"Tutto porta a credere che esista un punto dello spirito da cui la vita e
la morte, il reale e l’immaginario, il passato e il futuro, il comunicabile e
l’incomunicabile, l’alto e il basso cessano di esser percepiti come
contraddittorii. Ora, sarebbe vano cercare, alla base dell’attività
surrealista, altro movente che non sia la speranza di determinare questo punto.
[…] L’idea di surrealismo tende semplicemente al recupero totale della nostra
forza psichica con un mezzo che non è altro se non la discesa vertiginosa in
noi stessi, l’illuminazione sistematica dei luoghi nascosti e l’oscuramento
progressivo degli altri luoghi, la deambulazione perpetua in piena zona
interdetta".
A. Breton, Secondo manifesto del Surrealismo, 1930
P. Picasso, Ritratto di Dora Maar, 1937, Paris |
XI
cosa è questo ronzio paffuto che
riempe la penombra
sull’orlo del silenzio che
s’ingarbuglia tra gli angeli
costeggio la sontuosa
vallata di passamaneria
quella che si stende nel
tuo cuore commosso di cure
e vinto al gioco dei
solstizi nella solitudine la testa alta
che pettina le pieghe della
tunica vergine una fiaccola
ha timore della nudità
terrestre
è l’organo che riversa
delle valanghe di seta sui nudi delle pareti
di crisi e spinge la
tempesta verso i soffitti
alito più profondo che i
vulcani
scarica la rete da suoni di
un amore tanto tumultuoso
dove l’elevatezza è
catturata alto alito
ma delimitato da sarcofagi
scala il timpano e fugge
*
il matrimonio del firmamento
frutteto occhio fresco
medaglione d’acqua dolce
dove si placa la sete dei cembali
sulle labbra dei buongiorno
che aspettano il tramonto della notte circonflessa
il sopracciglio del mondo
la cianfrusaglia agonizza l’ombra
corruga la statura ronzante
di vespa e la mozza
*
sotto il sole oliato la
pianta può girare nell’ingranaggio
delle vite e delle morti
girevoli di cui lo spazio è carico fino ai confini dell’incoerenza
le pozze di baccano si
stendono sul mare paralizzato
e qualche foglia qualche
cadavere galleggia sulla densa ansia
dove si trovano le angeliche
tappe che il sonno non poté consegnare alla luce
il chiavistello dei sogni
ha chiuso le sue mascelle sulle file dell’uomo
e la brezza non serve più
da camicia al giardino cinquefoglie figlia cara
di schianto la dura
tragedia e il sacrilegio hanno invaso la nostra vita
arraffando i brevi
brandelli di riposo delle nostre ossa
arraffando le acque dei
cardini dell’arcipelago conca e demone
del libro di porto che pagina
coperta da pagina e onda da onda
colmano ancora di scritte
di litanie e di cervelli
*
lo schianto dei vetri rotti
getta il sole in mare
una notte natale di larve una
notte la confusione
il giudizio finale s’alza
su delle ali vitree nella nostra agitazione
e demolisce l’amore così etereo
che noi facemmo sorgere giorno dopo giorno nell’incalcolabile volta
nell’organo il suono si è
sparso dove la gola
di paura afferrata la
bestia s’impenna prima di appiattirsi nella sua pesantezza di tuba
e gli uccelli si sono ingrossati smisuratamente e obliquamente scivolano verso le nostre dimore
s’ammucchiano come neri
fiocchi e sacchi dilatati di freddo e d’ipnotismo
tale è la forza degli umori
in movimento che sfinisce di struggimenti leggendari
l’ineffabile teoria dei
vocabolari e dei toraci
alghe in letargo sulle
sabbie fini
*
cosparsi nell’azzurro i
fossili dei globi
non provano più nulla così
vuota è la misura
del respiro umano scandito
dal profilo delle dune
ma la vertigine sorta dal
sogno quella che raduna comete e limbi attorno alla sua rotazione
carezza persa sui binari
delle emicranie
vertigine dalle mille nuove
comprensioni
notte anemica succhiata da
fringuelli invecchiati da feretri e da secoli di poetica rimozione
e che la ciliegia
abbiamo noi pianto
dall’alto dell’inferriata?
luminosa insegna
l’astronomia
avvia l’alfabeto dei passi
le ragioni del nostro
tacere
*
a che servirebbe lo spasmo folgorale
come riordinarsi un fondo
d’abisso cartilaginoso
vitreo è l’anemone e
vibrando lo spaventa
bolla nell’assonanza
l’annuncio cinghia
di trasmissione della fede
nel nulla –
sogno dal sospetto
acquatico vira
sul posto è il più
lontanamente lanuginoso segnale il blu
la mia stretta di mani su
ruote
e che l’esitazione semini
lo svasso
l’insieme dei rovi in
filigrana di grasso
sotto l’arcata
sopraccigliare della selva
*
che la china
avvicinandosi alla bruna
io sento quelle che si
serrano sotto la perenne coincidenza
vengono ad appoggiare su
ogni spalla la mia testa
vellutate pari ma meno
crude
così vivamente annienta il
viale di immagini tragitto
il trapano dell’orologio
*
la pioggia arruffata
screpola le nostre conversazioni i nostri castelli di busti
i pugni i nodi di lungo
corso dell’esistenza
forse che questi sfondano i
chiarori del tempo e gli specchi?
la linea di partenza al
campo di corse umane
la postazione delle
prugnole nostalgici confini d’oblio
la luna nei suoi fronzoli
di vesuvi impagliati di castelli di busti
l’organo riversa il suo
magico impulso sulle strofe
dove risuonano i polmoni
antichi dalle crepe del divino
e i sepolcri che danzano al
collare dei gesti
brillano tra le
diamantifere esaltazioni delle veneri lungo gli stadi
i giorni s’imbarcano e
seguono da vicino i passi dei crepuscoli viscosi
l’organo riversa i suoi
cenni di azzurro sulle barriere dei gong
sfonda la muraglia di palpebre
cementata e sorda come l’inverno
il severo tremolo si ritira
nel suo alveolo di soffio
che l’oscurità rauca aspira
– gli ex-voto di bolidi
cadono dal seno della notte
con i mammiferi e gli alberi
e tutti i salvadanai si
svuotano nella notte
che ritrae su tutti i
peccati i suoi coperchi di chiasso
da dove è arrivata questa
la vocale ad ali spiegate
che prolunga di flauti
strangolati gli sfiatati questionari
i ponti e coccole calzate
elastica sveglia i
procedimenti animali forse le stelle
e si schianta di colpo sui
vassoi di carne e cespugli
*
luogo dagli austeri balzi
dei coloriti nerboruti
la follia ha scavato di
trepidanti burroni nei ritornelli della vita i suoi extra
tra i lamenti gli ostacoli si trascinano nello sdegno dell’orizzonte
il mattino si contrae
attraverso lo scalpitio dei rami ballo di saint guy
il prisma getta di nuovo il
suo incendiario armamentario
una pietra piombata
nell’acqua alletta di allucinazioni le pieghe a fatica delle onde
alla periferia del giorno a
lungo dopo lo scontro
l’uomo dilania la preda del
suo rancore
*
annidata sotto la foglia la
memoria ingrossa di visioni beffarde del volto
e dissotterra i detriti e
le scorie
ostilità tutto è ostilità
attorno a delle nebulose di propositi
e passione sullo smalto
della spada trasparente
tagliente frusta di lampi
ramificata di bisturi
parola – sull’orlo del precipizio
durante i secoli temprata
getto di veleno che
scroscia dalle cime abortite
glorifica degli odi la
luminosa tensione
l’aureola d’intransigenza
che acceca il colore viziato
e rinnova i sortilegi delle
umane controversie
le adesioni dei cortei di
uragani all’irrealtà delle molecole
vomitate massacri la babele
delle putride pullulazioni e delle cancrene
ammassata sotto degli
arpeggi lacrimosi nei bassifondi delle origini del mondo
oh ebrezze riscattateci dai
fanghi parassiti e dalla pigra abitudine di vivere
e dagli altri da tanti
altri
Nessun commento:
Posta un commento