il licantropo e il pastore immobile, che detta così sembra una favola dell'assurdo.
così la racconta Tristan Tzara: c'è l'uomo, un licantropo che nutre un lupo dentro di sé, e c'è un pastore, che non si muove e quasi non si vede eppure ha in mano il filo di ogni cosa.
il licantropo cerca il suo pastore e il pastore attende sul far della sera il licantropo, ma se questo incontro avverrà non è dato a saperlo, non a noi.
il pastore "si alza / emigra verso i celesti pascoli delle parole".
Caravaggio, Autoritratto |
IX
il lupo impantanato nella
barba della foresta
crespa e spezzata da scosse
e fenditure
e tutto d’un colpo la
libertà la sua gioia e la sua sofferenza
balza in lui un altro
animale più docile accusa la sua violenza
si dibatte e sputa e si
svincola
solitudine sola ricchezza
che vi getta da un muro all’altro
nel tugurio d’ossa e di
pelle che vi fu donato come corpo
nel grigio godimento delle
facoltà animali fardelli di calore
libertà pesante torrente
che tu possa elevare la mia carne il mio intralcio
la catena incarnita attorno
alle mie piante vertiginose impetuose tensioni
avventure che vorrei gettare
per pozze pacchi e pugni
contro la mia faccia infame
timida di carne e di così poco sorriso
oh potenze che non ho
intravisto che durante rare radure
e che conosco e presagisco
nel tumultuoso scontro
freno di luce che va da un
giorno all’altro lungo i meridiani
non mettere troppo spesso
il tuo giogo attorno al mio collo
lascia zampillare la mia
fuga dalla mia terrea e pallida creatura
lasciala trasalire al
contatto dei terrori corporali
scappare dalle cavernose
vene dai polmoni villosi
dai muscoli pressoché
ammuffiti e dalle tenebre deliranti della memoria
*
su tutte le curve della
terra ho pattinato con gratuita eleganza
premendo al mio petto il
destino in monogramma
ho bevuto ho mangiato
i ricami del cielo si
sgretolano piove a fasci di crisalidi sul convento
e le nuvole laggiù si
coprono d’ali che covano
le uova mentre lanciano
vagiti di mondi embionali –
quella brusca avversione
scaccierà la neve in questa giornata
perché vedo che il piano mi
testimonia chiarezza
le tue labbra mi sono
rifugio sfolgorante quando il crepuscolo mette la sua firma
in basso al giorno la
pagina che ha così tanto visto riso e sofferto
*
nella cassa di contrabbando
porto la mia vita dal doppio fondo
verso il pericolo esplosivo
di cui la previsione ferisce me
me mentre sgattaiolo tra i
ranghi degli dèi e quelli della luce
colpendomi alle frontiere
dei giorni inguantati di bianco
*
i treni si fermano sono il
mare le pellicole del paesaggio si perdono nel mare
il natante semina
nell’acqua il chicco del suo gesto
e il frutto del movimento
già costeggia la latitudine e la lecca
scava l’onda riluttante
dalle sue estremità escono
degli effluvi che spingono
la sua massa di carne che
il sogno conduce
alla porta del sogno al
filo della sua respirazione
*
sulla sponda i vestiti
ammasso di sole in vacanza
solida schiuma tenuta dagli
artigli di pietra
danzatori disarticolati
che giocano alle vertebre incandescenti fiocchi di neve
occhi per le miniere profondi
offuscati nel loro centro permeati
di sale paonazzo la ruggine
incipria la pelliccia minerale del suo regno
*
e su conchiglie fragili i
pescatori sfogliano i loro destini
in delle direzioni a
ventaglio si sparpagliano i coriandoli migratori
colpiscono il mare con
delle ali di farfalle gettate alla sorte
mentre degli uccelli affamati
vanno alla deriva le raganelle allargano i loro compassi
se ne vanno così lontano
dove ci si vede la rotondità della terra
la terrestre tristezza
all’ombra delle montagne d’acqua e di cielo
la rete risale talvolta pesante
di anelli e di razzi in movimento
e trascina delle famiglie
di colori raccolti nell’insondabile capriola
ma nel lavoro tutto non è
che pallido premio della fame della famiglia
le grida delle sirene
mugghiano di vie lattee di vento nemico
degli uragani travolti nei
cieli danzano ostinati
saltano e toccano il mare
con le loro teste
svuotano le tasche del
manto nuziale
*
teste di granito strappate
sul biliardo il rollio e i giochi
relitti abbandonati alla
dogana alle frontiere del destino sparso
bianche vele spiegate che
implorano la pace al vuoto
vele bianche spiegate mani
di vele riunite per la preghiera
la barca in ginocchio la
testa abbassata geme si lamenta
ma se il cielo toglieva la
maschera dai suoi occhi per vederle
degli spari di raggi di speranza
rianimerebbero le febbrili prede
tanto teme l’uomo il volto del
suo dio che sprovvisto d’orizzonti lui trema
tanto teme l’uomo il suo
dio che al suo avvicinamento lui precipita s’annega
tanto teme l’uomo senza
orizzonti la sua morte che sprovvisto di dio lui nasconde la sua tomba
tanto teme l’uomo
*
ma a che pro le larghe
pozzanghere di lamenti paludosi
il sole non conosce che la
sua grassa incandescenza
allegro di tutte le sue
bocche d’oro di fiamme
si alza
*
e il lupo impantanato nelle
vigne tortuose
ha trovato il suo pastore
il pastore della divina costellazione
ha messo nelle sue mani
fidate e callose
il suo vigore alla ricerca
di inedite libertà
ha trovato il suo pastore
l’immobile pastore
così grande che non ha
bisogno di camminare colui che è dovunque
ha trovato il suo pastore
il pastore che conduce tutte le greggi e tutti i pastori
nell’amore così grande che
non ha bisogno di muoversi
tanto è dovunque per dove
gli altri camminano senza ritrovare il bandolo della matassa
senza ritrovare il bandolo
della matassa
il bandolo della matassa
che presero in mano alla loro nascita
che lasciarono l’altro capo quando l’ora imperiosa
tagliò il bandolo della
matassa delle mani tese e scarne
che degli altri ripresero
ma che nessuno seppe custodire
fino al ritorno del
principio per il quale sono venuti al mondo
il lupo ha deposto la sua
fierezza e la sua sdegnosa furia inverminate negli anni
nelle mani fidate e solenni
del pastore immobile
pastore delle onde che s’accavallano
verso quel traguardo censore di drammi
pastore delle piogge che
viaggiano di paese in paese
pastore delle tristezze
irragionevoli che ci offuscano periodicamente
pastore che conduce i
nostri destini in tanto imponente significato
che talvolta si rincontrano
così spesso si strofinano
senza toccarsi e in delle
curve folli e zigzag
si inseguono con degli
insaziati magneti alle loro narici
parallelamente su alcuni
sentieri pavimentati in spirali di differenti aperture
pastore delle nostre sfiducie
nelle quali noi ci impantaniamo i cervelli lacerati
mani che sempre verso la
morte dirigono l’ago della loro bussola
la scomoda esistenza che
abbiamo preso in affitto
e nella quale tentiamo di
adattarci
pastore di evocazioni
guerriere in corsa le une verso le altre
pastore di umili esitazioni
paesane
degli orizzonti torrenziali
nelle timide abitazioni dei petti
pastore dei battelli degli
uccelli degli ipocriti
e pastore anche di coloro
che si amano che fanno lo scambio dei loro occhi
chiarori incommensurabili
per sempre da dove nascono la vita e la deriva
ti vedo luminoso come la
luce nel rumore delle capitali
nella foglia del roseto nel
sapere del morente
nella mano che mi si tende
nell’insetto gassoso
nell’acqua nel mio sogno
fiorito di splendide futilità
ti vedo immobile e comunque
in cammino attraverso tutte le cose
che strappi delle teste e
che le rimpiazzi con delle altre teste di bestie
che dirigi la circolazione
astronomica e quella dei venti e quella delle acque
e quella del sangue nelle
sotterranee arterie e dei pesci
e l’incatenamento degli
sguardi nonostante in ognuno di noi il nostro dilaniarci
le nostre miserie e le
nostre fortune interiori si susseguano al gioco della borsa
di cui sorvegli le basse
logiche e i misteri crudeli delle cadute
*
pastore dei lastricati che
vanno in gregge in senso contrario
al passo della folla
forbici in movimento costante
che taglia la distanza in
misure di passi
immobile pastore nel nimbo
di polvere aurifera
canta nei sipari piantato
canta occhio gremito canta
pastore delle giornate che
passano sfogliando il calendario dell’ombra decrescente
canta occhio gremito di
mimosa alla finestra canta canta
il paese inarca le
sopracciglia all’imboccatura delle frontiere montane
all’avvicinarsi del nemico
di grandine di vermi di uragano di cavallette
pastore delle nevi perenni
e più alto sul tuo divano di nuvola
ghiaccio che rompe una
finestra sul cielo
canta inutile rimedio
prendi il polso dei torrenti
febbre dell’anno canta
medicina delle stagioni delle ragioni astrologiche
canta l’uomo spogliato
dall’effervescente umiltà dell’uomo
i lanci di fiori zampillano
dai laghi di luce
dalle nuvole di neve il
sofà sull’orizzonte
prepara il riposo del dio
che ruota inconsolabile intorno al suo asse
e le greggi dei nostri
dolci sentimenti emigrano
verso i celesti pascoli
della notte
*
il lupo impantanato nella
barba della foresta
ha trovato il suo pastore
l’immobile pastore
colui che conduce tutti gli
occhi piantati alla vetta delle acropoli smosse dalla fede
il pastore degli incommensurabili
chiarori da dove nascono la vita e la deriva
si alza
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