QUANDO. l'interrogativo che avvolge l'azione umana.
il tempo che passa e torna, ferma e scuote.
lampante giovinezza che moltiplica gli specchi
e culla delle eco le tardive prodezze
a ogni passo ritrovata e sempre più fuggitiva
e sempre ritrovata e sempre più cieca
simile a una pianta che ci divorerebbe senza saperlo
simile a un amore che ci divorerebbe senza saperlo
tra i ghiacci una gioia che zampillerebbe senza saperlo [...]
la corona dell’albero si vedrebbe nella foglia
e in ogni foglia ci sarebbe un’altra foglia
e in ogni foglia ci sarebbe il tronco dell’albero senza saperlo
in una lingua diversa da quella di cui siamo coperti
e alla fine che vivere rimane l'unica soluzione possibile
e tanto altro e tanto d’altri
che saprebbero leggerle e recitarle
che non hanno potuto morire né vivere
G. P. Gasparini, Twiggy |
VII
quando l’erba rada gela a
raso del bordo
e la notte si sgretola
all’approdo delle coste
quando il faro si placa su
dei capelli imbianchiti
mentre fa scuro nel pianto
del bimbo che dimentica di piangere
che il nero devastato di
sortilegi illividisce
quando incantatore di nero
il poeta o il suo ridere
sull’ombra s’abbassò
ridestando il ghiaccio
quando le credenze dai duri
coloriti fanno precipitare le montagne
bruciate da terrori furie
attraversano alla rinfusa contorsioni e cariatidi
e affondano nel’oltraggio
delle moltitudini carnali – le loro carreggiate –
quando – gracile fanale
sulla faccia tirannica dell’isola –
la sirena in fuga – bolgia
senza spiaggia sostanza senza scrupolo –
estrae dai rintocchi a morto
il fuoco perlaceo del piacere
e dal piacere l’insolente
sofferenza – domatrice di perdoni –
quando il desiderio –
fumosa disinvoltura – lecca i nastri del sole
scuote le serrature –
strappa le assi dalla loro schiena –
fierezza cacciatrice –
oscuro bavaglio –
fiuta le oscillazioni della
disgrazia e l’aroma ardente delle loro selve –
quando barbara e impaurita - uscita da una notte esausta –
allarmando i miti che
turano tutte le grida –
fastosa indolenza sul
cammino delle ebrezze –
vieni a scaturire nella
mano – stella delle zattere che cammina tra le sentinelle
che te stessa – spossata da
visioni folte
ti rigiri in soccorso del
tuo cuore in terra straniera
mentre visione su visione e
ombra tagliata d’ombra
cancellando dalle
prospettive il voto al quale il contraccolpo t’impegna
non arrivano più a seguire
la spiaggia sotto i tuoi passi –
i pesanti battenti della
tua giovinezza si aprono
un vento a perdita di
giorni circola in te
le finestre aperte sul
frontone delle cose
fanno correre gli antichi
richiami attraverso di te
senza freno si sottomettono
le affannate avidità
alle asprezze carnali delle
insidie di licheni
le spalancate porte le
finestre insanguinate e il tuo corpo
ai colpi alle burrasche
venduto – su un vassoio di sole
offre alla più alta alla più
crudele
il vibrante pudore dei
giorni indecisi
*
furtivo invito ai pallori
australi
sotto la tenda che tende in
sordina
il verbo mortale che
edificato da tante successive rinascite
si rode agli archi rampanti
si deruba sotto i tuoi piedi la sorgente che canta l’allettante
ti domandi dove vai le
pesanti eredità d’alberi le reliquie
e perché ti muovi sotto
questa insegna
giardino invaso dai cattivi amori
i provocanti pallori che ci
si ritrova fuori da se stesso
ciò che sei ciò che non sai
l’insetto che balbetta che
cerca tra le linee
allora ti domandi allora tu
te lo domandi
il fiore che balbetta che
cerca di sapere
così gioca con me e bara un
gran bambinone invisibile
e mi getta da un angolo
all’altro nella cerchia dei miei giorni usati
che trascinano stracci di
senso provvisorio
pallori solidi di sapere e
di pozzi
*
l’oblio il sepolto
l’introvabile credenza
sepolta nelle maree le
lande i frutti
letto abbondante d’ermetici
interrogativi
dove s’ingrossa taciturno
la gemma di fulmine
il tremulo stendardo
quando l’occhio non sa più
correre in soccorso
il passero matura davanti
al percorso senza guida
sorto dai torrenti di
demoni
quando la solitudine
saturata d’occhi segreti
ne richiama alla
vegetazione d’orgoglio
i battenti della tua
giovinezza s’aprono
e l’amore volteggia
attraverso il denso ritardo
invano le alabarde hanno
scompigliato la calca delle brume
che la forza augusta vedeva
– sibila sibila serpente –
gli arrivi massivi
dardeggiavano su di te i loro messaggi di sole
dove così tanto affetto si
mescolava che la luce
sembrava coronare
l’incestuoso ricordo
*
orrore contraddittorio che
agita la bilancia di montagne nella tua testa
riempi di disgusto
l’immaginazione per la quale la certezza della sorte t’ha sottomesso –
giorno espugnato
all’insicurezza – sfogliamento di visioni –
al culmine della tua vista
ha posto la prigione stravolta
quella dove vanno a
perdersi le profezie irrealizzabili
quella dove vanno a
perdersi le menzogne di chiarore
quella dove lo spirito non
sa più riconoscersi
tra i pesi e le misure i
ragionamenti inesauribili
dove i pericoli si bisbigliano
la strana solidarietà
indomabile che elude le
tangenti dei crinali
catenaccio dei timori
insondabile vigilanza
gli arpioni segreti
*
perché mettermi in viaggio
– il mio viaggio doloroso –
perché ruotare attorno a
monte del vento beffardo
o vegliare le notti malate
per il perdono dei letti di mare
e saccheggiare tutto l’oro
delle feste – il setacciare al boccaporto del tuo cuore – mezzanotte di gas –
separare dalle ciglia
marine i vecchi ciottoli un pianto che non saprebbe maturare
quando barcollanti su dei
nuovi vigori di cielo ci sono delle parole volanti
che non hanno che un breve
smarrimento e si spengono nella sottomissione
ci sono delle parole
cadenti
che lasciano una traccia
leggera traccia di maestà dietro al loro senso a malapena di senso
o mazzo di fasci che
s’impigliano a ogni sguardo di faro
alla vetrata che s’accende
ma che non perde né fuoco né furia
- e dalle stelle – ma
abbiamo abbastanza vegliato pensando di sbirciarle
gironzolando attorno a
delle briciole d’esilio le allodolole
che ne sappiamo noi – con
questo duro bitume sulle onde mal stivate in testa
e le zoppe cadenze dei
rimorsi che ci facciamo – che ne sappiamo noi –
dove quello finisce e per
quella visionaria escursione conduciamo questo gioco ribelle
al limite delle nostre
tenebre
fino alla selva oscura
fino al vaglio distante
nascosto dietro l’esitazione
fino alle foglie secche che
perdono le ragioni in viaggio
come un’offesa al termine della loro grazia
e le sagaci crudeltà i
singhiozzi balbuzienti degli usignoli
e tanto altro e tanto d’altri
portati in groppa
d’orizzonte
verso i sacrifici fulgidi
di travaglio e di pascoli
la distensa s’indurisce
sotto l’attenzione
e dal suo silenzio
s’insinua l’intensa attesa
l’attesa a passi
infeltriti che bruca nella nostra testa
senza respiro e senza scopo
afferra le schegge della
liscia mantiglia delle dune
tra le più lunghe tra le
dolorose
s’arrampica la sofferenza
dei fantasmi artesiani
radiosi aliti sorti dai
vocabolari lari
che il freddo visibili e
nuovi
*
bambino ingiallito tra i
fardelli di giovinezze
e giovinezze coperte di
ragioni insabbiate
insaziabile bambino tra le
reliquie
l’acqua fresca ha offuscato
e i suoi occhi sono tutti morti
lampante giovinezza che moltiplica
gli specchi
e culla delle eco le
tardive prodezze
a ogni passo ritrovata e
sempre più fuggitiva
e sempre ritrovata e sempre
più cieca
simile a una pianta che ci
divorerebbe senza saperlo
simile a un amore che ci
divorerebbe senza saperlo
tra i ghiacci una gioia che
zampillerebbe senza saperlo
simile al portamento di cui
quella traccerebbe con una mano fine il contorno
la corona dell’albero si
vedrebbe nella foglia
e in ogni foglia ci sarebbe
un’altra foglia
e in ogni foglia ci sarebbe
il tronco dell’albero senza saperlo
in una lingua diversa da
quella di cui siamo coperti
vedi il pieno meriggio nel
cuore del frutto morso
e simili agli steli vedi i
rami tenersi e tendersi
attraverso le palpebre a malapena
socchiuse
simili ai molteplici
linguaggi
simili alle nervature
ancorate nella foglia
e fino a dove non lo si può
più vedere – simili –
fino alle sfumature delle
infinite parentele
eco di forme parallele il
sentiero delle voci si perde
con il tuo nel mare con i
rumori che offusca la didascalia
all’occhio in attesa dei
ribelli
*
l’albero vive in te e tu
vivi alla sua ombra
dei cerchi concentrici
sfuggono con il tempo
il cuore una pietra pesante
che gli affogati si legano
ti tiene al fondo delle
inesprimibili corrispondenze
a malapena muovendosi tra
gli errori
i legami spessi – o lenti
vogatori di fuliggine
entrate per la finestra –
la notte vecchia di maschere
lascia tutte le notti
entrare in me la sua lunga giovinezza
che non perderà più terreno
su questo suolo nemico
*
ho preso il suo gusto un
po’ salino
e ho perduto le sue vie
segrete
l’amore spalancato come una
tomba
tanti uomini pazienti lo portano in loro fino alla tomba
tante altre ombre
le piante tese e negli
erbari tante altre vite troppo lunghe notti
fanno tintinnare le loro
rime di delirio
e tanto altro e tanto d’altri
che saprebbero leggerle e
recitarle
che non hanno potuto morire
né vivere
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