa scrosciano e nessuno
a noi lo ha mai insegnato a noi




giovedì 15 settembre 2016

MAMA NZAMBE - dio madre


perché qui il respiro di d-o si sente più forte,
forse perché si è ancora di più nelle profondità, nelle viscere della pancia di d-o,
forse perché è tutto così incompiuto, ma così vivo, così intenso ed essenziale, e perciò così autentico.
così questi versi, di una cruda verità.

Sophie all’ospedale il figlio ammalato
un bebé che si piscia sulle spalle
della sorella due anni dal naso camuso
se ne accorge appena ride
disperazione che non ci si pulisce
nell’abisso dell’abisso
i piedi disarmati nel fango
Innocent che non conta sino a cinque
materiale d’esubero dell’occidente
Sophie all’ospedale l’unico figlio ammalato
l’immondizia che brucia nei crocicchi
donne-moi l’argent donnez-moi
na mbongo s’implora
nella merda della merda del mondo
Helène accasciata all’alba accanto a Orione
la pancia di un figlio che non ha pane
che eppure vive nel regno
di d-o bokonzi wa mama nzambe
coloro che hanno sete pecore
di giustizia e fame senza pastore il figlio dell’uomo
col naso camuso mwana wamoto
che eppure vive mama nzambe
la prova del fallimento di un mondo di là
Sophie all’ospedale il figlio morto
neanche la forza di sorreggerlo
dall’abisso del regno di d-o.




martedì 30 agosto 2016

rileggendo Rilke



e noi, che immaginiamo la felicità
come ascesi, avremmo l'emozione,
che quasi sgomenta, 
di una cosa felice cadendo.


und wir, die an steigendes gluck
denken, empfanden die ruhrung,
die uns beinah besturzt,
wenn ein gluckliches fallt.


R. M. Rilke, X Elegia Duinese



un grazie a Rachele Zilocchi e Francesco Cimino per la bellezza delle foto!

a volte parole e suggestioni lontane prendono forma altrove, divenendo più vive che mai...p

lunedì 22 agosto 2016

nkombo nayo nani? - come ti chiami?

avevo promesso che sarei tornato, l’avevo promesso a Faith, a Mark, a Beatrix, a Flavia, a Maria Goreti, avevo promesso che non li avrei lasciati soli, e mi ritrovo qui, e vi ritrovo qui, sotto il cielo di mamma Africa, ritrovo i miei amici negli occhi di Innocent, Clemence, Dunya, Gignol.
cosa c’entro io qui, un mundele bianco senza arte né parte? credo che a volte sia necessario smettere di capire per fare e finalmente iniziare a fare per capire.
mi ricordo di uno stralcio di Tristan Tzara, in “L’Homme Approximative”:
“les cloches sonnent sans raison et nous aussi / sonnez cloches sans raison et nous aussi”
le campane suonano senza ragione, e anche noi / suonate, campane, senza ragione, e anche noi!






e sono qui, non lo nascondo, per conoscere, e siccome scrivo, proverò a raccontare qualcosa di quanto ho conosciuto.
ho conosciuto Maria, una mama che parla solo il lingala con la quale scherzo all’ospedale.
ho conosciuto Jeremie, che ha paura dei bianchi e fatica a guardarmi negli occhi.
ho conosciuto Prince, un ragazzino col volto sfigurato dal fuoco, ma intelligente e dall’ottimo francese. nonostante la bocca sfregiata il suo sorriso è di una dolcezza solare.
ho conosciuto Pascaline: ama coltivare e curare l’orto. ha deciso di offrire la sua vita agli altri ed è una madre canossiana da trent’anni.
ho conosciuto che il dolore di una madre che perde un figlio è un urlo interminabile e assordante anche dall’altra parte del mondo.
ho conosciuto una persona che gestisce un ospedale ma riesce a conservare la semplicità, l’allegria sincera e spontanea di un bimbo.
ho conosciuto Prisca: correva sotto la pioggia ridendo e mi diceva che quel giorno non aveva mangiato.
ho conosciuto Alessi, una bambina di pochi anni; sulle sue spalle legata forte teneva sua sorella, una neonata, costantemente a cinque minuti di distanza dal nulla.
ho conosciuto una piccola ragazzina che soffre di cirrosi epatica e altri che soffrivano di diabete, così deboli da non potersi reggere in piedi, e di tubercolosi e di tante, troppe malattie.
ho conosciuto qualcuno che sussurrando “è profondamente ingiusto” ha ancora sete di giustizia e pace.
ho conosciuto Wumili, una ragazzina simpatica che ogni mattina mi accoglie al mercato come un vecchio amico.
ho conosciuto Deborah, una bambina dalle meche finte ma dagli occhi profondi come il segreto della vita.
ho conosciuto Maristella: il padre, un intellettuale dissidente, fu salvato da mama Marie e così la sua prima figlia ebbe questo nome.
ho conosciuto Pascal, che vorrebbe fare il portiere ed è uno dei tanti piccoli malati di malaria: mi guarda e non riesce a sorridere.
ho conosciuto mama Albertina, una delle molte mamme dal volto anziano che affrontano con coraggio la vita dura di ogni giorno con tanto peso sulla testa.
ho conosciuto lo sguardo duro e vuoto dei militari, che sanno che possono pure distruggere, ma non riescono a costruire nulla.
ho conosciuto Christian, che mi aspetta ogni giorno fuori da casa, come se potessi donargli qualcosa di unico, straordinario.
ho conosciuto mama Prisca, una vecchia insegnante vedova. suo figlio è morto come soldato alla dogana e ora è lei a crescere i suoi due nipotini. 
ho conosciuto Julienne, una ventiquattrenne congolese bella e fiera, che mi racconta: i colori della bandiera della RDC sono l’AZZURRO, la pace, che non si può ottenere senza quella striscia di ROSSO, il sangue dei testimoni, la sofferenza dei giusti, e che solo così giungerà alla stella d’oro, il GIALLO, la ricchezza della promessa. è già tutto.


sono solo immagini tratteggiate, ma, ecco, io sto in mezzo a loro, forse in mezzo agli ultimi, ma proprio qui tra loro, condividendo con loro parte di tutto questo mondo primo, mi sento felice e non so perché. questo è il mistero che non riesco ancora a comprendere.

venerdì 5 agosto 2016

qualche video...


nei prossimi mesi non potrò essere presente come fino ad ora, ma se siete curiosi, se volete ricordare quello che abbiamo fatto, come eravamo... eccovi una playlist di alcuni video, realizzati in questi anni di poesie! 

un grazie a tutti voi per questi 200 post, questi 37 video che avete visto, condiviso, apprezzato, provocato, ma soprattutto che avete reso vivi.

tous les mots que j'avais à dire se sont changés en étoiles
un Icare tente de s'élever jusqu'à chacun de mes yeux:
UN MOT ET TOUT EST SAUVE'
UN MOT ET TOUT EST PERDU

(A. Breton)

il mio preferito è...


martedì 26 luglio 2016

la mano

nous ne sommes que deux ou trois hommes
libres de tous liens
donnons-nous la main
tours de Babel changées en ponts


non siamo che due o tre uomini
liberi da ogni legame
diamoci la mano
torri di Babele mutate in ponti

G. Apollinaire


sabato 16 luglio 2016

l'inferno dell'innocenza


ho assecondato senza cenni l'aridità del meriggio
la notte è il tempo del leone dice il saggio
il saggio che è colui che non accetta
di vivere poiché solo di leoni
s'affanna la luna solo di leoni

Rembrandt, Autoritratto, 1669

il principio del sistema definisce che
per pulire una pentola s'insudicia spesso un ruscello
la pulizia di una pentola sporca insozza il torrente
innocente che l'opulenza sboccia spesso
dalla penuria le carogne accalcate 
e nere dell'altro prevaricata io 
sento pianti di potenti
il sole dei semplici e un fagiano
che ha abbandonato i campi sconci si è rintanato
in una costellazione di nostalgia di statue
e specchi non canta che il canto dei canti
l'eco ossessiva
il canto dei canti
tra i monti scomparsi
dei canti

l'inferno è abituarcisi, a tutto questo
appagato e sazio di polietilene recita:
opprimere o soccombere soppresso
recita la giurisprudenza consolidata
mais il n'y a pas liberté il n'y a pas paix
sans justice mormorano le terre del kivu
del katanga god of salvation terre
rosse del kasai e di masaka

ma l'innocenza sarà lusso per gli uomini
che camminano come presunta supposizione
"io non nuocio non io nella penombra"
per gli annoiati dunque è necessario
assolutamente imprescindibile che accada
una cosa: un amore senza scossa
la carriera una disavventura una
vacanza appagati di potere petrolio e polistirene
senza ricordare senza ricordare senza citare
l'emozione che quasi sconcerta di una danza
felice
cadendo agli altri
lo senti da qui, il canto che si prolunga
si disperde? gli orizzonti s'arrestano a tacere
sed omnia cooperantur in bonum

vorrei crollare serrando terra tra le mie mani
nude vorrei morire con la bocca colma di terra
vorrei perdermi con il cuore pieno di cielo


Rembrandt, Autoritratto, 1669, dettaglio

martedì 5 luglio 2016

Data Analyzing Robot Youth Lifeform


notte nella batangas là
orione si coricava ubriaco
esausto per anni sedici

/omissis/

la ritrovai alle costiere di normandia
sulle spiagge i piedi erano nudi
e dorati di un leone
accarezzando chiara
i capelli incantati d'una bimba era lei
quella bimba? no lei
era forte e ferita lei è
una donna era lei quella bambina bionda
colori d'impressionismo sullo sfondo
di fitte casette colorate britanniche? no
non più non ancora lei
i suoi occhi ancora s'accendono di una notte
nella batangas l'oscurità respirava
a milano smog dalle dieci alle dieci
una mano a sua madre
l'altra te la rubai io per cinquanta metri
il pantheon! a dimostrarti con argomenti razionali che
anche qui s'allungano
notti d'orione
forti perché ferite
"sai, c'era un film anni '80 il cui
protagonista..." lo sapeva bene
la traduzione di acqua viva