martedì 4 settembre 2018

Tristan Tzara, L'Uomo Approssimativo, XI


"Tutto porta a credere che esista un punto dello spirito da cui la vita e la morte, il reale e l’immaginario, il passato e il futuro, il comunicabile e l’incomunicabile, l’alto e il basso cessano di esser percepiti come contraddittorii. Ora, sarebbe vano cercare, alla base dell’attività surrealista, altro movente che non sia la speranza di determinare questo punto. […] L’idea di surrealismo tende semplicemente al recupero totale della nostra forza psichica con un mezzo che non è altro se non la discesa vertiginosa in noi stessi, l’illuminazione sistematica dei luoghi nascosti e l’oscuramento progressivo degli altri luoghi, la deambulazione perpetua in piena zona interdetta".
A. Breton, Secondo manifesto del Surrealismo, 1930

P. Picasso, Ritratto di Dora Maar, 1937, Paris



XI

cosa è questo ronzio paffuto che riempe la penombra
sull’orlo del silenzio che s’ingarbuglia tra gli angeli
costeggio la sontuosa vallata di passamaneria
quella che si stende nel tuo cuore commosso di cure
e vinto al gioco dei solstizi nella solitudine la testa alta
che pettina le pieghe della tunica vergine una fiaccola
ha timore della nudità terrestre
è l’organo che riversa delle valanghe di seta sui nudi delle pareti
di crisi e spinge la tempesta verso i soffitti
alito più profondo che i vulcani
scarica la rete da suoni di un amore tanto tumultuoso
dove l’elevatezza è catturata alto alito
ma delimitato da sarcofagi scala il timpano e fugge

*

il matrimonio del firmamento frutteto occhio fresco
medaglione d’acqua dolce dove si placa la sete dei cembali
sulle labbra dei buongiorno che aspettano il tramonto della notte circonflessa
il sopracciglio del mondo la cianfrusaglia agonizza l’ombra
corruga la statura ronzante di vespa e la mozza

*

sotto il sole oliato la pianta può girare nell’ingranaggio
delle vite e delle morti girevoli di cui lo spazio è carico fino ai confini dell’incoerenza
le pozze di baccano si stendono sul mare paralizzato
e qualche foglia qualche cadavere galleggia sulla densa ansia
dove si trovano le angeliche tappe che il sonno non poté consegnare alla luce
il chiavistello dei sogni ha chiuso le sue mascelle sulle file dell’uomo
e la brezza non serve più da camicia al giardino cinquefoglie figlia cara
di schianto la dura tragedia e il sacrilegio hanno invaso la nostra vita
arraffando i brevi brandelli di riposo delle nostre ossa
arraffando le acque dei cardini dell’arcipelago conca e demone
del libro di porto che pagina coperta da pagina e onda da onda
colmano ancora di scritte di litanie e di cervelli

*

lo schianto dei vetri rotti getta il sole in mare
una notte natale di larve una notte la confusione
il giudizio finale s’alza su delle ali vitree nella nostra agitazione
e demolisce l’amore così etereo che noi facemmo sorgere giorno dopo giorno nell’incalcolabile volta
nell’organo il suono si è sparso dove la gola
di paura afferrata la bestia s’impenna prima di appiattirsi nella sua pesantezza di tuba
e gli uccelli si sono ingrossati smisuratamente obliquamente scivolano verso le nostre dimore
s’ammucchiano come neri fiocchi e sacchi dilatati di freddo e d’ipnotismo
tale è la forza degli umori in movimento che sfinisce di struggimenti leggendari
l’ineffabile teoria dei vocabolari e dei toraci
alghe in letargo sulle sabbie fini

*

cosparsi nell’azzurro i fossili dei globi
non provano più nulla così vuota è la misura
del respiro umano scandito dal profilo delle dune
ma la vertigine sorta dal sogno quella che raduna comete e limbi attorno alla sua rotazione
carezza persa sui binari delle emicranie
vertigine dalle mille nuove comprensioni
notte anemica succhiata da fringuelli invecchiati da feretri e da secoli di poetica rimozione
e che la ciliegia
abbiamo noi pianto dall’alto dell’inferriata?
luminosa insegna l’astronomia
avvia l’alfabeto dei passi
le ragioni del nostro tacere

*

a che servirebbe lo spasmo folgorale
come riordinarsi un fondo d’abisso cartilaginoso
vitreo è l’anemone e vibrando lo spaventa
bolla nell’assonanza l’annuncio cinghia
di trasmissione della fede nel nulla –
sogno dal sospetto acquatico vira
sul posto è il più lontanamente lanuginoso segnale il blu
la mia stretta di mani su ruote
e che l’esitazione semini lo svasso
l’insieme dei rovi in filigrana di grasso
sotto l’arcata sopraccigliare della selva

*

che la china
avvicinandosi alla bruna
io sento quelle che si serrano sotto la perenne coincidenza
vengono ad appoggiare su ogni spalla la mia testa
vellutate pari ma meno crude
così vivamente annienta il viale di immagini tragitto
il trapano dell’orologio

*

la pioggia arruffata screpola le nostre conversazioni i nostri castelli di busti
i pugni i nodi di lungo corso dell’esistenza
forse che questi sfondano i chiarori del tempo e gli specchi?
la linea di partenza al campo di corse umane
la postazione delle prugnole nostalgici confini d’oblio
la luna nei suoi fronzoli di vesuvi impagliati di castelli di busti
l’organo riversa il suo magico impulso sulle strofe
dove risuonano i polmoni antichi dalle crepe del divino
e i sepolcri che danzano al collare dei gesti
brillano tra le diamantifere esaltazioni delle veneri lungo gli stadi
i giorni s’imbarcano e seguono da vicino i passi dei crepuscoli viscosi
l’organo riversa i suoi cenni di azzurro sulle barriere dei gong
sfonda la muraglia di palpebre cementata e sorda come l’inverno
il severo tremolo si ritira nel suo alveolo di soffio
che l’oscurità rauca aspira – gli ex-voto di bolidi
cadono dal seno della notte con i mammiferi e gli alberi
e tutti i salvadanai si svuotano nella notte
che ritrae su tutti i peccati i suoi coperchi di chiasso
da dove è arrivata questa la vocale ad ali spiegate
che prolunga di flauti strangolati gli sfiatati questionari
i ponti e coccole calzate
elastica sveglia i procedimenti animali forse le stelle
e si schianta di colpo sui vassoi di carne e cespugli

*

luogo dagli austeri balzi dei coloriti nerboruti
la follia ha scavato di trepidanti burroni nei ritornelli della vita i suoi extra
tra i lamenti gli ostacoli si trascinano nello sdegno dell’orizzonte
il mattino si contrae attraverso lo scalpitio dei rami ballo di saint guy
il prisma getta di nuovo il suo incendiario armamentario
una pietra piombata nell’acqua alletta di allucinazioni le pieghe a fatica delle onde
alla periferia del giorno a lungo dopo lo scontro
l’uomo dilania la preda del suo rancore

*

annidata sotto la foglia la memoria ingrossa di visioni beffarde del volto
e dissotterra i detriti e le scorie
ostilità tutto è ostilità attorno a delle nebulose di propositi
e passione sullo smalto della spada trasparente
tagliente frusta di lampi ramificata di bisturi
parola – sull’orlo del precipizio durante i secoli temprata
getto di veleno che scroscia dalle cime abortite
glorifica degli odi la luminosa tensione
l’aureola d’intransigenza che acceca il colore viziato
e rinnova i sortilegi delle umane controversie
le adesioni dei cortei di uragani all’irrealtà delle molecole
vomitate massacri la babele delle putride pullulazioni e delle cancrene
ammassata sotto degli arpeggi lacrimosi nei bassifondi delle origini del mondo
oh ebrezze riscattateci dai fanghi parassiti e dalla pigra abitudine di vivere
e dagli altri da tanti altri





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